Dante: visioni nell’arte, (ai Musei san Domenico di Forlì)
“La visione dell’arte”, ovvero la potenza visionaria di una poesia, quella che ha inspirato l’opera di numerosi artisti e pittori nel corso dei secoli, liberamente tratta dall’opera di Dante, dalla sua poesia giovanile a sfondo stilnovista ma soprattutto dall’universo poetico inesauribile della Divina Commedia. Questo è il tema al centro della nuova esposizione ai Musei San Domenico di Forlì riaperta al pubblico alla fine di Aprile dopo la sofferta chiusura dovuta alle misure di contenimento Covid.
Temi e immagini, figure e personaggi della Commedia restituiti dal genio poetico di Dante hanno continuato a dominare nei secoli l’immaginazione collettiva oltre che a ispirare la figurazione plastica o pittorica di molti artisti e scultori. Vale a dire se non è forse possibile comparare due mezzi di espressione tanto diversi quanto la parola, il verso nella sua evocazione poetica e la rappresentazione visiva, molti artisti nel corso dei secoli si sono confrontanti alla potenza visionaria della Commedia dantesca, opera dove la realtà storica è costantemente riflessa in quella ultraterrena e viceversa mentre i ritratti dei più noti personaggi delineati in pochi tratti poetici restano vividamente impressi nella memoria collettiva. Lui, Dante, poeta esule nel viaggio di ascesa dell’anima dal peccato alla salvezza diviene interprete e mediatore della cultura classica e, insieme,della rivelazione cristiana alle radici della nostra civiltà moderna.
L’intreccio tra arte sacra e rappresentazione della dimensione ultraterrena coincidono spesso in epoca medievale spostandosi, invece, in epoca moderna verso un’interpretazione astratta, una rilettura sempre più simbolica di temi e figure tratte dall’opera dantesca, come vediamo nell’estetica simbolista o nella pittura preraffaelita inglese. Certo la Divina Commedia come tutta l’opera di Dante continua a costituire una fonte inesauribile di ispirazione, di citazione pittorica, di rilettura anche distante o rinnovata rispetto all’originale tanto che l’arte in tutte le epoche non può prescindere da riferimenti immaginativi o plastici a una delle pietre miliari della nostra poesia e cultura occidentali.
SCRITTURA PER IMMAGINI DALLE OPERE ESPOSTE…
Dante Gabriel Rossetti, “Il saluto di Beatrice” (1828)
La vede come apparizione inattesa nella folgorante bellezza di un istante mentre lo sguardo di lei volge oltre il tempo presente, nel suo enigma, nel suo ineffabile mistero. Contornata da un manto di rose fiorite a lato, la città in una citazione di architetture classiche alle spalle. Ne ritrae lo sguardo enigmatico, l’impressione di una bellezza affasciante e lieve, la natura inquieta e imperscrutabile.
La vede in tale figurazione antica rivestita dell’aurea della donna che in un momento sublime d’amore folgorò il giovane Dante e gli concedesse il saluto, fonte di beatitudine. Il poeta volse poi quella visione in pura poesia lirica ne “La Vita Nuova” fino al momento della morte della donna amata che lo condusse alla trasfigurazione dell’amore terreno in strumento di elevazione spirituale: “fondamento di salvezza eterna”. Beatrice, la donna simbolo di spiritualità e di grazia divina tanto da farsi tramite alla visione di Dio ne Il Paradiso, resta il fulcro intorno al quale si dispiega in Dante la forza propulsiva d’amore_ dunque l’ispirazione poetica- dall’umano al divino.
L’artista Dante Gabriel Rossetti in epoca simbolista rappresenta la sua musa con una simile aurea di spiritualità e mistero: la bianchezza sensuale della tunica le cinge la vita, lo sguardo enigmatico e sfuggente cela un qualche imperscrutabile segreto, quasi fosse un’apparizione sovrannaturale.
Felice Casorati, “ Per sé e il suo ciel concepe figlia ( Dante Purgatorio 28), 1917
“Intendiamo ribadire che la bellezza è il volto della verità che solo per suo mezzo [..] ai poeti si rivela ciò che nessuna scienza o filosofia chiarirà mai: l’ombra dell’ombra, la luce della luce, la vita e l’amore, la morte, la terrestre umana e la celeste anima del mondo nel suo più puro mistero..”
Visione simbolista, la donna ricoperta di una tonalità acquorea è quasi dea, ninfa immersa in un fondale bluastro intrecciato di tocchi di rosa che evoca un campo fiorito, il baluginare di tante piccole scintille su uno sfondo blu oltremare, e ancora, onde fluttuanti sulla tela. Il corpo della donna è immerso in questa tonalità irreale, bluastra e onirica, che evoca la profondità soggettiva di un inconscio mare-vita-memoria. Solo un piccolo involucro rosa compare in forma astratta tra le sue braccia evocando la nascita, la nuova vita che potrebbe prendere forma mentre lei volge lì il suo sguardo completamente assorta in quella visione. Un’ondata oscura, tenebrosa è alle sue spalle pronta a travolgerla, ancora invisibile ai suoi occhi ora. Il colore astrae le figure su questo sfondo vuoto, luccicante e simbolista che evoca il sovra-sensibile oltre la realtà storica, mentre l’idealità diviene più importante della realtà naturalista. Una ninfa è distesa come ombra, appena visibile tra le linee in basso nella seconda tela di Casorati mentre il quadro rappresenta una visione d’alberi e solo in un momento preciso allo sguardo compare questa altra figura celata: visione a specchio, salto verso una seconda realtà che si cela per i simbolisti dietro quella apparente e manifesta.
Canto V dell’Inferno, le ombre di Paolo e Francesca…
L’inferno dantesco influenzato dalla visione dell’ Ade pagano immerso nelle tenebre e popolato da una folla immane di anime viene riletto e reinterpretato secondo la visione medievale cristiana come il regno dell’oscurità, della totale perdizione dove le anime dilaniate sono condannate all’eternità del male e inviate secondo la gravità delle loro colpe in sempre più atroci gironi infernali. Eppure l’incontro con Paolo e Francesca travalica, soprattutto nell’interpretazione moderna la dimensione medievale di colpa per lasciar emergere l’ombra di queste due anime gentili arrese all’amore “ch’al cor gentil ratto s’apprende”, quell’amore di matrice cortese che amando fa si che non si possa non essere riamati e che condusse i due “ ad un morte”. Ancora ” nel regno infernale come vento impetuoso travolge le due anime all’unisono in un impeto che “non li abbandona”. Svariate le interpretazioni pittoriche del celebre canto nel corso dei secoli, rilette in maniera differente a secondo dello spirito e pensiero dominante nelle diverse epoche. Nella tela di Ary Scheffer( 1835) “Le ombre di Paolo e Francesca appaiono a Dante e Virgilio” immerse in un’oscurità infernale priva di ogni lucore e speranza eppure avvolte in questo abbraccio travolgente, quasi portate da una folata di vento, all’unisono in una visione romantica, sublime e anti-medievale della passione amorosa.
Nella tela di Lecomte de Nouy (1863) il romanticismo è ancora più esasperato là dove la visione dell’estati amorosa coincide con la sofferenza della pena infernale evocata mentre i due corpi sono sempre più avvolti in una stretta che costantemente ricongiunge unione e lacerazione. Traspare dalla tela il senso di qualcosa che travalica i limiti dell’umano, l’impeto di una passione assimilabile all’infinità della natura, intrisa di un sentimento di sublime romantico. Ancora nel 1888 nella versione simbolista di Mose Bianchi le figure dantesche come vere e proprie icone appaiono estasiate, rapite su uno sfondo aureo, sospese e fluttuanti su un piano irreale tendente al sogno o al mondo spirituale oltre ogni realismo.
Gaetano Previati, “Il sogno”, (1912)
Evoca le ambientazioni immerse nell’oro e pervase di sensualità e bellezza femminile sulla scia di Klimt, e ancora il movimento infinito e la forza dinamica insita nelle sculture di Boccioni. Sul fondale dorato e inclusivo le figure appaiono travolte, rapite in questa dimensione ultra-umana, fusionale e quasi paradisiaca di erotismo mentre i corpi sono immersi su uno sfondo vivace e solare. Ai loro piedi sorge una natura rigogliosa mentre un’onda immensa e bluastra li avvolge. Non più visti nella condanna alla dannazione infernale come nella visione medievale ma arresi in qualche a una forza travolgente intrisa d’amore e di spiritualità quale via d’accesso privilegiata a un’altra dimensione oltre il visibile.
Sacha Schneider, “Giuda Iscariota”, 1923
Figura intera, ritratto o auto-ritratto moderno: il corpo è nudo, essenziale su uno sfondo oscuro mentre alle spalle sono una croce rovesciata, ombre informi alla deriva. La testa è reclinata quasi non potesse guardare dritto di fronte a sé per il peso della colpa; avanza in cammino imprigionato, arrestato da una corda sottile, rossa e intricata che ne circuisce il petto, le spalle, il torso, la schiena. Rosso è il filo che lega Giuda alla sua condanna, al suo tradimento, come rosso è il sangue di Cristo colante sulla croce nella sua passione, morte e resurrezione. Rosso è il filo che lega Giuda Iscariota come anima perduta all’inferno della sua colpa; rosso è il filo che lega la figura al suo inconscio dilaniato, arreso alla perdizione, condannato di per sé stesso da quella corda che lo serra fino a togliergli il respiro.
Albert Maignan, “Dante incontra Matelda” ( canto 28 Purgatorio), 1881
Simbolista, magnificente ed eterea Matelda appare in bianco come angelo annunciatore del futuro paradiso celeste. La vediamo in questa tela di fine secolo avvolta in un candido abito bianco simile a veste nuziale. Un’apparizione quasi celestiale che anticipa l’ascesa al terzo regno ultraterreno per Dante. Cammina nella sua aurea di assoluta bellezza sulle rive del fiume Lete cogliendo fiori splendenti di quell’Eden rigoglioso e verdeggiante colmo di alberi fioriti che appare come il paradiso terrestre alle sue spalle. A lato il poeta e la sua guida ammirano la visione rapiti. Figura allegorica reinterpretata dall’estetica simbolista di fine ottocento, Matelda incarna la condizione di felicità primigenia prima della caduta causata dal peccato originale. Nel Purgatorio è anche colei che rivela al poeta il senso “dell’acqua di verità” nella quale sarà battezzato: i due fiumi, il Lete che dona l’oblio dei peccati commessi e l’Eunoé che fa ricordare solo le azioni buone compiute così da renderlo pronto a “salire alle stelle”. Ancora una volta è in Dante la figura di una donna, che anticipando l’apparire di Beatrice come guida ammantata di luce ne Il Paradiso, apre la strada al regno celestiale portando in sé, nel suo sorriso, la contemplazione dell’opera di Dio sulla terra. (Elisa Castagnoli)
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