Ugo Magnanti – Il nome che ti manca – peQuod 2019
da Il battito argentino
Banalmente siamo
due esseri fra loro
assai discordi
forse ribolliamo
per le stesse strade
e persino
addentiamo il caffè
nel medesimo vano
da una pianta equivalente
aspiriamo qualche frutto
aspro
perché un compagno
ci trascina
più lesto di noi
a ciò
a tale rapina
perché così
a volte ci pare
due esseri fra loro
assai discordi
col cappello di carta
con la mole accresciuta
fra le crepe
di un capodanno
livido.
da L’edificio fermo
È solo un palazzo fra tanti,
un prodigio sollevato dal
deserto, è tutto ciò che
spazia al crepuscolo davanti
alla sua ombra isolana.
Per giorni lenti il cancello
si è infuocato, e la statale
che gli sfolgora accanto si è
fatta ipnotica, riflessa su vetri
di assenzio, in un riverbero
che risveglia le vertigini.
E affiorato col vento, come
un nervo smisurato, sotto
nuvole che non hanno forma,
fra la luce e gli abbandoni
che respirano dai muri, così
riconosco Pavido bisogno
di essere covato, di essere
unito a una lontana striscia
di sole, sprofondato in un
abbraccio senza piombo,
come se svanisse la memoria,
e se per fare tanta leggerezza
si dovesse attraversare Patrio
dove qualche mosca gravita,
e sgorgare offuscati nel cortile,
nei torrido sfacelo di un paese.
È questo il mito che mi viene
dietro, e mi commuove come
un tesoro di versi inceneriti,
povera curva di polvere!, oggi
tremano le crepe del muretto
e le erbacce saziano l’aria,
perciò nessuno smentirà
le mille cose perse o sfiorate,
e quelle ancora mormorate
ai miei miraggi vacanzieri.
Un germoglio ha spaccato
il mattone sul terrazzo, e
non è servito a riscaldarmi
il sangue, ma solo a scoprire
un sogno così uguale al mondo.
Ho molti battiti nuovi,
e molti volti alzati al cielo
per formare la scia bianca
e la sagoma dell’aeroplano,
tanto l’estate vista da qui, sarà
sempre il difficile teatro a cui
non appartengo, e non avrò
tempo per essere un altro.
A forza di misurare
con passi sbalorditi
la pianura rinchiusa
nell’asfalto, e per un
giorno non trovare
intralci, mi si mette
addosso un’allegria
operaia, e una faccia
che sa cosa si deve
fare, e dove si deve
andare, per invadere
le proprie spoglie
appassionate, e fare
luce sulla luce d’un
miraggio che infine
è il posto più ordinario.
Ecco piccole frontiere
attraversate con voce
cristallina, mentre ciò
che sono o sono stato
non si spiega, e rotola
per strada come un sasso
indecifrato, ma è una
carezza per l’ombra
che si è fatta enorme.
Se dico giardino
di corolle bianche
è per dire gioventù,
è per farti sentire
come pure una
metafora ti laceri,
ti pieghi a rischio di
renderti stucchevole,
ti inviti dopotutto
a fare la tua parte,
come pure ha una
parte la statua vellutata,
che giura di esistere
nascosta fra le foglie.
Dopo ogni passo la
voce che mi viene
dietro vuole ritornare
acerba, ma non trova
domande, né a chi si
possa domandare: le
solite domande sulla
morte infatti sono
oscene, ed è vigliacco
ciò che ti consiglia
di non tramontare.
Credo sia proprio
questo, e non un altro,
il pomeriggio che oggi
si è messo a circondarmi,
e sono queste le poche cose
inermi a starmi intorno,
dopo che tante altre
dentro sguardi storditi sono
esplose, e ora non è facile
nemmeno nominarle,
mentre vorrei persino
averle addosso, e sentire
l’estate che sibila in un
canale marcio, e piegarmi
e spogliarmi sul fermento
che si perde dietro la finestra,
e parla con la bestia in ansia
nel recinto della casa accanto,
ma ancor di più con dune e canne.
E non so se sono questo o
quello, il cinico o l’ingenuo,
chi ora scrive con la faccia
al muro, o chi è rimasto là,
a far la guardia a una bella
femmina che va di corpo.
da Al nudo specchio
Nel suddividere il cosmo, hai dato
al grembo la parte dell’acqua, e un’oca
sonora si è piegata con te sotto
i salici, dove ripeti a mente
i nomi delle ninfe mai scomparse.
Solo due dita colgono la piuma
bianca che galleggia intorno a sé stessa,
e nulla rallenta l’ora del vespro,
benché, oltre lo stagno vuoto, il tuo corpo
sorvegli l’epifania delle dodici!
da Barlumi di un’America intuita da un’Italia
Lasciate l’aula estenuata, nel senso
più aperto, e defluite in ordine raro
verso i campi da gioco; da oggi il clima
è scioccamente estivo, è declinato
il traffico, ma il silenzio si addice
alla colonna di fumo che appare
in lontananza, mentre a tutti sembra
logico riversarsi come il fiume,
senza più dubbi, nel golfo del Messico.
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