Emanuele Pini: Considerazioni sull’Arte Nera

Una statua antropomorfa non è la rappresentazione di un uomo: questa è la premessa imprescindibile per ogni discorso sull’arte cosiddetta “primitiva”, per non cadere nell’abbaglio di credere che questa si riduca a un’espressione infantile o rozza.

Al contrario è innegabile che l’Arte Nera possiede una maturità artistica, una spiritualità e un’astrazione che hanno affascinato gran parte della critica europea del XX secolo. D’altronde se lo sguardo di un bimbo è metafisica, l’intaglio di una figura può divenire spirito, come è stato evidenziato da molte altre esperienze; parlo ad esempio delle prime pitture parietali nelle grotte di Lascaux, di alcuni ambiti della scultura e dell’architettura medievale, delle opere di Henri Matisse nel soleggiato studio di Cimiez, delle composizioni declamate a piena voce nella Parigi surrealista.

Se poi la società umana è divenuta lungo i secoli sempre più il prodotto di accumulazioni notevoli e molteplici, l’arte è stata spesso uno strumento di semplificazione, una riduzione all’essenza. Questo vale tanto più per le statue africane che consistono nella concretizzazione di spiriti, di potenze della natura, di stati d’animo, di desideri, se l’osservatore non si fa ingannare dalla finta apatia che talvolta è tratteggiata sui volti di queste creazioni.

Benedetto Antelami - Deposizione

In effetti è facile, soprattutto per quanti conoscono solo superficialmente un manufatto del genere, parlare di figure sproporzionate, quando in realtà le dimensioni apparentemente eccessive o quantomeno inverosimili del capo, dei genitali, dei seni o di altri attributi rispondono alla volontà di rappresentare non realisticamente ma gerarchicamente il mondo. Ho negli occhi la Deposizione di Benedetto Antelami, conservata nel duomo di Parma. Come dunque nelle immagini tardo antiche o medievali (fino all’approdo al realismo giottesco) il sovrano o il Cristo erano ad esempio raffigurati in modo più considerevole rispetto ad altri personaggi della scena, in modo da sottolinearne la preminenza del ruolo, anche nelle statuette africane la testa esageratamente estesa rispecchia l’importanza, l’intelligenza o la bellezza, come i genitali o il ventre sproporzionati rivelano la fecondità come attributo di uno spirito, come carattere di un voto, le armi sottolineano l’abilità nel combattimento. Allo stesso modo all’interno dell’ Esodo non vengono descritti le espressioni, le dimensioni, i dettagli del vitello d’oro forgiato dal popolo ebraico nel suo cammino verso la Terra Promessa, l’idolo per eccellenza: per il lettore questo oggetto viene creato dalla sfrenatezza di Israele e allo stesso tempo ne materializza il peccato. L’artista non traccia un volto realistico, ma intreccia un legame con una forza reale. Non sto quindi parlando di mere simbologie: l’oggetto è l’incarnazione dell’idea che lo ha generato, dunque della realtà percepibile.

È frequente poi ritrovare nella stessa statua materiali di natura differente (legno, metalli, cocci di vetro, resti animali, capelli, bottoni, chiodi) e quest’uso testimonia così il fatto che queste creazioni vogliano contenere tutto l’universo nella sua eterogeneità, in ogni suo aspetto. Natura morta con sedia impagliata, così Picasso intitolò nel 1912 la sua prima opera caratterizzata dal collage, dalla presenza di ogni sostanza che potesse racchiudere quell’istante, di quella realtà che si allontana nel tempo, ma non nell’arte: il mistero di racchiudere un cosmo in un bicchiere.

Possiamo dunque in generale concludere che l’arte diventa totem dell’intera esperienza della vita. E in effetti le stesse maschere, spesso misteriose agli occhi degli osservatori stranieri, non avevano come scopo quello di nascondere il volto degli uomini che le portavano, ma a manifestare. A manifestare cosa? Gli avi che guidano la società, gli spiriti che si muovono nell’oscurità, le potenze imperscrutabili che governano la vita. Non sto parlando di elementi esoterici, ma di agenti protagonisti anche della nostra quotidianità: l’amore, la vendetta, la gioia della creazione, il lutto della perdita, l’euforia, il timore per il futuro, la malattia. Non è un caso che anche nella tradizione cattolica, dalle origini sino a oggi, i fedeli si affidino a spiriti di defunti particolarmente onorati, definiti “santi” dalla comunità, per chiedere queste grazie attraverso l’intercessione di Dio.

“O glorioso s. Biagio, che con una breve preghiera restituiste a perfetta sanità un bambino infelice che per una spina di pesce attraversatasi nella gola stava per mandare l’estremo anelito, […], ottenete a noi tutti la grazia di sperimentare l’efficacia del vostro patrocinio in tutti i mali di gola”: questo esempio, uno tra mille, mostra come il concetto di antenato illustre è presente e pulsante anche nel mondo occidentale moderno.

Questa spiritualità sottesa mostra pertanto come l’oggetto non sia un semplice suppellettile di svago, ma acquisisce i caratteri di un’importanza maggiore, se non addirittura della necessità.

"manga kwa cibola", statuetta luluwa, Congo

In effetti gli oggetti artistici di quest’arte cosiddetta “primitiva” svolgono sempre una funzione sociale, politica e insieme religiosa: maschere per rappresentazioni, scettri per mostrare il proprio rango, statuette per ricordare gli avi o per domandare favori, quotidiani o straordinari che siano, strumenti rituali per cerimonie pubbliche o private. Sottolineo dunque come questa produzione non ha un mero fine decorativo, ma al contrario contiene l’espressione di un inconscio collettivo, di una volontà comunitaria e non solo individuale. Questa è l’estrema sintesi di un manufatto: esso ha un’utilità pratica che svolge nella concretezza, una funzione sociale spesso legata a un rito, a una performance collettiva. I manga kwa cibola dei luluwa erano statuette raffiguranti donne gravide affidate a quelle ragazze che avevano avuto rapporti prematrimoniali: queste, definite da quel momento appunto cibola, erano allontanate dalla comunità per tre anni e si prendevano cura con sacrifici dell’oggetto. Questo rappresentava il loro status sociale, il giudizio e i timori culturali del villaggio nei confronti dell’infrazione, ma al contempo le legava alla potenza delle divinità ed era un voto affinché, nonostante il peccato, il bambino potesse nascere sano, senza malattie, diventando secondo la tradizione familiare la reincarnazione dello spirito di un antenato. L’oggetto lega a doppio filo l’individuo alla collettività, al rito, al divino.

Questo non deve far pensare che l’Arte Nera sia senza tempo e senza artisti, poiché in realtà un osservatore attento potrà notare stili differenti per i vari manufatti, variazioni non solo a seconda dei luoghi ma anche dei periodi di produzione, e chi ha maggiori competenze potrà distinguere anche varie personalità artistiche: artisti che, nella loro autonomia, riescono a raffigurare le paure, i sogni, le preghiere di famiglie, villaggi, di intere tribù.

Questo fa sì che un poggiatesta, uno scettro, una saliera o un copricapo ancora oggi possano mostrarci non solo la cultura ma la spiritualità elegante, delicata di popolazioni in realtà non così lontane dal mondo occidentale come si potrebbe credere.

Un esempio. Guardate un nkisi congolese, conficcato da chiodi, e accostatelo a una qualsiasi delle numerosissime rappresentazioni tradizionali di San Sebastiano, raffigurato infitto da decine di frecce.

Mantegna, S. Sebastiano - statuetta

Uno è il santo più raffigurato nella tradizione cristiana dopo la Madonna, l’altro è una statuetta, anche in questo caso composta da più materiali, a cui lo stregone chiedeva una manifestazione della sua potenza. Conficcando un chiodo, un coccio di vetro o qualsiasi oggetto appuntito, si risvegliava attraverso il taglio e la sofferenza lo spirito, una potenza naturale o un avo, che veniva richiamato nel manufatto per esaudire la preghiera del rito, una guarigione, una vendetta o una gravidanza.

Da un’analisi si può registrare nelle due raffigurazioni una chiara attrazione per il macabro, per lo splatter, ma, poiché bisogna escludere influenze culturali dirette, l’analogia evidente ci segnala come la santità, per certi versi, e il contatto terreno col divino sono intesi da entrambe queste tradizioni come un’esperienza mistica e al contempo intrisa di sofferenze. A partire da questo confronto mi piace perciò supporre che anche il contenuto delle due rappresentazioni del divino non sia così antitetico e la comprensione di una chiarisce anche la funzione spirituale dell’altra, dal momento che il cuore dell’uomo è solo uno e pulsa con lo stesso ritmo. L’Arte Nera così passa a far luce anche sull’Arte Europea del passato. (emanuele pini, 22 agosto 2020)

maschera Gabon / Picasso, Testa femminile

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