Luca Pizzolitto – Il tempo fertile della solitudine – Campanotto Editore, 2018
Classe 1980, Luca Pizzolitto vive a Torino dove lavora come educatore professionale, alcuni suoi testi sono apparsi sulla rivista “Tratti”, Mobydick Editore, e su blog e siti letterari. Tra le sue pubblicazioni di poesia La terra dei cani (Thauma Edizioni, 2012), Ogni gesto produce rumore (per la Fondazione Mario Luzi Editore, 2014), Una disperata tenerezza (Ladolfi, 2014),In disabitate lontananze (Ladolfi Editore, 2015), La nuda vita (Transeuropa, 2016).
L’attenzione critica alle opere precedenti Il tempo fertile della solitudine si è focalizzata su un accostamento di termini chiave, l’immobilità e il silenzio. Eccellente in questo senso l’ingresso a In disabitate lontananze (Giuliano Ladolfi editore) a firma di Bianca Sorrentino che intravede nei versi di Pizzolitto “Una danza immobile e muta sull’orlo della solitudine […] nei suoi versi canta un eterno pas de deux tra due amanti senza volto […]” ed accenna a quanto diremo in seguito “Fino a quando quel desiderio non troverà compimento, l’immobilità diverrà un’occasione per custodirlo (Io resto qui, / sulla sponda dei sogni)”.
Sebbene siano ancora presenti tutte le istanze portanti, nell’ultimo libro di Pizzolitto si aggiunge un punto nevralgico, non definitivo, che produce però una certa dinamicità: il desiderio dell’incontro con l’Altro. La contemplazione estatica come esperienza di un sentimento panico trova nell’esergo la sua compiutezza e allo stesso tempo la traccia di un movimento originario; di fatto ad una prima lettura potremmo erroneamente ipotizzare che il libro non sia altro che una declinazione in versi del brano di Christian Bobin: “Tacere: il proseguire in solitudine, lungi dal tracciare una chiusura, apre la sola e durevole e reale via di accesso agli altri, all’alterità che è in noi e che è negli altri come l’ombra portata di un astro, solare, benevolo”. Di momenti analoghi è alluvionata l’intera silloge: “E ancora cerco in te \ la redenzione a questo esilio”. Questo ritorno peculiare dall’esilio ci suggerisce un’aspirazione all’alterità, un tentennamento nell’oscillazione tra immobilità e silenzio. È oltre questo livello interpretativo però che il messaggio poetico si rivela: il desiderio entra in questa falla dilatando il silenzio, rendendolo teso verso la voce.
E’ nella catena significante che l’io, pur stabilendo rapporti con il proprio simile, ritrova la verità del suo discorso nell’Altro, che non è solo l’Altro della parola, ma è anche l’Altro del linguaggio (Antonio Di Caccia) ¹
“L’Altro del linguaggio” è precisamente il grande accadimento della poesia. Per questo richiede un raccoglimento primigenio, affinché la contemplazione concentri l’insistenza dello sguardo verso ciò che è “fertile” e raggiunga il suo apice nell’estasi. Tuttavia, come accennavamo inizialmente, il lavoro che compie Pizzolitto non rimane sospeso in un luogo metafisico, incastrato in un’idea, ma si incarna nel linguaggio agente, nell’ “Altro del linguaggio”. Nei versi straordinari della poesia Pra Dmill troviamo l’emblema di questo movimento: l’esilio compie una torsione, la lontananza è perché si deve tornare, perché si compia “questo esistere di ora / il mio ritorno a casa.”.
Nondimeno la cautela con la quale l’autore tenta di avvicinarsi ci suggerisce che non siamo ad un arrivo (Qui ho vissuto eppure / non sono mai stato / da me sono partito e / in questo niente ritorno / in un silenzio stellato / e trafitto, sempre troppo /lontano da me.), che qualcosa si è mosso ma con lentezza e che a volte sopraggiunge una debolezza inattesa, segno della nostra fragilità umana. Da un punto di vista puramente formale la cifra stilistica prediletta è il verso breve, non ci sono altre aspirazioni retoriche in evidenza; nella brevità però si avverte l’urgenza di un altro movimento, dall’esserci immobile della contemplazione alla desiderante liberazione. Il che a ragion veduta ci spiega una certa insistenza sul sistema filosofico che Pizzolitto ha elaborato in versi e che gli permette di avere un punto fermo dal quale ripartire, un breve assetto prima di spiccare il volo. (fabio prestifilippo)
Domani, forse
Io vengo per sentieri
dove la gioia è un insulto
uno sputo che
cresce tra i rovi.
Sempre si sposta l’amore
un poco più in là.
Il mio cuore è spazio di terra
per l’inerzia di gatti randagi.
***
Da questa ferita che non cicatrizza
che spurga ogni giorno, e son anni
lo stesso siero, da questa ferita
mi attraversa a frammenti la luce.
Solamente quando leggo o scrivo
la morte dimentica il mio nome
mi cosparge il desiderio di una gioia
sconosciuta.
E così passa la vita
senza particolare rumore.
***
E’ gioia irrequieta
questo tendermi
mai esistere a pieno
vivo a piccole dosi
nelle parole che scrivo.
Sono fuori dal tempo
non addomesticabile.
Selvatico.
***
Giungo nudo alla parola.
Resta in attesa
non disturbare la luce.
L’inizio di tutte le cose
è qui
nel silenzio.
***
La fine dell’estate
Addormentarsi vestiti
dove il mare è soltanto un’attesa.
La mano di mio padre
nello spazio santo del ricordo.
Le rondini migrano
verso terre lontane.
Questa improvvisa moria di pesci
annunzia la fine dell’estate.
Una pioggia sottile è nell’aria,
odore di menta e rosmarino.
A volte, nevica anche qui
sulle strade abbandonate
di questa nera città.
***
Non trovo parole adatte alle circostanze
precipito, appartengo all’assenza e
l’assenza mi appartiene.
La soluzione delle pietre,
la notte
assolve e placa ogni dolore.
L’esilio è anche questo
vagare incerti nella luce,
sentirsi sempre a metà
sempre incompleti.
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¹ Antonio di Caccia: Lacan e il tema dell’Io: ( http://www.psychiatryonline.it/node/7459 )
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