Paolo Ruffilli – Le cose del mondo (Poesie 1978-2019), Mondadori 2020
L’opera poetica Le cose del mondo di Paolo Ruffilli ristabilisce un legame importante tra poesia e società chiamando in causa la vicenda umana degli ultimi quarant’anni della storia e della letteratura. Ruffilli, attraverso la parola visionaria che tocca lirismi sapientemente strutturati sulla base di strofe agilmente rimate e ritmate, intesse e approfondisce un dialogo nuovo con i gusti, le epoche, la tradizione, il mondo. Le sette sezioni del libro indagano lo stupore, la totalità dell’essere, il viaggio e il naufragio disperato, il ritrovamento di dimensioni atemporali ed emblematiche che aprono la strada all’inquieto macrocosmo e a un cammino ancora da riformulare, da compiere. I fattori ambientali e affettivi riedificano parametri emozionali che si animano nella nominazione delle cose. Le cose esteriori, infatti, interagiscono con la vita riuscendo a creare un animismo percettivo con gli innumerevoli impulsi interiori dell’uomo che impara, con il tempo, a sublimare l’oggettivazione. Il fine ultimo della ‘grazia poetica’ è quello di giungere alla sacralità dei gesti simbolici personali, all’ammorbidimento delle ombre dei centri affollati e a edificare una notevole gamma di epicentri di pensiero per fermare un ciclo temporale abitudinario e infernale di ascendenza dantesca. Passato e presente si sovrappongono lì dove il padre e la figlia rimescolano una dimensione emotiva di straordinaria profondità grazie alle feconde figurazioni del ‘sentire’. Così le interrogazioni esistenziali di Paolo Ruffilli ospitano un rapporto interattivo tra poesia e realtà in cui le esperienze dell’autore vengono assorbite dall’umanità intera immedesimando tempo, memoria, intuizione dei nessi tra parola e reale e libertà di amare. (Rita Pacilio)
Fermi da tempo, già, fuori stazione
su una carrozza piena e soffocante:
gridi, spinte e puzza nelle bolge.
Che, se non altro, è un test illuminante
e illustra in scena, svolge la funzione
di termometro e di spettro di misurazione.
Sì, dà conto bene, in presa fulminante,
e nonostante il suo valore di campione,
dello stato inerte, sordo e delirante
di tutta quanta la nazione.
***
Eccolo, il nome della cosa:
l’oggetto della mente
che è rimasto preso e imprigionato
appeso nei suoi stessi uncini
disteso in sogno, più e più inseguito
perduto dopo averlo conquistato
e giù disceso sciolto e ricomposto
rianimato dalla sua corrosa forma e
riprecipitato nell’imbuto dell’immaginato.
***
Ma cosa fanno le cose quando
sfuggono di vista al controllo
che su di loro esercitiamo?
Gravano frattanto su se stesse
in attesa di essere di nuovo sollevate
o restano contratte in vigile difesa?
Aspettano giorni inchiodate nel silenzio
che torni ad animarle un po’ la nostra presa?
O basta che solo le pensiamo
e di per sé succede che il pensiero
nominandole faccia da tiranno
ad annullare la loro libertà?
***
Le persone muoiono e restano le cose
solide e impassibili nelle loro pose
nel loro ingombro stabile che pare
non soffrire affatto contrazione dentro casa
perché nell’occuparlo non cedono lo spazio
vaganti come mine, ma nel lungo andare
il tempo le consuma senza strazio
solo che necessita di molto per disfarle
e farne pezzi e polvere, alla fine.
Paolo Ruffilli (Rieti 1949) è presente nelle maggiori antologie degli ultimi decenni. Tra i suoi libri di poesia: Piccola colazione (1987), Diario di Normandia (1990), Camera oscura (1992), Nuvole (1995), La gioia e il lutto (2001), Le stanze del cielo (2008), Affari di cuore (2011), Natura morta (2012), Variazioni sul tema (2014). Traduttore e curatore di classici italiani e inglesi, è anche autore di narrativa e saggistica. Il suo sito è www.paoloruffilli.it
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