Luciano Pagano – Soluzioni fisiologiche (Vydia 2020), Premio Lucini 2019
XXXII
prima o dopo tutto passa e ti dimentica
un anno fa c’era il sole come d’estate
quasi nevica adesso – è novembre
un ragazzo ogni mattina porta i fiori
sui resti della madre
morta a cinquant’anni e cinque chilometri
dalla fabbrica – era magra –
dicevano – un uccellino –
tu mi chiedi di cosa deve parlare una poesia
io ti dico che basta il cadavere di un
passero – nelle mani di una
che si fa chiamare Lesbia
Questi versi, dobbiamo dire così amari, di Luciano Pagano pongono un interrogativo rilevante nell’ambito della poesia, soprattutto della poesia contemporanea (e da cui sgorga poi gran parte dell’originalità e attualità del poeta): cosa è o non è oggetto di poesia?
Luciano Pagano dà a questa domanda cogente una risposta del tutto personale. Molti dei suoi componimenti traggono spunto da un fatto del quotidiano, da una notizia di cronaca, da frammenti di visioni, da dolorose esperienze personali e non, da problematiche sociali contemporanee, per poi allargarsi ad un significato extra-contestuale che aspramente tocca i fondamenti dell’essere, e ancor più, dell‘esistenza.
Sicuramente il macro-tema dominante, lo Schwerpunkt, potremmo dire, della poesia paganiana è la materialità del corpo (inteso come grave e sottostante a leggi fisicamente determinate, cfr. XVII), la produzione di umori e liquidi corporei che stilliamo o che bollono entro noi e che ci si scambia tanto da modificare inesorabilmente la nostra identità, i processi fisiologici (come la assimilazione, la digestione, la defecazione, cfr. VII o XV), il sesso, gli aborti, le patogenesi e i ricoveri ospedalieri (cfr. VII “otturazioni / tremori congestioni“ o cfr. X “sangue che é sudore / un letto all’ospedale militare“). In una parola, tutte manifestazioni che unanimemente fanno parte di una reificata e cosale dimensione umana, come se il dualismo mente-corpo si fosse accartocciato e poi ripiegato su se stesso, e la produzione e lo scambio di liquidi corporei guasti e residuali altro non fosse che un rimando alla stessa residualità e “sporcizia“ esistenziale (non per niente l’aggettivo “torbido” emerge a tratti nei testi, cfr. anche la scheggia poetica V “quindi ad acque torbide venimmo“) che, è poi a ben vedere, il motivo-guida degli altri temi collaterali (cui si accompagna, come detto, la riflessione metapoetica sugli argomenti e sul ruolo poesia).
Un discorso a parte va fatto per lo stile di Luciano Pagano, uno stile indipendente che, a parte minimi e formali (più che sostanziali) intarsi poetici (ripresi da Montale o Zanzotto) disegna un proprio modo, del tutto dolente, di dispiegarsi e di poetare.
Anzitutto Pagano alterna frantumazione sintattica (con l’aiuto di pregnanti enjambement) e assenza di punteggiatura, narrazione secca e lunghe pause cadenzate (scandite dall’uso delle lineette per gli incisi) con un andamento tendenzialmente verticalista avente il risultato di conferire maggiore enfasi possibile al verso (libero) con strofi di varia ampiezza (dal minimo delle schegge poetiche, ovvero strofe monoverso, a un massimo di venticinque versi). Gli schemi rimici in tale contesto così personale sono assenti, ma c’è una musica pietosa che aleggia e che è data sia dal gioco dei suoni (allitterazioni, assonanze, consonanze), ma soprattutto da un uso accorto delle accumulazioni preferibilmente di tre tipologie: accumulazioni quasi-sinonimiche per una migliore definizione concettuale connessa ad un ventaglio di possibilità alternative, accumulazioni di componenti variegate di coacervi emozionali (cfr. XXV) e accumulazioni di elementi visivi che in una sola gittata descrivono l’intero contesto (cfr. XV, scelta questa che sembra rimandare a una tecnica di matrice montaliana, cfr. Forse un mattino andando in un’aria di vetro). Altro meccanismo usato da Pagani, e di taglio decisamente cinematografico, è quello che si suole definire il montaggio produttivo, per cui ad un’immagine che fa da tema nel testo se ne associa subito e direttamente, senza soluzione di continuità, un’altra ad essa correlata ma in termini traslati (cfr. III “il tuo ventre conserva il cadavere / di una figlia – da due giorni smarrita sulla via del sapone – veniamo a prenderla / a estrarla dall’utero a succhiarla / a lasciarla a pezzetti in una stanza di pane / per terra in ginocchio il reparto di ostetricia”). Infine, un altro aspetto che tanto colpisce è il lessico di cui Pagano si serve e che è una miscellanea linguistica in cui termini tecnici tratti dalla biologia e dalla fisiologia, ma anche dalla fisica e dalla chimica si mescolano a riferimenti biblici e, per lo più, a termini d’uso quotidiano, ma di una quotidianità sofferente. Scelte tematiche e stilistiche, all’insegna di una accorata varietas, si compenetrano: ne viene fuori un quadro screziato e molteplice di una quotidianità e, in fin dei conti di una umanità, che popola addolorata, e decisamente residuale, i versi paganiani. (claudia mirrione)
VIII
la casa è ripulita e il cuore è vuoto
un pipistrello appena nato
fugge ubriaco nel sole di mezzogiorno
il geco di casa la fa sulle scale
una rana scappa – no – sono due rane
nel piatto un pasto di zanzare
nulla è cambiato
il mondo è il cubo nero
lanterna che stringevo col pensiero
fino a fargli occupare
lo spaziotempo di un atomo
e dentro mi addormentavo
occhi chiusi – braccia conserte
morendoli tutti
sperando che finisse questo giorno
XV
visita cupole romane cappelle
in strada uno stronzo col drone
volteggia ad altezza d’uomo – sono tanti
uno stormo – una massa elettrica
olocausto di volatili che migrano
non c’è razza di sorta
che celebri meglio
il distacco della retina morale
la sclera che mostra come stanno le cose
un paese impossibile
crescita affluenza zero
una gomma da ingoiare
facciamoci una foto nell’ombelico del Pantheon coi
sovrani inceneriti
mentre tutto torna al punto di partenza –
bolo – colon – retto – culo
XVII
tu sei il mio corpo di riferimento e
a ogni esperimento ti misuro e
ti osservo
dalla caduta dei gravi
all’attrazione universale
la resistenza degli urti – qui –
a ogni azione
corrisponde un’emozione tenace
e contraria
i fluidi che bollono
nei fuochi di un’ellisse – sguardi
la sublimazione delle ansie
di te pietrose in gas esilarante
quando viene il giorno
XXVIII
ti regalo i sei chili che ho perso in tre mesi
i fianchi di lardo assottigliati
i cucchiai di olio puro – il colesterolo
la barba di un mese finita nel gorgo
dell’acqua di peli – la schiuma
posso darti perché ieri
non ho cercato un minuto
ma tutti i secondi trascorsi con te
599184000 ne ho contati –
sono tuoi se li vuoi
te li regalo
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