Aljoša Curavić – Scadenzario minimo di un viaggio senza fine – Oltre Edizioni 2020, introduzione di Gabriella Musetti.
E’ ovvio che si debba aggiungere qualcosa a queste parole, innanzitutto perchè il libro di cui stiamo parlando è una esplicita distillazione di un lungo periodo, una distillazione immagino anche severa se, come appare, questa raccolta non è un canzoniere, non vuole essere una autoantologia, né forse aspira ad essere essenziale. Potremmo dire che quella di Aljoša Curavić è una poesia di momenti topici, di punti di caduta sentimentali, di legami inscindibili disposti sui due assi del tempo (questi lunghi anni) e dello spazio (diversi luoghi del mondo, Firenze, Lisbona, la Grecia, l’America) senza che questi due assi determinino per così dire una necessaria sequenzialità “storica” ma siano semmai legati da un “genuino desiderio di ricomporre brani del passato” (…) “consapevole che la memoria non recupera l’accaduto se non per brevi spazi sospesi”. (Musetti). Aljoša in questi spazi sospesi tenta di ricostruire a memoria una sorta di viaggio astrale (la raccolta è datata singolarmente “Stardate 198011.03 – 201912.04”), fatto non tanto di frammenti di tempo ma di luoghi in cui il poeta si è manifestato come frammento riconoscibile di sè, di una identità in cui si ritrova, luoghi in cui un’aura poetica permane. Con un interessante uso della lingua e una abile scrittura in cui si intravedono paradigmi di tutto il maggiore Novecento italiano e oltre, compresi – come nota Musetti – certi stilemi della poesia di ricerca, Curavić quindi annota in questo libro ricorrenze di vita, incontri, viaggi, amori, città, perdite (intensa la poesia dedicata alla madre, v. oltre) o semplici percezioni, in una sorta appunto di scadenzario ex post, fatto per non dimenticare certi appuntamenti con la vita, di quelli che solo in un secondo tempo individui come memorabili. Se è vero che il viaggio non può essere infinito, da questo punto di vista può esserlo la casualità che determina non tanto il ricordo in sé quanto la sua persistenza, la sua coscienza, quanto cioè concorra, come direbbe Paul Ricoeur, all’ipseità, al racconto di sé, al “piccolo miracolo del riconoscimento”. Dal libro emerge una apparente diaspora di momenti, come un che di rapsodico, come una sorta – annota ancora Musetti – di “scritture ancora in elaborazione, una sorta di work in progress” però, aggiungerei, proiettato in qualche modo verso il futuro di altre “scadenze”. Ma tutti questi testi sono legati da un filo esistenziale, da un modo di vedere le cose tra lo smaliziato e il doloroso, tra l’innocente meraviglia e la consapevolezza del “raro”, di una speciale rarità di momenti di cui a volte sulle prime stentiamo a riconoscere il valore. Su questi presupposti Curavić costruisce la sua personale galleria, forse più per sé che per il lettore, a cui resta la curiosità di conoscere cos’altro sia poeticamente accaduto in questi quarant’anni, cos’altro, forse per timidezza o pudore o eccessiva autocritica, Aljoša abbia lasciato nel cassetto. (g. cerrai)
Madre, scongiura disgiungi impreca
Lo stacco sereno lo smacco,
Spigola sterra l’aria crudele ,
Disossa impasta trama
La tua assenza insetto infelice.
Fatto di nulla e di grasso
Il tuo sconcio amore sa le scorciatoie
Che conducono a me.
Ricordi ancora di nuovo,
In te neanche l’inanità s’arresta.
O cellulosa silfide
Che pedali leggera con me nella vita,
Non resta che un amniotico zinale,
Mucido e muto, a segnarmi la via
Che t’ha sfinita..
***
Forse calerà la notte un’ altra volta
E il giorno scoppierà fra le tue mani
Come una cosa
Come una rosa
Né tanto rara né tanto comune
Né tanto mia né tanto tua.
Forse una tana. O una tara.
Avrà le tue mani la mia notte
Scintillerà come bilioni di soli
La mia calata. Saremo –fratello mio–
In tanti vedrai non aver paura
A frotte.
Forse un’altra volta ancora di nuovo
Le mie mani un’altra insolita volta
Si fermano e non aspirano più
Le polveri del mondo.
***
Oggi la giornata scorre senz’angoscia,
Trasumanata come uno pneumatico
Urta qualcosa d’anteriore
A quest’ andatura floscia.
Forse sei spericolata lasciatura
Di qualche divino tipografo
E non cronica contingenza di pedone
Vetturale. O sei come
Chi in una improbabile 126 posa
Una improbabile velocità culona
E d’ogni passante coglie ciò che passa.
Va vite,legere peigneur de cometes!
Sì, vai veloce, leggero pettinatore di comete!
***
Istria. La nostra micragnosa storia
Convulsa come guati appesi all’ amo
E’ nata su banchi di arenarie marnose.
Ti odio e ti amo o carogna rossa
Di terra e carnosa per quel che in te
Non è storia ma ossa.
***
Non è una questione di mente
Non è nemmeno una questione.
Come descrivere questa sorta
Di molle refrattarietà del male
Di ostile benevolenza del bene?
Amore mio che sopporti
Tutti quelli che t’hanno
Amata con leggerezza
Oppure no, lascia
Che m’adagi accanto a tutti
Quelli che t’hanno amata
Oppure no.
Bellezze plastificate liofilizzate
Omogeneizzate
Copule computerizzate
Compite infrazioni, aimè,
Non ci sono rimaste neanche
Le scorciatoie che conducono
A Te.
***
VERRAI ALLA TUA MORTE
Il dubbio s’insinua
Dove rimani sospeso
Appannato
Come il parabrezza
Dopo uno scroscio d’acqua
Improvviso
Equatoriale
Indeciso
Non più certo del certo
Senza forma né peso
Come mai nato
Dannato a non esserci dopo
Che sei stato
Il dubbio
Certo s’insinua
Nella certezza d’esser passato.
Verrai
Come non visto
Sterzando
Giù
Per la discesa
***
SOLO
Alla fine
Ti ritrovi solo
Appoggiato allo stipite
Duro
Di una porta che hai varcato
E rivarcato all’ infinito
Nudo
Spogliato di tutto
Del sangue che t’ha generato
Delle lingue che hai parlato
Delle case che hai abitato
Degli amori che hai rubato
O che t’hanno depredato
Solo
Dell’ indifferenza indifferente
Duro al duro
Un po’ dentro
Un po’ fuori
Né dentro né fuori
Come i morti che nessuno ricorda
Alla fine
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