Rita Pacilio – QUASI MADRE – peQuod edizioni, 2022
Questa silloge di Rita Pacilio proietta nuova luce sulla continuità poetica che le appartiene, e lo fa con impronte similari a una precedente: Gli imperfetti sono gente bizzarra. Come quella si presenta con un titolo singolare che apre le sue pagine a contenuti in direzione degli affetti, ad amori altri con i quali conviviamo a fianco nel corso della nostra esistenza e che ne plasmano la consistenza.
Si tratta di quegli affetti prossimi che stringono nel sangue, ai quali torniamo con i loro significati nei momenti di vuoto, quando in soccorso ci arriva la memoria liquida a occupare lo spazio libero che si è formato. In questo caso leggo un filo di continuità transumante che viaggia da fratello a madre e la lucida sensibilità del qui e ora a cui Rita ci ha abituato con i suoi testi artistici. La silloge appare come consapevole visione di quello che il dolore porta via e sottrae alla serenità, tinto di una rassegnazione che sbiadisce, diviene cognizione del percorso esistenziale assegnato e riguarda l’altro da noi.
Come rilevato da Piero Marelli nella postfazione, ciò avviene con una poesia calma in cui lo smarrimento denunciato viene presentato con delicatezza, mai con toni drammatici o risentiti, eppure fortemente cruenti in alcuni passi, capaci di parlare la lingua della profonda intimità che Rita immola, e che scuote il lettore.
“Madre,” è il riferimento centrale e certo, ma l’avverbio che lo precede (quasi) sta ad indicare la dimensione dell’incerto. È vero che i testi si approssimano alla condizione di senescenza che riguarda la genitrice e che appaiono come narrazione di superficie doppiamente straniante, quella di chi ha il tempo assegnato in fase di progressivo esaurimento e quella di chi tale condizione la subisce col dolore rassegnato nel riconoscere il decadimento fisico che allontana dal senno. Tuttavia, è altrettanto vero che quanto avviene con la narrazione rivolta alla condizione della madre, mi pare di cogliere, abbia all’origine un transfert di una donna-figlia-madre a cui attribuire il “quasi”. Mi piace pensare che accade un rovesciamento di ruoli per cui l’incertezza dell’uso dell’avverbio riguardi l’imperfezione ad appannaggio esclusivo dell’autrice. Dunque, diviene lecito pensare che è lei a essere quasi una madre. La concomitanza dei suddetti ruoli trasforma i silenzi del destino da quelli della vecchiaia a quelli travaglianti del vissuto straniante a cui Rita si riferisce.
«… compongo l’apparenza
di un abbraccio a doppio fondo mentre
da dietro mia figlia è la chiarezza
ritornata.»
sono i versi che hanno acceso questa interpretazione di rimandi, di immagini specchiate di donne-madri e di madri-figlie in una eco generazionale che vorrebbe si interrompesse la compresenza dei ruoli e si tornasse a una loro quieta linearità.
Dunque, la lettura, ripetuta e meditata, avvicina alla condizione non della madre che potrebbe essere un’estranea per il lettore, ma alla scrittrice, al suo stato esistenziale alle sue contraddizioni, ai suoi interrogativi, alle prove che per questo le occorre superare e governare. Accosta all’universo del sentire che appartiene alla Pacilio e ne fa viatico per la degnazione di noi stessi, di quello che nel nostro percorso ci può accadere. Ci aiutano, le parti, nella comprensione dei sentimenti di legame o di conflitto, di quanto tali sentimenti, risultino scomodi o difficoltosi nel momento in cui occorre invertirne la direzione, scardinarne le incrostazioni e riprenderne la gestione con modalità che ci sono sconosciute. Al centro c’è la cura, quella che una madre investe per una figlia anche se non sempre al meglio del proprio sentimento, ma anche quella che una figlia, dopo essere divenuta essa stessa madre, impiega per una genitrice divenuta figlia. Non voglio ignorare il tema della “vecchiaia” o meglio ancora della senescenza che pure la silloge pone come interrogativo alle nostre coscienze; irrisolto nella capacità di dare risposte adeguate e con dovute attenzioni, alle soluzioni che i nostri anziani meriterebbero nel momento in cui le loro capacità si assottigliano e vengono meno sotto molteplici aspetti. Termino qui queste note di lettura con due versi sibillini:
«Sono la figlia del vero
per questo non vado via»
e l’idea che la silloge rappresenti, per chi legge, un accrescimento della propria umanità e una consapevolezza dell’evoluzione dell’esistenza. (Salvatore Contessini, Giugno 2022)
***
Fammi un favore… questa volta
mi è sembrato possibile riuscirci
qualcosa simile a togliere lo sporco
dalle mani o discutere nella striscia
d’ombra che raggela quando sono qui.
Non serve a niente arrivare in anticipo
cercare di piacerti un’altra volta.
Ci provo da quando ero bambina
nel catino freddo di nonna da cui uscivo
più piccola e più bianca.
Lascia perdere, non è così che diventi
fiume! Ma io scorro senza tregua,
senza consolazione ed è̀ incredibile
quanto oceano sia diventata
nel vetro scuro dei tuoi occhiali
se ogni giorno appaio povera, profanata.
***
Con te ho in comune un vecchio dolore
un giorno iniziale racchiuso nel punto
cucito sul telaio a erba e a giorno
un momento lungo tutta la vita
in cui non eri casa né latte ma albero
spoglio e scolorito. Nessuna luna è stata
purgatorio se sciatta come te striava
fiamme tonde sul terreno e sul ricamo
ho pianto tanto per sciogliere il gelo.
Per cosa? Senza sentimento umano
sei stata luce incerta, il brivido plurale
adesso mi guardi in cerca dell’amore
primitivo. Fingo un suono melodioso,
possibile. Compongo l’apparenza
di un abbraccio a doppio fondo mentre
da dietro mia figlia è la chiarezza
ritornata.
***
In questi anni c’è stata bufera e poesia
lì ad aspettarci tra il peso del risveglio
e i commenti sul morto della giornata.
Ti ho raccontato due bugie di seguito
cercando di ingannarti come fosse
la favola eterna della nostra estate.
A me viene da piangere a vederti stesa
ho timore di non riuscire ad abbracciarti
ancora scuoti la testa seguendo
il pellegrinaggio fino alla cella chiusa.
Alzo la mano per darti il mio saluto
a tutti apri le reliquie della pupilla severa
intanto si gela l’aria senza voltarti.
Rita Pacilio (Benevento, 1963) è poeta e scrittrice. Sociologa di formazione e mediatrice familiare di professione, da oltre un ventennio si occupa di poesia, musica, letteratura per l’infanzia, saggistica e critica letteraria. Direttrice del marchio Editoriale RPlibri è Presidente dell’Associazione Arte e Saperi. È stata tradotta in nove lingue. Sue recenti pubblicazioni: Gli imperfetti sono gente bizzarra, Quel grido raggrumato, Il suono per obbedienza, Prima di andare, La principessa con i baffi, L’amore casomai, La venatura della viola, Cosa rimane, Pretesti danteschi per riflettere di sociologia, Quasi madre.
Altro di Rita Pacilio su IE QUI e QUI.
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