Due o tre cose che so di lei (la poesia), qualche domanda a Paolo Castronuovo

Due o tre cose che so di lei (la poesia)

qualche domanda a Paolo Castronuovo

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Biografia autore:

Paolo Castronuovo è poeta, scrittore, editor. Tra prosa, poesia e volumi d’artista ha pubblicato undici libri. Ricordiamo la trilogia poetica composta da: Labiali (Pietre Vive, 2016), L’Insonnia dei Corpi (Controluna, 2018) e La Croce Versa (Effigie, 2022); il romanzo La Falla Oscura (Castelvecchi, 2018). Ha scritto la poesia più breve mai esistita poi pubblicata in tiratura limitata come libricino d’artista. Presente in molte antologie poetiche, alcuni suoi testi sono stati tradotti in spagnolo, altri pubblicati in Polonia, Irlanda, Stati Uniti. Dirige la collana «Occhionudo» per la quale ha curato diversi volumi di poesia e testi sperimentali. Ha curato e tradotto H.P. Lovecraft nel volume Il Simbolo della Bestia (Joker, 2022).

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GC:Comincerei con il chiederti un tuo punto di vista diciamo generale sulla poesia come arte, come strumento di comunicazione, come terreno di ricerca, la sua rilevanza (o irrilevanza) oggi. Non ti chiedo se è viva o morta secondo te, voglio solo sapere che cosa ne pensi, anche sulla base dell’esperienza di poeta ed editor, di cui magari parleremo dopo.

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PC:Ciao Giacomo, grazie per l’intervista e per lo spazio. Cominciamo col dire che la poesia “è”. Non ha definizione, non ha tipologia, o altri rami. È un creato. È l’illuminazione che viene prima che la penna si posi sul foglio o prima ancora che la bocca si apra, prima che l’immagine sia chiara davanti all’occhio. Ho sempre pensato che la poesia o è, o non è. D’altronde anche Lautremont aveva detto che “non esistono due tipi di poesia, ce n’è uno solo”. Da cosa dedurre poi questo “essere-non-essere”, è la vera strada ardua da fare, che solo l’esperienza della lettura o della scrittura, ti porta a definire. È uno dei linguaggi più diretti mai sperimentati, intima e personale, ma che sta alla bravura del poeta renderla universale, fruibile, commestibile, renderla tale e se stessa, renderla poesia. Poeti si nasce, non lo si diventa con i corsi. Si può migliorare il proprio creato – per fortuna! – attraverso confronti e consulenze, ma non si può reinventarlo. Nessuno può insegnarti a vedere. Nessuno può vedere lo stesso oggetto con lo stesso occhio. E la poesia sta proprio in questo: l’occhio illuminato.

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GC:Vorrei chiederti qualcosa riguardo all’ambiente attuale poetico, ovvero quella comunità(o anche quella non-comunità che spesso si manifesta quasi esclusivamente sui social media) che ruota intorno alla poesia, scritta, performata o in vario modo espressa; ma anche a quello che ci circonda, la complessità di oggi, il sociale e il politico. Per la verità mi interesserebbe sapere se pensi che quella complessità trovi qualche riscontro nella poesia attuale, se insomma essa risenta in maniera visibile dello spirito del tempo o se giochi di rimessa.

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PC: Prima dicevo che “poeti si nasce, non lo si diventa”. Questo è uno dei tanti problemi della situazione poetica attuale. In molti si credono poeti con la grande presunzione di essere arrivati alla più alta maturità, ogni giorno ne spunta uno che è la copia di una copia di una copia di un altro. Per non parlare delle riviste e dei blog, ogni settimana ce ne sono di nuove che spesso accettano tutte le proposte senza fare una buona selezione. Pubblicando anche i poeti appena citati. Ogni poeta quindi, si fa il giro dei blog, e ogni blog si fa il giro dei poeti. Non c’è selezione, non c’è scelta. Tutto è unificato nel canale della mediocrità, delle visualizzazioni e dei “mi piace”. Una sorta di automazione volta al consumismo della parola. Nell’ultimo periodo c’è anche la rimonta delle riviste cartacee basata,spesso come per le antologie, sulle copie acquistate dalle decine di autori pubblicati all’interno. Sono rare le riviste di media importanza che lo fanno per vera passione. A che pro quindi le mie poesie dovrebbero essere pubblicate su una rivista, un blog, o una testata, in cui compaiono tutti (ma proprio tutti) gli autori possibili e immaginabili? Per me la poesia vera è quella dove risiede solo la qualità, e per fortuna di questi luoghi-non-luoghi ce ne sono ancora, anche se spesso – ed è risaputo – molto inarrivabili e riservati all’élite della vecchia guarda. Un altro problema, spesso correlato al precedente, è l’esibizionismo immane dei poeti, unego spropositato e voglia di onnipresenza da impazzire sui social network. C’è gente che davvero si venderebbe l’anima per una recensione o per un estratto del suo libro pubblicato su una pagina web. Tutto questo è innanzitutto ridicolo, e poi anti-poetico. C’è chi addirittura marcia sulla propria malattia sperando di ottenere più consensi.

Se poi vogliamo andare a solcare il lato editoriale, o meglio librario, anche in editoria assistiamo a pubblicazioni massive di libri di poesia da parte di piccoli e medi editori, che pur di pubblicare un gigantesco numero di autori per vendere più copie, abbassano la qualità del loro catalogo. Le case editrici (o le collane) grosse invece, hanno cominciato a volare basso già da un decennio, aprendo le porte a poeti illeggibili: parole elencate una sotto l’altra, pensierini da casalinga, e roba sempliciotta che susciti emozioni guarnita ogni tanto da un’immagine cruda e bastarda. Tutto questo sta distruggendo la poesia ogni giorno con la scusa di diffonderla e molte case editrici ne sono colpevoli.

Come avrai capito, l’ambiente attuale non è dei migliori, salvo alcuni nomi di autori ed editori. Ci sono però molti lati positivi, quello che mi viene prima in mente è il fatto che si siano create delle vere e proprie reti di poeti che collaborano tra loro per reading ed eventi vari. Cosa sempre esistita, ma che ora è molto più semplice portare avanti. Se nei Ragazzi Selvaggi di Bolaño c’erano i realvisceralisti che avevano il loro club, ora ci troviamo ad essere un movimento di poesia unita tramite i mezzi offerti dalla tecnologia. Non male, direi.

I social network stanno viaggiando anche positivamente accanto alla poesia, rispecchiano la realtà in cui viviamo e dalla quale la poesia e tutta la letteratura attinge. Qualche anno fa non eravamo nella condizione di parlare di rivoluzione, ribellione, riscatto. Ma da quando c’è stata la pandemia, poi la crisi, poi la guerra, la questione delle donne iraniane, e un governo votato dal popolo che non va già bene a nessuno, le cose sono cambiate. Torna la poesia civile (per quanto contrario sia a questo termine), torna la poesia politica, ritornano come pietre lanciate contro la vetrina del sistema, quella voglia di riscatto sociale scritta nei romanzi. Romanzi che dalla sottomissione della distopia sono passati alla ribellione dei popoli, abbracciando l’antropologia. E la stessa cosa sta avvenendo in poesia. Sono sicuro che assisteremo a questo cambiamento di registro, sempre più fortemente.

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GC:Raccontaci qualcosa della tua attività nel campo della poesia, non solo come autore.

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PC:Nel 2009 ho pubblicato il mio primo libro, poi subentrato l’anno successivo in unica edizione col secondo. Non credo esista un libro più brutto di quello al mondo. Sgrammaticato, pieno di errori, zeppo di retorica, di puntini di sospensione. Non aveva né capo né coda nonostante era in ballo un libro sperimentale attraversato da racconti e poesie. È stata la cosa più brutta che abbia mai scritto in vita mia, e di cui me ne sono vergognato fino a ritirarlo dal commercio. È stato questo però, che anni dopo mi ha portato alla passione per l’editing. Un libro così brutto non poteva esistere, quindi il mio romanzo successivo Streghe Ignifughe(2014) è stato limato e rimodellato molto prima della sua uscita. Ne è risultato un libro pulp, che ultimamente sto ancora rimaneggiando per dare continuità al romanzo La Falla Oscura uscito per Castelvecchi nel 2018. La poesia però rimane sempre la mia priorità. Ho pubblicato una trilogia poetica dal titolo ancora impreciso, ma che credo di identificare come Trilogia del Morboo Trilogia del Tu– questo è tutto da vedere – composta da Labiali (Pietre vive, 2016), L’Insonnia dei Corpi (Controluna, 2018), e La Croce Versa, uscito nel 2022 per la prestigiosa Effigie. Il resto sono miscellanee, racconti, plaquette, libri d’artista per un totale di una trentina di libri. Non ultima è la traduzione di H.P. Lovecraft per Joker Edizioni. Uno scrittore immenso che ho avuto l’onore di curare in vesti di poeta. Ho anche una mia collana itinerante, “Occhionudo”, con la quale ho autoprodotto poesie, racconti, e testi sperimentali. Nell’ultimo mese le ho dato una veste grafica e strutturale diversa e del tutto nuova. E spero di trovare un editore che la accolga come collana nel proprio catalogo. Oppure mi butterò sul self-publishing. Ma è un matrimonio che s’ha da fare.

Per quanto riguarda il mio lavoro attuale – nonostante abbia pubblicato La Croce Versa, che è un agglomerato di testi inediti scritti tra il 2013 e il 2021 scremato fino all’osso –ti dico che sono stato quasi due anni fermo, scrivendo solo una raccolta di una trentina di componimenti intitolata Bugiardino. La mia idea è inserire questa intervista in essa, e magari, chi non la leggerà sulla tua testata online la leggerà in appendice al libro. Bugiardino è una silloge diversa dalle altre, ha una nota surrealista ancora più marcata, ma affronta immagini molto più leggere, meno convulse e crude della mia trilogia. Posso dire che è il mio libro preferito che consiglierei a chiunque per avvicinarsi alla mia opera. Questa leggerezza viene ripresa anche nel libro che sto scrivendo da un mesetto a questa parte: La Giostra d’Inverno, che contiene anche poesie dialettali e piccole prose. Questi due nuovi libri inediti li reputo davvero un nuovo capitolo della mia scrittura, una seconda fase.

La mia attività di editor invece, come accennato prima, nasce proprio dall’errore di un libro illeggibile. Col tempo ho affinato molto le tecniche di limatura e revisione totale di un testo passando da semplici correzioni a stravolgimenti strutturali. Il risultato è sempre stato sorprendente e soddisfacente per gli autori. È servito molto alla loro crescita immaginativa e alla potenza della loro scrittura. Molti hanno vinto premi, molti altri hanno avuto riconoscimenti da grandi poeti italiani e sono su varie riviste con recensioni della propria opera, altri hanno ricevuto menzioni come libro più venduto di poesia. Questo è soddisfacente, è il mio obiettivo. Un libro deve essere perfetto, e nel caso di poesie deve essere eccelso, non una via di mezzo. Come diceva l’insegnante di biliardo a Fantozzi: “Con me o si diventa campioni, o niente!”.

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GC:L’editing è una cosa seria e mi pare che sia una questione parecchio fraintesa qui da noi, rispetto ad esempio a quanto avviene nei paesi anglosassoni. Nel nostro paese, almeno nelle realtà che conosco, si va da una totale indifferenza rispetto al manoscritto fino all’ingerenza stilistica da parte di certi editori poeti. Tu che ne pensi?

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PC:La voce di un autore deve assolutamente rimanere la sua, ma, c’è sempre un ma, l’autore non deve fossilizzarsi sull’idea di aver scritto un capolavoro che per nessun motivo si può modificare, maproprio perché si è affidato a un editor, deve capire che ci sono delle norme morali di cui la parola ha bisogno, e a volte queste norme diventano qualcosa di matematico. Un testo deve sì conservare il suo stile e voce, ma questo deve essere fatto bene, senza lasciare scorie residue, senza punteggiature eccessive, e aggettivazioni esagerate – giusto per fare un esempio. Il testo deve essere potente e pulito come una coltellata anche se si parla di tenerezza. Deve rimanere nel lettore, non deve essere un libro qualunque, ma deve essere “quel” libro. Io sono molto contrario a modifiche estreme e radicali nonostante in molti credano abbia la mano pesante, ma in realtà la mia mano è solo la mano di un editor, il coltellino svizzero che sfodera l’inserto necessario al tipo di intervento giusto. Sulla poesia poi, l’editing si può fare, va fatto, ed è un lavoro molto minuzioso. L’editor ha il compito di guardare con gli occhi del poeta e deve rendere poesia ciò che in realtà non lo è alla lettura di molti. Spesso ci si immerge così tanto negli abissi della propria scrittura, che ci si dimentica della riva del mare, e delle forme che essa può dare all’intero bagnasciuga. Bagnasciuga che è il primo passo del lettore verso il mare della lettura che affronterà.

In America gli editing vengono fatti addirittura in squadra: c’è chi si occupa della trama, chi dei personaggi, chi della sezione storica in cui il romanzo è ambientato, chi della struttura dei capitoli, ecc. Attraverso l’editing, la riscrittura, o il ghostwriting, l’intera troupe dà vita a libri nuovi, intere saghe, fumetti, romanzi di successo e bestseller. L’editing è quindi un’arte.

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GC: Gli editori curano davvero i libri? Cosa significa per te, da un punto di vista editoriale, “curare” un libro seriamente? Mi vengono in mente certi personaggi che “curano” quattro, cinque collane per editori diversi contemporaneamente. È possibile o è una presa in giro? Cosa significa per un editore seguire un libro dal manoscritto alla sua uscita, e magari anche dopo?

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PC:Curare più collane, magari tutte di poesia o tutte di narrativa, per più editori, è una forma di guadagno. Non ci vedo altra spiegazione e non ci vedo nulla male. Ma per i moltissimi che lo fanno gratuitamente è una forma di sazietà per il proprio ego mascherata da passione. La vedo una presa in giro. Che senso ha curare più collane di poesia per editori diversi? Ne basta una in cui far confluire gli autori e potenziarla. Sinceramente io sono più per le collane con pubblicazione ad invito, hanno molta più selezione. La selezione è alla base della collana. Curare un libro non significa impaginarlo e scriverci una prefazione, ma editarlo, ripararlo, fare ricerche storiche e scientifiche e letterarie a riguardo. “Curarlo”, come dice espressamente la parola. Confezionare qualcosa di prezioso. Sono molte le collane davvero ben curate, molte altre invece sono puro vanto e monetizzazione sugli esordienti.

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GC: Quali sono i poeti che dovrebbero meritare di più e perché Alla luce della situazione editoriale attuale, ritieni che esistano poeti dimenticati, come suol dirsi, o che in qualche modo non abbiano i riconoscimenti o la visibilità che meritano, e per quali ragioni secondo te?

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PC: Con questa domanda mi viene in mente subito Vittorio Bodini, pubblicato negli anni Sessanta da Mondadori e mai più da loro ristampato. Un poeta che portò il surrealismo al Sud Italia e che ha tradotto, tra i tanti, libri importanti comeDon Chisciotte. Dall’epoca, invece di uscire nuovamente con Mondadori o in collane come la “bianca” della Einaudi, lo pubblica il piccolo editore salentino Besa, il quale ha dedicato a Bodini un’intera collana critica. Vittorio Bodini è uno dei tanti dimenticati, come il lucano Lorenzo Calogero (le pubblicazioni attive sono solo due), o l’ultimamente riproposto Leonardo Sinisgalli (Mondadori, 2020), finito ormai nell’oblio editoriale. Al di là dei gusti credo che questi poeti andrebbero rivalutati, per non parlare di molti poeti dell’Europa dell’Est mai tradotti in Italia. A mio avviso tra i poeti che dovrebbero meritare di più c’è Alfonso Guida, uno dei migliori poeti italiani. Alfonso quando parla è già poesia e non capisco perché ancora nessuno dai piani alti lo pubblichi. Un altro poeta su cui mi chiedo la stessa cosa è Vittorino Curci con una sterminata bibliografia e carriera artistica di tutto rispetto. Una invece tra le mie poetesse preferite è Vanna Carlucci, anche lei dovrebbe meritare di più. Per me è la via di mezzo tra Cristina Campo e Amelia Rosselli. Una scrittura davvero vivida e illuminante.

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GC: A margine di questa questione, ritieni che i premi letterari abbiano un valore in questo senso, riconoscano davvero un merito, insomma siano utili?

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PC: Non so risponderti con precisione. Ai premi letterari non partecipo mai. Spesso leggo gli esiti e sorridoper la qualità dei testi vincitori. Diciamo che in Italia funziona la regola del “conosco una persona che conosce una persona”. Con occhi esterni la vedo così, ma non voglio dare giudizi affrettati e privi di fondamenta perché non ho un’esperienza diretta. Solo due volte ho partecipato, una volta ho vinto, e una volta ho perso. La terza volta non so se accadrà, ma credo sia una cosa avvincente parteciparvi. D’altronde chi non risica non rosica. E su questo spesso sbaglio.

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GC: Siccome abbiamo parlato di editing e di editoria, se dovessi fare qualche nome di editori, grandi e piccoli, che ritieni che lavorino bene, insomma chi consiglieresti a chi vuole pubblicare? Ci sarebbe anche la questione dell’autoproduzione, dell’editoria a contributo ecc.

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PC: Nonostante abbia parlato spesso in modo negativo della situazione poetica e/o editoriale, ammetto che c’è un largo spiraglio di luce tra i libri che leggiamo.Non tutti gli editori se ne lavano le mani, ma esistono persone che al loro catalogo ci tengono, mantenendolo in alto nel nome della qualità.

Sono stato fortunato ad entrare nel catalogo di Effigiedove mi sento piccolo-piccolo rispetto a tutti gli altri nomi pubblicati, basta pensare a Mariella Mehr, Christine Lavant, Domenico Brancale, Antonio Moresco, Ivano Ferrari, Alfonso Gatto, Alessandro Ceni, Massimo Rizzante, ecc. Giovannetti è un editore corsaro, rischia per la qualità, continua ad andare avanti controcorrente, pubblicando libri di autori importanti che altri editori non pubblicherebbero mai, e non chiedendo nulla in cambio. Ha una distribuzione reale rispetto a chi vanta di avere un contratto con Messaggerie e alla fine stampa on demand. Effigie invece manda le cedole ai librai e i libri in libreria si trovano.

Altre case editrici di poesia con un bel catalogo, e dico questo solo in vesti di lettore, sono: Il Ponte del Sale, Via del Vento, Edizioni degli Animali, L’Arcolaio, Passigli, Aragno, La Finestra Editrice, Argolibri, Diaforia, e altre piccole realtà di qualità.

Sul self-publishing aprirei un capitolo a parte. A volte credo sia il futuro, o meglio il presente, e a volte credo sia una follia. Ormai sappiamo che Amazon è il maggior venditore del mondo e gli editori anti-Amazon a mio avviso sbagliano ad andargli contro. Spesso la gente non compra più i libri dalle librerie o da Ibs, ma da Amazon, perché sfruttano il vantaggio della spedizione gratuita tramite l’abbonamento Prime. È triste, ma è la realtà. Quindi perché, io autore, dovrei passare dalle mani di un editore per fare la stessa fine? Ovvero vendere il mio libro su Amazon sia in formato digitale che cartaceo? Perché dovrei farmi carico di molte copie, quando potrei acquistarne liberamente anche solo una, o giusto quante me ne servono per una presentazione? La questione del self-publishing non va sottovalutata mai, ma va fatta bene perché io sono il primo a storcere il naso su alcuni volumi autopubblicati. Solitamente l’autore che si autoproduce non sa impaginare un libro, pecca di forma e sostanza, commette errori, e non è un grafico eccellente. A mio avviso, affidarsi a un editor per sbarcare nell’autopubblicazione, che sia Amazon, Lulu, ecc, è la mossa giusta. Il libro viene ben confezionato e risulta più appetibile dal lettore. Io in tutta onestà, sono tentato di provarci ad autopubblicarmi su Amazon, sono curioso. L’autoproduzione in tipografia, come già esplorato, non conviene.

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GC: Sulla base di quanto abbiamo detto come vedi le prospettive della poesia nel nostro paese, quali evoluzioni o involuzioni intravedi, o quali crisi?

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PC: La crisi c’è già come dicevo all’inizio. Ma io sono un sognatore perenne, e credo che un giorno tutto si aggiusterà. Man mano si farà una sorta di pulizia del superfluo, proprio come avviene con l’editing, lasciando la strada al merito e alla qualità. Ci vuole però un cambio di rotta, e abbiamo tutti i mezzi per poter riunirci e salvare la letteratura. Ultimamente ho notato qualche ottima rivista che seleziona con cura dei testi, qualche casa editrice accennata prima ancora ci crede, e qualche persona come te raccoglie anche dei deliri come questa intervista.

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