Di Guido Turco so poco, tranne che vive e lavora in Francia, a Bordeaux, da 15 anni. So poco nel senso di una consueta biobibliografia, a parte alcune sue poesie apparse in rete (ad. es. QUI), ma qualcosa ho capito da quello che mi ha scritto in alcuni messaggi privati che ci siamo scambiati. Mi dice, per esempio che “Io scrivo da sessant’anni, scrivo soprattutto poesie, ma anche molto altro, quasi tutto a misura breve, racconti e contes philosophiques soprattutto”. E ancora: “È andata così, ho passato quasi tutta la mia vita a scrivere, a voler scrivere, e tentare di fare qualcosa con la scrittura. È andata com’è andata, vale a dire che ho sortito quasi niente, una miseria. Insieme e, diciamo così, accanto, ho fatto anche altre cose, principalmente il corredo delle azioni che convenzionalmente s’impone ad un uomo adulto: lavorare, sposarsi, fare figli; e avere delle opinioni, spendere denaro, consumare merci utili e inutili. L’ho fatto perché si fa così, perché è così che si vive”. Mi pare una dichiarazione di poetica mica male, anzi una rivendicazione senza arroganza della natura per così dire “comune” del poeta e alla fine di ciò che è (può essere) poetico, senza maledettismi o posture che qualcuno talvolta ritiene di assumere. Perché è così, e basta.
Per parte mia, se inizialmente avevo pensato di collocarlo in una qualche ansa della poesia di tipo narrativo, fino anzi a liquidarlo un po’ troppo affrettatamente come una forma di prosa in prosa particolarmente leggibile, mi pare di poter dire che, almeno riguardo ai nuovi testi qui sotto pubblicati, Turco è poeta capace di una quasi surreale visione della realtà, di molta ironia e di una raffinata scrittura (“contro l’estrema selezione linguistica e la sublimazione tematica”) attenta a cogliere luci e piccole/grandi verità nei meandri delle cose, senza particolari “rivelazioni” ma non dimenticando ogni tanto “la tendenza di fare le cose al contrario”. Dove c’è, son d’accordo con lui, “l’universale ridotto e ricondotto al particolare, alla denuncia del pericolo di un’assenza di futuro (Orazio: Pulvis et umbra sumus), sublimandosi (spero) nell’arguzia psicologica”. (g.c.)
da PRESTO O TARDI O MAI
LA LINEA DEGLI AUTOBUS
La linea degli autobus
finisce dove i platani
si mischiano ai lampioni.
Scendono in pochi
vanno a perdersi
chissà dove.
I conducenti rimasti soli
stringono sigarette
guardano
le piroette del fumo
salire piano
con la testa appoggiata al finestrino.
da LA TRASFORMAZIONE DELLE NOSTRE VITE (estratti)
PÈRE LACHAISE
I vivi parlano ai morti in tono sommesso
e i morti se la ridono.
Americani e cinesi con le radio accese
cercano Jim Morrison
i fiori appassiscono insieme
a dei frutti che non sai bene.
Con l’estate nessuno se la prende
i poeti quasi sempre con il mese di aprile
che in effetti non è simpatico per niente.
La divisa fluorescente dell’inserviente
si riflette nel rivolo d’acqua.
Sorride
della pensata che gli passa per la mente,
non è da tutti tutti i giorni
fare mucchi di fiori e sputarci sopra.
LA LEZIONE DI MORANDI
Ci si chiedeva di dove venisse la tendenza di fare le cose al contrario,
alla mano destra mettere il guanto della sinistra
dirsi sorpresi degli argomenti
in fondo sempre quelli
una coorte di orpelli e tematiche allo specchio
altalenanti e noiosi, come i versi della Achmatova.
Uno degli ultimi arrivati raccontava
di quando l’uscita dall’inverno si associava
a un miracolo,
il medico di turno diceva fossero infarti.
Il freddo è salutare, questa è la lezione di Morandi.
NOME IN CODICE OPERAZIONE Z
L’attacco avvenne alle 3h e 42min del mattino.
Flottiglie lanciate a coventrizzare Acqua di Perla
dall’alto una silhouette di schieramenti militari
come le colonne del dare e avere.
Deperì tutto il deperibile, tranne i sommergibili
tascabili.
I futuri presidenti non erano ancora nati, i comici
si truccavano nei music hall.
La prima vedetta accecata dalle fusoliere fece in tempo
a fare una colonna di fumo con l’ultima sigaretta.
L’attacco ne generò un altro, chilometri di celluloide,
sindromi post-traumatiche e le lacrime
delle figlie diventate mamme
assuefazioni al Ginger Ale e le ottave sottotono di Perry Como.
Da noi
i giorni di cielo smaltato non erano così belli
mancavano al computo qualche migliaio di morti,
il gasometro di Piazzale Loreto con la figa all’aria
di Claretta.
Aspettavamo
e appena arrivato cambiarono la notte e il giorno
che ancora adesso
la mezzanotte suona a mezzogiorno.
CHI SCRIVEREBBE MAI QUALCOSA
Chi scriverebbe mai qualcosa sui risvegli alle quattro del mattino,
seduti sulla tazza a svuotarsi, pensare
cosa si dirà in banca al consulente,
sul sonno fatto a stracci
gli asciugamani
le fragranze sospese
nelle loro impercettibili radianze.
Qualcuno di quegli americani, uno di quelli
lo avrà già scritto
seduto al piano inclinato della cucina, le macchie di caffè
e il sottofondo disuguale
dell’interstatale.
Viene il magone
a pensare quanto tutto questo sia banale
ma il bagno è piastrellato, c’è profumo di sapone..
da NOVISSIME
PALO E MURO
Là dov’era un palo alto
scuro come una scultura di quell’Alberto
ma senza la malinconia,
un’ombra che nelle sere
si dondolava insiema alla mia,
proprio lì ci hanno fatto un muro.
Il gatto ci è salito, piccioni e altri uccelletti.
Non piace a nessuno, a me poi per niente.
Ma d’estate l’albero di fronte
ci sventolerà le foglie, sarà divertente.
IL VOLTO MENO VAGO
Il volto meno vago dei presenti
si fa per dimenticanze
a far di più con il molto meno
(l’ultima oncia è la differenza
come il peso della
carta assorbente). Anche oggi,
i lampi in vece mia sono le spere
delle mimose.
A chi suona non vado più ad aprire.
TUTTI I PANORAMI
Lo sterminato dei condomini
è una verità troppo grande
neanche a parlarne
li sfiori e volano via
solo a guardarli
in formazione non sembra
abbiano ragioni sufficienti
ma la mente viaggia più vicino
ai fondi di magazzino
il vuoto ha un che di piacevole
se ci sono poche note
canzoni di cui non importa il testo
purché finisca presto.
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