Unità stratigrafiche di Laura Liberale – Nota critica di Claudia Mirrione
1.Stratigrafie perturbanti
i morenti se ne vanno
facendo sbattere finestre a chilometri di distanza
al fremito dei vivi rispondono:
se ci sentiste dentro anziché fuori
(nel sangue che rallenta
nel fiato che s’ingorga nella gola)
sarebbe forse minore lo spavento?
Un libro che disquieta questo di Laura Liberale – vincitore del Premio Bologna in Lettere 2021 per la sezione A (opere edite) – e di cui riteniamo opportuno parlare per l’interesse e soprattutto per l’impatto che suscita nel lettore, vuoi per il piglio talora specialistico con cui affronta l’argomento (la scrittrice è indologa e tanatologa), vuoi più probabilmente per gli effetti disturbanti che esso ingenera e lascia a decantare, ad aggiungersi così al nostro già orrorifico immaginario, conscio, inconscio.
Giovanna Frene, in una sua nota critica (https://poesiainverso.com/2021/01/01/spostamenti-3-laura-liberale/), ci spiega nella maniera più piana e più comprensibile il titolo della raccolta, Unità stratigrafiche:
«In archeologia la scavo stratigrafico, come avviene per la geologia, è una metodologia che permette di individuare diverse unità stratigrafiche, intese come sovrapposizioni, naturali o artificiali, di elementi che indicano una successione temporale di eventi depositati sul terreno e che lo vanno a formare. Si tratta dunque di tracce di periodi e fatti diversi, ed è singolare pensare che, oltre all’eventuale convivenza su di uno stesso strato di elementi riferibili a periodi contigui ma diversi, spesso quello che ci arriva è un elemento di significato minore di un’epoca storica passata – un coccio di terracotta, un utensile ecc.
Nelle Unità stratigrafiche di Laura Liberale accade esattamente l’opposto: vengono restituite nel presente stesso alcune unità stratigrafiche del rimosso inerente alla morte, veicolanti elementi reali e (ancora) attuali, tali da apparire alla percezione dei contemporanei (e quindi dei lettori del libro) come puri reperti singoli, quasi disaggregati, e non invece come paesaggi vivi tridimensionali, omogenei e organici tra loro, come di fatto sono: un’intelaiatura coerente e continuamente agente sull’attuale – non invisibile, però, ma ignorata, rimossa appunto, perché spesso si tratta di un presente indigesto, benché reale.»
Quanto dice Giovanna Frene è senza dubbio vero, e mi permetto di sottolineare, in aggiunta, che Laura Liberale, come certamente nel caso di uno scavo archeologico o di una stratificazione geologica, indaga il tema sia in senso estensivo, per via appunto della molteplicità delle sfumature ferali, il «multiforme della morte» come lo ha definito Giacomo Cerrai (https://imperfettaellisse.it/archives/1990 ), sia in senso intensivo, scendendo nel profondo – nel rimosso come sottolinea la Frene – e agitando le corde dell’unheimlich, del perturbante, quella sensazione di stranezza frammista a spavento che riguarda ciò che c’è di più familiare e più prossimo (a questo proposito rimando a https://www.layoutmagazine.it/weird-cringe-eerie-inquietante-percezione/). Il familiare e prossimo, in questo caso, sta nel corpo, un corpo che forse abitiamo e di cui siamo vittima (se vogliamo dirla primigeniamente con Platone e tutta la sua schiatta fino ad arrivare a Cartesio), oppure un corpo che autopercepiamo (essendo forse noi, come vuole Merleau-Ponty, corpo-oggetto e insieme corpo-soggetto) e lo sentiamo giorno dopo giorno cedere e cadere, decadere, tessuto dopo tessuto, organo dopo organo fino ad oltrepassare quel limite oltre il quale c’è solo «il rumore cavo della disaggregazione / e vi assicuro – dice una delle spettrali voci della nostra raccolta – che non è bello da sentire» (cit. l’idratante dalla formula segreta che spiana il corruccio alla signora S.)
2.Il «multiforme della morte»
La raccolta si compone di due sezioni principali Tanatoestetica e Animal-Animot-Animort, un intermezzo (I Mezzi, dedicato al tema medianico) e un Fuori sezione finale (che invece riguarda il caso di un ragazzo caduto in giovanissima età). Con Tanatoestetica Laura Liberale rimanda naturalmente alle pratiche di pulizia e toelettatura della salma prima della sepoltura, ma anche – più in generale – alla sensorialità e ci propone un’indubbia pluralità di dimensioni e situazioni legate al «commercio fra vivi e morti». Da un lato, vengono fatti risaltare i modi che contrassegnano l’approccio dei vivi: si pensi allo smalto rosa sulle unghia della signora S. «a coprire il vecchio rosso smangiato», all’idratante per spiegarle il corruccio rimastole sul viso,al dignitoso decoro da mantenere per penetrare il mistero («il morente vuole i mocassini buoni / per andar dove? gli domandiamo con terrore // come non lo sapessimo […] l’entrata nel mistero / merita il massimo decoro / o che ecc. ecc.», in il morente vuole i mocassini buoni)oppure, in vena certo più contemporanea, al chrome key che può rendere possibile l’incontro virtuale tra la madre viva e la figlia defunta. Altre volte invece, sono i morti stessi a prendere la parola, ci raccontano dal di dentro com’è il morire, quella chiusura ermetica con l’esterno, «l’inespugnabilità / del totalmente solo»,talaltra i loro spiriti, o almeno le loro deiezioni psichiche, si manifestano ai vivi in sinistre epifanie, oppure ancora sono i morenti ad esprimersi lasciando un ultimo messaggio al mondo virtuale, a voler propagare infinitamente i loro pensieri – un tentativo di eternità? – prima dell’esiziale fatica, come nel caso della composizione cinguettii, che rielabora originalmente alcuni angoscianti twitter presi dal sito The Tweet Hereafter (pagina web che raccoglie gli ultimi tweet di persone che di lì a poco sarebbero morte).
3. Animal-Animot-Animort
La seconda sezione fa chiaramente riferimento al neologismo coniato da Jacques Derrida e rimanda alla parola animaux (animali) e mot(parola). È un termine coniato per ridare voce ad una categoria di esseri viventi che spesso viene trascurata, messa in ombra, sfruttata in definitiva. Il tema è molto caro a Laura Liberale che si è occupata, come osserva Giacomo Cerrai, di recensire Legati i maiali di Teodora Mastrototaro (Marco Saya 2020). Come afferma Cerrai:
«In quel libro, opera singolare di poesia militante (non tanto e non solo nel senso poetico quanto in quello eticopolitico e ambientalista) si parla di morte, di morte procurata agli animali per farne cibo, di efferatezze crudeli nei loro confronti. Un libro che per quanto mi riguarda definirei disturbante (sebbene “davvero notevole”, come dice Liberale) anche per chi non sia, diciamo così, convinto animalista. Verrebbe da ricordare (ma Liberale non lo fa) il Macello di Ivano Ferrari, un’opera che tuttavia – anche se per molti versi così simile a questa – mi pare da ascrivere ad un altro livello, quello di “un poeta fuori parametro e fuori asse” (Antonio Moresco), nonché di un antesignano (Macello vede la sua prima apparizione nel 1995). Ma che cosa sottolinea Liberale del libro di Mastrototaro? Essenzialmente che la morte non ha una sua unicità, se solo la si considera da un punto di vista “altro”, di un altro, sia pur esso un animale deprivato della supposta coscienza della morte stessa, perché “per l’umano, il criterio ultimo di dignificazione del vivente è l’evidenza di quella parola-pensiero che, inutile dire, egli attribuisce a sé stesso”.»
Ora, nel libro di Liberale vengono affrontate varie sfaccettature che riguardano il mondo animale e il suo rapporto con gli umani: si passa dalle sperimentazioni condotte sugli animali (quella della pecora Dolly oppure quella che ha portato alla creazione del topo-lucciola MITO-LUC), alla crudeltà praticata sugli animali (una composizione è ad esempio dedicata a Virginia Ruiz che nel 2015 irrompe in un’arena di Malaga per tentare di salvare il toro sottoposto a corrida), all’interazione salvifica, a volte, tra umani ed animali (si cita il caso di Elian Gonzales salvatosi nel 1999, a sei anni, da un nubifragio grazie all’aiuto di un branco di delfini). Ci si chiede quale possa essere il legame tra questa raccolta e questa sezione dedicata al tema degli animali. Io penso che forse Liberale ci vuole suggerire una strada, quella di recuperare ed enfatizzare quanto c’è in noi di animale, piuttosto che rimuoverlo, riportarlo invece alla luce, sviluppare empatia nei confronti di un mondo che seppure sprovvisto di voce, comunica con il nostro ed infine Liberale sembra che ci sproni in questo modo ad accettare il nostro destino di essere vivente (ζῷον animale, essere vivente, in greco, da ζῶ “io vivo”) e cioè il ciclo di nascita, di vita, di morte.
4. Laura Liberale, poetessa
Quello che però non è stato, a mio parere, abbastanza sottolineato sono le qualità di Liberale come poetessa. Da un punto di vista lessicale, osserva Claudia Zironi, il lessico utilizzato è chiaro e analitico e fa uso di termini tecnici, come per esempio il termine “colliquare” che descrive in maniera freddamente conturbante il processo di decomposizione del corpo. L’armamentario retorico che Liberale dispiega è estremamente raffinato e sviluppa metafore di ascendenza lucreziana («ed è impossibile afferrare / i tanti in cui ti sfai, tenerti // si guarda ciò che accade / senza saperti dire se la luce / viene da te, dal tuo pulviscolo / o dalla lampada, o da entrambi», in come svanisci, amato), impreziosisce le liriche di leggere allitterazioni, omoteleuti, coppie minime, anafore («rotta che tira lo sterno / perno che aggancia lo sforzo / sferza da dietro la spinta / casa radianza che canta / casa che è sete nel becco / casa che è acqua e magnete » in rotta che tira lo sterno, bellissimo componimento dedicato alle imprese di viaggio dei colombi). Liberale, quanto alla metrica, si ispira ad un ideale di varietas e compenetra prosa lirica con celle di ottonari o di dodecasillabi, riprendendo addirittura il sonetto con endecasillabi e ricorrendo asistematicamente alla musicalità di rime che creano intriganti propaggini sonore (rime interne, rime baciate, versi assonanzati). Inoltre, si percepisce da un lato un forte senso di evocatività e sospensione dato dall’inserimento di forme verbali indefinite (infiniti, participi, gerundi), dall’altro una tendenza alla razionale colloquialità con il tentativo di enfatizzare l’elemento chiave del verso (penso ad esempio ai molteplici casi di dislocazione a sinistra: «il cuore glielo sente battere nei polpastrelli», in PER F.B. (1998-2020)). Nel complesso l’abilità di Liberale sta nel saper omogeneizzare variegati aspetti ritmici, metrici, retorici all’insegna di uno stile asciutto, freddo, razionale e colto nel campo di studio, la tanatologia, che rasenta lo gnomico e la sentenziosità (il cane si sdraia sulle gambe del ragazzo / non lascia avvicinare nessuno // la distanza tra un corpo vivo e un corpo morto / la copre il suo vigilare, in PER F.B. (1998-2020)) (claudia mirrione)
Laura Liberale – Unità stratigrafiche – Arcipelago Itaca 2020
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