Paolo Roversi – Studio luce, nota di Elisa Castagnoli

Paolo RoversiPaolo Roversi, “Studio Luce” in tempi di oscurità

“The studio is everywhere, it is a corner of my mind.”

“Studio luce è una stanza rettangolare con il soffitto alto, il pavimento di vecchio parquet e una grande finestra orientata a nord. E’ un  piccolo teatro con un’attrezzatura scarna. E’ qui dove lavoro ogni giorno come un artigiano nella sua bottega”.

 Primo punto focale della retrospettiva su “Paolo Roversi” è l’idea di studio come luogo di rielaborazione mentale dell’immagine oltre che lo spazio fisico dove il fotografo lavora da anni nel suo atelier  parigino,  da cui  prende il titolo la mostra. 

Il Mar di Ravenna ha ospitato fino a pochi giorni fa_ prima dell’obbligata chiusura per le restrizioni imposte dall’emergenza Covid (*)_ la retrospettiva dedicata al fotografo ravennate Roversi da anni stabilitosi a Parigi con le sue più note fotografie di moda ispirate a muse della bellezza contemporanea: i suoi ritratti di personaggi  “famosi”,  le “still life” come visioni soggettive dello studio, infine una serie di scatti inediti provenienti da Vogue o da altri editoriali  del settore .

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 La mostra spazia attraverso quello che a prima vista apparirebbe come il regno dell’effimero e del transitorio allo stesso modo in cui il mondo della moda si mostra a noi nel suo involucro  scintillante, lieve e dorato fatto di belle apparenze;  al suo opposto   viviamo oggi in Italia, per una seconda volta, un parziale confinamento imposto per tentare di arginare la pandemia  Covid in atto. Ciò si traduce nella cancellazione di tanta parte del nostro vivere sociale:  ogni forma di aggregazione bandita, gli spazi culturali sottoposti a restrizioni, i luoghi pubblici e di socialità chiusi nella palese austerità o rinuncia a tutto ciò che non appare sostanziale e necessario.  Tali immagini  sembrerebbero fuori luogo ora, il contrasto con l’emergenza economica di oggi stridente eppure forse è proprio in momenti di oscurità o parziale oscuramento della nostra vita collettiva che sentiamo il bisogno più che mai e la necessità di  tali ansiti di bellezza. Perché le fotografie di Roversi più che scatti di moda si imprimono ai nostri occhi come  impronte di luce, non solo ritratti di corpi ma vere e proprie emanazioni di anime colte in rari momenti di autenticità. Essi iniziano a deporre le proprie maschere per lasciare a noi trapelare una loro più intima verità. Forse oggi più che mai queste immagini eteree e inconsistenti ci parlano della permanenza della luce in un mondo che si restringe ai nostri occhi e si chiude portandoci via terreno da sotto i piedi, giorno dopo giorno oscurati da pandemie  e fobie collettive . Qui, al contrario la fotografia di Roversi è definita da Emanuele Coccia “il contagio della luce, di corpo in corpo, di anima in anima, di istante in istante”[1]

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Ancora  il fotografo parte proprio dall’idea del suo studio fotografico, l’atelier  di creazione dove lavora ogni giorno, come “luogo simbolico” che si apre oltre lo spazio fisico limitato, chiuso appunto del presente.  Là, le immagini ci fanno accedere nella loro potenza poetica ed evocativa. Di tali spazi di pensiero, di immersione sensibile o di apertura immaginativa abbiamo più che mai bisogno oggi contro le chiusure e i distanziamenti, le restrizioni e l’annullamento di tanti aspetti della nostra vita culturale e creativa.

 

 

Studio Paris

“Lo studio è ovunque”, afferma Roversi,  è un atto di sublimazione della realtà che lo circonda, degli oggetti, dei volti ai quali chiede di lasciare affiorare la loro storia, la macchina fotografica solo lì per raccontarla. La  “Deardorff“, da sempre il suo strumento privilegiato di lavoro, è ripresa in diversi scatti come un oggetto del passato, magico e misterioso investito di un qualche indicibile necessità e segreto. Ancora lì, identica dopo anni, immutata e immutabile nel tempo, vista nella sua aurea luminosa e trascendente su uno sgabello a distanza oppure di profilo come uno strumento musicale: una  fisarmonica pronta a accordarsi nelle proprie segrete armonie con quello che la circonda. Appare , infine in primissimo piano come la lente riflettente ingrandita al centro dello spazio: l’occhio della mente, della visione soggettiva espandendosi dal subconscio alla realtà esterna. La macchina appare lì nel suo potere di creare e distruggere, di rivelare con mistero, charm e fascino gli oggetti, incantandoli nell’atto stesso di produrre immagini.

 

 

Polaroid Processor (2002)

Un ammasso di vecchie pellicole, film e ritagli di negativi fotografici sono gettati sotto un tavolo e lì lasciati confondersi nel dimenticatoio delle loro passate provenienze. Danno vita a una composizione inedita nata da “una manciata di immagini” infrante e ricomposte. Che cos’è la fotografia se non questo costante tagliare e comporre, arrestare e trasformare, gettare via per ritrovare sotto altra veste quello che non può essere preservato immutabile nel tempo. Come per queste migliaia di polaroid il fotografo procede lavorando pazientemente_ artigiano nella propria bottega_ ogni giorno per scoprire attraverso la propria visione mille modi di raccontare la stessa storia in una miriade di forme differenti. 

 

 

Blanket

La coperta è un fondale appeso a un muro, distesa come una pelle di animale scuoiato contro lo spazio vuoto dello studio illuminato da un semplice riflettore. La coperta è sudario di corpi lì impressi anche se invisibili al di sotto. E’ schermo di protezione, velo, bianco spazio vuoto che lascia affiorare  e mettere a nudo la prima pelle del soggetto per cogliere del suo essere il riflesso che si rivela nell’immagine fotografica.

 

 

Lo studio è una scena dove ogni cosa può accadere”, afferma Roversi; è un “teatro alchemico” che non vuole isolare il soggetto per dare a lui una fittizia apparenza quanto, come l’ attore nel momento performativo, rivelare la sua più autentica presenza. La scena come lo studio fotografico è nella foto di Roversi il luogo di tale svelamento. Uno spazio deserto dopo lo spettacolo; il parquet risuona di passi mentre un paio di scarpe nere a tacco alto, lucide ed eleganti si stagliano su quella scena vuota. Il sipario si chiude, le quinte senza tendaggi si mostrano nelle loro struttura a vista. Il tempo è sospeso, denso e abitato da ciò che è lì appena avvenuto.

 

 

“Ogni cosa è ritratto e ogni cosa è autobiografia”

I grandi ritratti di Roversi sono corpi femminili visti nella sublimazione della propria intrinseca  natura e per l’aurea che emana ciascun volto_ l’intima vibrazione di un essere_  rivelato dallo sguardo del fotografo.  Un alone luminoso  li avvolge quasi ci aprissero a un mondo. Sono intimamente scrutati, lasciati parlare, quasi esorcizzati nel loro potere di  influenzare o attrarre il nostro sguardo. Come osserva Coccia: “La fotografia non è stata inventata per permetterci di conservare la memoria dei morti; si è imposta a noi perché ognuna delle anime che ci abitano deborda dai nostri corpi, desidera vivere altrove, nella pellicola, nelle stampe, al fondo di chi ci osserva”[2].

 

 

Volti di donne sono ripresi in primissimo piano; emergono sul vuoto del fondo, tagliando quasi quel velo sottile che separa lo spettatore dall’immagine. Sublimati in estetica forma, ora intrisi di malinconia riflettono il proprio modo di esporsi  al mondo. Il volto può diventare una narrazione per immagini:  è in parte oscurato in Audrey da un filtro colorato che evoca   l’ansito del desiderio, ora è immerso in un’aurea di purezza oltre la sua reale presenza. 

Natalia appare come creatura angelicata, ispirata alla figura di Beatrice nella tradizione dantesca, colei che irradia nello sguardo trasparente una innata luminosità cui fanno eco gli ori bizantini della città natale di Roversi. Rihanna, al contrario, emerge come una Cleopatra moderna, donna affascinate e tentatrice immersa nel sostrato della cultura araba fatta di fumi di narghilè ,  veli e chador a nascondere o velare il corpo e gli ori scintillanti di bracciali e preziose spirali antropomorfe .      

Roversi definisce la bellezza un inspiegabile equilibrio della natura, “ una linea sottile tra la luce e l’oscurità, la realtà e il sogno, la verità e la finzione connessa all’inseparabile relazione tra due opposti[3]. Forse la linea stessa che separa e unisce tali opposti.

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Altri ritratti  emergono in una forma essenziale liberata da ogni superfluo,  quasi che la superficie dell’immagine riuscisse a coincidere con il volto interiore dell’io rimasto intrappolato sotto la pelle, dietro l’abito, oltre  l’espressione di convenienza, dietro la maschera interiorizzata del nostro vivere sociale. Impressi di fronte a noi come maschere nude essi ci guardano perlopiù frontali oppure illuminati per metà di profilo, diversissimi tra loro: ora inquieti, insidiosi, angelici ora limpidi o provocanti in un faccia a faccia unico e inequivocabile con l’ obbiettivo. Una “mutua confessione” tra fotografo e soggetto.

Yemen (Al-Mukkala)

Un villaggio bombardato dalla guerra, disertato dai suoi abitanti, in fuga, infine occupato dalle milizie estremiste. Là, solo i bambini nell’immagine sono rimasti: una tribù di bambini di tutte le età, grandi e piccoli al centro della scena nello spiazzo di terra vuota. Dietro di loro  sono le case in terra battuta, le capanne fatiscenti, i tetti di paglia. i muri e il suolo disseminati d’argilla. Loro appaiono al centro di questo piccolo mondo antico fatto di orfani e figli nati in mezzo al deserto: gioiosi, non curanti del resto, pieni di speranza in un sogno che sembra aprirsi solo quando le milizie e le millenarie autorità religiose si eclissano per lasciare il villaggio abitato da questa tribù di soli bambini.

 

 

Looking for Juliet” ( 2020)

“ Ho sempre sentito la fotografia più come una domanda che come una risposta”” afferma Roversi a proposito della serie di immagini del calendario Pirelli 2020 ispirate alla figura di Giulietta nella tragedia Shakespeariana. Le immagini create per la serie fotografica appaiono come ritratti di giovani donne ispirate a dame del ‘500 nei dettagli di decolté magnificenti. Acconciature o gemme brillano sui corpetti stretti e raffinati; i volti ritornano cerchiati da un’aurea nobile e radiosa . Appaiono scalinate e portici di palazzi rinascimentali, una figura in fuga, statue a replicare gli stati d’animo dei personaggi. In un’altra versione moderna Giulietta è vestita in jeans e maglietta con lo stesso volto audace, nitido e appassionato della figura shakespeariana. Le  immagini ricreano l’ambientazione originale, l’aurea del personaggio riportandolo ai giorni nostri perché la fotografia si vuole “traccia atemporale” che l’immagine lascia oltre il momento presente.

 

 

 Sempre la fotografia in Roversi permane come luce che illumina l’invisibile che ciascuno porta in sé”  lasciando, infine, emergere attraverso il ritratto l’intrinseca emanazione di cui è fatto un corpo. (Elisa Castagnoli)

(*) Un bel tour virtuale dell’intera mostra è fruibile QUI.

 

 

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  1. Emanuele Coccia, “ Light from light, soul from soul”, Catalogo Mar 2020

  2. Ibid.,

  3. Paolo Roversi, Catalogo Studio Luce, Mar 202

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