Roberto Ariagno – L’eredità di un occidente, tre poesie e una nota

Roberto AriagnoPubblico anche qui sul blog la motivazione del premio ricevuto da Roberto Ariagno come secondo classificato a BIL 2020 per le poesie singole inedite. L’ho stilata come membro della giuria ed è già apparsa sul sito di Bologna in Lettere, ma rispetto al sito qui c’è il vantaggio, per chi non le conoscesse, di leggere le tre poesie presentate al premio, che danno qualche ragione di quanto ho scritto. (g.c.)

Roberto Ariagno – L’eredità di un occidente
Un interessante impasto stilistico, non necessariamente nuovo, ma con una evidente attenzione all’aspetto fonico del verso, peraltro articolato tra diverse modalità, tra verso lungo e disteso e emergenze di metri tradizionali come qualche endecasillabo che più italiano non si può, e addirittura qualche calco che rimanda, senza star lì a fare nomi, direttamente al primo Novecento (“nell’oro d’una vinta giovinezza”, si legge in chiusura del secondo testo presentato).
Un uso interessante di una liricità che fa finta astutamente di no, applicata a temi che sono con ogni evidenza personali e quotidiani ma che si fanno anonimi, come uno spettatore che frequenta questi paesaggi come tutti gli altri, solo con un occhio un po’ più smagato o disilluso, uno insomma che si è preso l’incarico – come Montale – di svelare un po’ di quel che c’è dietro l’apparenza, conscio del fatto che (cito) “l’ambiguità del reale sta nella sua esattezza”, e tuttavia (cito ancora) “esattamente, o dove ripeti le cose in falsi nomi” (e qui, in questo ossimoro concettuale, viene in mente Guy Debord). Quel reale che forse ha le sue manifestazioni “oggettuali”, i suoi ancoraggi, proprio in quelle “cose”: i palazzi, il traffico, la spesa, il cielo, l’alba, i ponti, i tigli, un cancello arrugginito, un verde inspiegabile. Ma nominarli (cito di nuovo) “in elenchi indifferenti sotto le nubi di un’imminenza” è appunto un depistaggio, anche nel senso francese di rintracciamento, perché l’obbiettivo è un altro, un inizio di qualcosa (che, scrive Ariagno, forse “ci sarà stato”, “una spiegazione a questo andare svelto incontro alla resa”). Ma, da notare, tutti i finali dei tre testi sono marcati dall’apertura di una parentesi che non si chiude, il testo si conclude tipograficamente, ma l’imminente di Ariagno (o forse l’immanente) è ancora lì, da qualche parte, pronto ad assillare una nuova poesia, ed anche in buona misura chi legge. E’ il segno anche che il discorso, sia quello generale sia quello all’interno del testo stesso, rimane aperto, è composto cioè principalmente di domande più o meno esplicite, senza risposte. Siamo a pieno titolo nella poetica dell’incertezza (peraltro nominata) che ci portiamo dietro dal secondo Novecento, forse con meno “io” specifico, un’incertezza dibattuta intorno a metafore cognitive guerresche (si parla di resa, di assedio, di consegnarsi, di fuga, di vinta giovinezza, di odore del ferro, di congiura ecc.) che si attagliano bene al tempo corrente, ma l’interesse di questa poesia sta in una certa abilità nel mettere insieme gli ingredienti a beneficio del quadro nella sua interezza, con una tecnica un po’  a spot,  saltando i nessi logici o analogici come per un’avidità di leggere la realtà (tipico l’inizio della prima poesia: “c’è una vita intera nel dubitare, / la sveltezza degli autunni, la pace scarna / alle finestre, il bosco che risale la collina…”, insomma un pensiero astratto lasciato lì e ripreso un po’ dopo), oppure, come ho già detto, innestando nel testo tonalità e metri diversi, oppure ancora offrendo al lettore suggerimenti tematici (a quello servono le metafore) più che dichiarazioni assertive, senza contare le apparenti digressioni (un esempio: l’uomo dal cappello piumato che spunta alla fine del terzo testo, “se ne va nell’incuranza roca delle cornacchie” e appare come qualcosa di sibillino, una carta di tarocchi rovesciata sul tavolo). E alla fine, quest’aria di inquieta incertezza, questa “aria in armi” come dice l’autore, arriva dritta a chi legge. (g. cerrai)

c’è una vita intera nel dubitare,
la sveltezza degli autunni, la pace scarna
alle finestre, il bosco che risale la collina
o l’esile tenacia delle antenne di fronte al cielo
(una luce sobria colma la stanza e lo sguardo,
è una calma intirizzita, e si procede lungo il paese

ma lo sai che non è la tua vita, la vita,
che l’aria di cappucci non è mai passata,
che anche questo è bosforo e l’assedio continua,
riservato e inesorabile, che presi nella rete
nuotiamo ancora all’impazzata, ognuno per sé…

in questa connivenza il discorso impallidisce,
si esauriscono le domande e ci si consegna,
soltanto la morte ci rende forse credibili,
o quantomeno discreti
                                 (intanto ci vuole fortuna,
ci si muove tra l’ovvio e la fame, si tenta il limite,
a volte si bara nel gioco, si finge di non vedersi

***

l’eredità di un occidente,
e non considerare l’aria in armi
dietro i palazzi, il traffico, la spesa,
il cielo che si muove oceanico, va e torna,
porta ricordi delle battaglie, sale oltre i colli,
o il giorno dopo, quando non sapevano,
e qui è un vento di sempre, una congiura,
un’incertezza durante la fuga (quest’aria è sfacciata,
e poi l’odore del ferro, nei saloni si incrociano
domande affilate, è un entusiasmo di fortunali,
vessilli, offerte speciali, eppure ci sarà stato un inizio,
una spiegazione a questo andare svelto
incontro alla resa
                                (la parentesi degli equinozi
apre lati insoliti, detonazioni, l’acciaio dell’alba
sui ponti mentre salgono rapidi le scale,
e troppa luce sovrasta la sommità dei tigli,
nell’oro d’una vinta giovinezza

***

o quando l’umido ai parabrezza riga i paesaggi,
la colpa dei pomeriggi trafugati,
e il cancello arrugginito in mezzo al prato
di un verde inspiegabile, dove l’ambiguità del reale
sta nella sua esattezza, esattamente
                      o dove ripeti le cose in falsi nomi,
in elenchi indifferenti sotto le nubi
di un’imminenza (e nessuna mail è arrivata
ma forse nemmeno l’aspettavi, forse la colpa stessa
era un’allusione
                      intanto l’uomo col cappello piumato
che era qui è salito su un’auto,
se ne va nell’incuranza roca delle cornacchie
in cui monotono gela il silenzio

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2 Commenti

  1. Buongiorno Giacomo,
    ti ringrazio moltissimo per la nota di lettura delle poesie con cui ho partecipato a BIL 2020.
    Grazie per il tempo dedicato, ma soprattutto perché ad ogni sguardo serio e competente il testo riceve sensi e prospettive nuove, anche (o soprattutto) per l’autore, e questa è, credo, la vera ricchezza che ci viene da questa attività.
    Sono stato più che onorato dal vostro riconoscimento, considero Bologna in Lettere un festival di grande qualità e originalità e la tua attività poetica e critica di grande spessore.
    Un caro saluto nella speranza di un incontro di persona.
    Roberto Ariagno

    1. Buongiorno Roberto. Grazie a te per le tue parole di apprezzamento. Per me è stato un piacere, è sempre un piacere trovare assonanze e consonanze in una buona poesia, o qualcosa che avevi visto con occhi diversi. Ti auguro tutto il meglio in poesia e altrove. Anch’io spero di incontrati in qualche occasione.
      Un caro saluto a te
      Giacomo

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