Mario Lunetta – L’allenamento è finito
Alcuni testi tratti da L’allenamento è finito – Poesie 2006-2016 di Mario Lunetta (1934-2017), edito da Robin Edizioni di Torino, che Giorgio Patrizi nell’introduzione definisce “un canzoniere matto e disperatissimo, giocato a ritmo, furia e invettiva dall’abilissimo mestiere dell’autore, qui al meglio delle sua tonalità narrative ed espressive”. E, aggiungerei, un libro pensoso ma divertente, nel quale la ricerca stilistica e linguistica non esclude mai di farsi capire alla prima, anche in questo che credo sia l’ultimo pubblicato in vita da Lunetta. Una scrittura, scrive Patrizi, “inconfondibile, ricca, lutulenta, che fa tesoro delle esperienze centrali della modernità (…), che appare immediatamente come un’arma foggiata per un duello finale”, magari, come suggerisce lo stesso Lunetta, contro la morte stessa, un avversario che non fa mai autogol“. Se così è mi pare che il tempo sia decisivo. È anche per questo, credo, che – annota Patrizi giustamente – “la costruzione testuale di Lunetta è sempre più fluviale: un fiume in piena che, se scendendo, rovinosamente, raccoglie detriti e scorie di ogni genere, d’altra parte abbandona, ai propri margini, gli sconfitti di ogni genere, diversi, devianti, inadeguati. È di costoro che poi Lunetta racconta la vicenda, attraverso gli archetipi del linguaggio, i miti un po’ decaduti e ridimensionati – come un Golem, pieno di millenaria malinconia – le tipologie degli eroi o dei protagonisti contraddittori del secolo”. Sono “le riflessioni instancabili sulla sorte di una contemporaneità che non dà speranza ma solo ancora l’indignazione che spinge a guardare avanti: chi scrive/ questi versi maledetti è un clandestino che parla col vento niente/ vittimismi ma ancora progetti folli sorsate di delirio“. E tuttavia “la voce di Lunetta non può rinunciare al proprio essere partigiano, non può non ricordare come la poesia possa ancora essere l’arma con cui tentare di spezzare il silenzio su quel fantasma che ancora si aggira per il mondo (…) quell’altro quid / che nessuno ormai si prova più a nominare / e che ha ancora il giovanissimo nome di comunismo“. Con buona pace di chi è convinto che le parole siano un medium esausto. Ma anche quando parla d’amore Lunetta ha la forza di una parola, vecchia o nuova non importa, che ha ritrovato il suo senso, ma senza lirismi o elegie (del resto Baudelaire diceva che “tutti i poeti elegiaci sono delle canaglie”, ricorda Lunetta in una intervista di qualche anno fa). Un libro da leggere. (g.c.)
Altri testi di Lunetta, usciti sulla rivista “Lo stato delle cose” ma peraltro poi compresi in questo volume, sono rintracciabili QUI, dove è anche possibile leggere qualche interessante osservazione di Francesco Muzzioli.
Zuppa inglese
Siamo ormai, contro il parere di tutti gli esperti,
alla seconda
& ultima deriva dei continenti in cui saldatura &
disgregazione,
violenza & sovrumano silenzio si contaminano al modo
di un’immensa zuppa inglese spappolata da una
serie di urti
durante il trasporto su un’auto duramente
incidentata, in una o l’altra
di queste nostre città coperte dalla neve calda delle
polveri sottili,
luoghi gloriosi che sono solo, ormai, trappole per
topi, ormai,
che sono, sì, lo sono ormai definitivamente, non
facciamoci illusioni
e chi s’è visto s’è visto, bimbi cari.
Ma lei, la fata siliconata, ci sorride dal
teleschermo, ci invita
anche con troppo impegno, già, ci invita a chissà
quale party, chissà
quale partouze – & il teleschermo lascia scorrere
annoiato
la sequenza della deriva dei continenti attraverso le
Twyn Towers,
alla maniera di un western planetario con sfondo
terra-mare.
C’è già, dicono, una major di Hollywood che ha
firmato
un contratto col padreterno per un movie
catastrofico
da concludersi naturalmente con un happy end, noi
ci portiamo addosso
questo raffreddore da almeno una settimana, fuori piove
come nelle migliori tradizioni primaverili, siamo
un popolo sazio
& sufficientemente stupido, non si vede in giro neanche
troppa preoccupazione per i probabili effetti
collaterali, no problem,
il film si farà, intanto già molti amici ci chiedono uno
di quei deliziosi lacrimatoi pompeiani di cui
facciamo collezione,
ce lo chiedono mica per ghiribizzo archeologico
ma per piangerci
dentro (& conservare le lacrime per un possibile
post hoc): anche
la commozione è un piatto che si consuma freddo,
n’est-ce pas?.
Sono degli ingenui, sempre in attesa di un dopo
migliore, con un po’
più di luce, una lisca di speranza, illusioni,
orizzonte, decalcomanie
dell’immaginazione. Hanno facce troppo emotive,
peccato
(& il cuore debole come quello di tutti i fumatori
troppo distratti).
Ignorano che non ci sarà neppure un dopo, in
questo universo
dopato male.
25 marzo 2006
Mestieri & salcicce
Erano tempi amari & colorati, tempi di nessuno
gremiti di nulla, quanto simili
ai nostri, & li abitavano Doctori & Procuratori,
Lanaioli & Linaioli, Merciai,
Speziali, Fabri, Sarti, Chalzolari, Falegnami,
Scarpellini, Muratori, Funari, Orafi,
ci sguazzavano dentro a mo’ di anguille o ci
crepavano come cani generazioni
sfortunate di Tessitori, Barbieri, Pellicciari,
Guantai, Bifolci, Pizzicaroli, Vasari,
famiglie zoppe di Ortolani, Acquavitari, Mugniari,
Fornaciari, Tentori, cosche
sanguigne di Armaroli & Falconieri, di Panettieri
& Macellari, di Vinai, Chiodari,
Vetrari, Bottonari, Bottari, Corazzieri, Saponari,
Dipintori d’insegne, Beccamorti,
in quelle fredde catapecchie, o in quelle
magioni ben riscaldate, dormendo sonni
disperati sui pagliericci, o sognando sogni d’oro su
materassi di lana, sotto cortine
di seta, in quei tempi amari & colorati, tempi di
nessuno gremiti di nulla, quanto
simili ai nostri, con tutti quei Doctori &
Procuratori, Lanaioli & Linaioli, Merciai,
Speziali, Fabri, Sarti, Chalzolari, Falegnami,
Scalpellini, Muratori, Funari, Orafi,
ci sguazzavano dentro a mo’ di anguille o ci
crepavano come cani generazioni
sfortunate di Tessitori, Barbieri, Pellicciari,
Guantai, Bifolci, Pizzicaroli, Vasari,
famiglie zoppe di Ortolani, Acquavitari, Mugniari,
Fornaciari, Tentori, cosche
sanguigne di Armaroli & Falconieri, di Panettieri
& Macellari, di Vinai, Chiodari,
Vetrari, Bottonari, Bottali, Corazzieri, Saponari,
Dipintori d’insegne, Beccamorti,
in quelle fredde catapecchie, etc, etc. – senza
speranza di mutamento, mai.
Non c’erano i Sindacati, c’erano le
Corporazioni. Non c’erano neppure, sembra,
la finanza creativa, i nasdaq, i down jones, i fondi
di investimento, i co.co.co,
la flessibilità, la precarietà & tutte le altre
chiacchiere del cazzo per fottere
i deboli col consenso dei gonzi. C’erano in
compenso molte & diversificate forme
di schiavitù, ciò che poi alcuni eterni scontenti
hanno chiamato sfruttamento
dell’uomo sull’uomo, vecchia storia, infinita
ripetizione: davvero qualcosa
di fantastico, nei campi, nelle officine, nella
tormenta, sotto la grandine, nel buio.
Come oggi, sparivano bambini & adulti, & certa
sbrigativa gente di cortello
ne faceva salcicce, ce n’era un gran consumo
specie nei periodi di carestia,
come dire sempre.
(Dell’omo, come del maiale, non si butta
niente). E bene allora che l’uomo
del XXI secolo, generalmente così distratto, lo
sappia finalmente: così forse vivrà
contento di quel poco che gli è concesso di vivere,
in relativa pace con se stesso,
col mondo & col supposto Creatore di
quest’ultimo. Amen. O dirà di no, di NO,
alzerà di nuovo la testa, aprirà la bocca non per
biascicare giaculatorie
ma per parlare: & si sentirà molto meglio di un
aquilotto zoppo, non c’è ombra
di dubbio – ipotesi mica troppo avventata, vorrei dire.
aprile 2006
Retour/détour
Ci fu, per pura viltà o pura connivenza
delle sottacende auctoritates, una prima fuga
di notizie dal carcere di massima (in)sicurezza,
decoroso quanto una galera galattica, o una scrofa.
Ce ne fu una seconda, con un ritorno (leggasi
ricaduta) estremamente vantaggioso, per
beneficiari
ancora da definire, insospettabili per definizione, ole!
Fu piuttosto il détour che, complice una pioggia
di news scadute e altre rilassatezze da orfanotrofio,
risultò disastrosamente inattuale: quindi, inservibile
per qualsiasi probabilità di intercettazioni, pressioni,
ricatti, torte in faccia.
Poi venne, intervenne oltraggiosamente la Poesia,
come la chiamano: con la sua voce obliqua, in un
silenzio
pieno di accusa, primigenio e decrepito – la sua andatura
lievemente claudicante, il bagaglio sfasciato
delle sue lingue di fuoco, d’acqua, di basalto, di stricnina
: e furono cazzi, senza remissione.
Cazzi amari
e assolutamente inutili – ma non superflui, com’è
quasi tutto,
qui, su questo pianeta che non smette di girare a vuoto,
contro ogni previsione e scommessa dei climatologi,
degli astronomi, degli astrofisici, degli astrakan: dio
gliene renda merito, se gli regge il cuore – magari
sussurrando
in un fiato di nuvola quel verso che non muore
e fa “Par délicatesse j’ai perdu ma vie”,
trascinando con sé
chissà cosa, dove, perché, tutto e niente di più e di meno,
all’addiaccio: senza una ragione plausibile.
Chieti, 2006
Le scarpe, come sempre
Nous n’irons
plus au bois
Les lauriers sont
coupés!
(Antica canzone francese)
Ci si allaccia le scarpe, come sempre. Come sempre
si mangia, si scopa, si dorme, si legge qualcosa, si entra
dal barbiere, si va al cinema, si fa la doccia, si imbuca
qualche lettera, si saluta chi si ama e chi no, talora
si fa fìnta di niente, si mente appena un po’ più del
necessario,
si frequentano avvoltoi compiacenti, sciacalli, vampiri
vedovi, si fanno smorfie, si sorride, ci si veste con abiti
di seconda o terza mano comunque elegantissimi,
si paga
dazio, ci si abbandona a progetti dei quali riderebbe
una zanzara matta, si grida, poi si tace, si misura il
proprio ego
barando, ci si mette in ghingheri, ci si perde in un puzzle
perenne, si brinda, ci si dimentica di ciò che non si vuole
ricordare: it’s okay, please.
Okay su tutto. Ma non ci si venga a dire, con
l’ingenuità
di angeli appassionati, che “un altro mondo è possibile”.
Non c’è che questo, dommage, uno & trino: nessun altro
se ne vede al di fuori di esso, neppure nei miraggi
più briachi.
(Se cambia, temo non possa farlo che in peggio). Ergo,
farfugliare di un altro mondo possibile non è – al
punto in cui
siamo – né troppo intelligente né troppo onesto.
Vuol solo dire,
al punto in cui siamo, lo ripeto, spacciare un sogno
per un’utopia.
Questo mondo carnivoro costruito dall’uomo
per l’uomo
cambierà in meglio solo con la sua scomparsa. È scritto
da qualche parte, in caratteri di fuoco: ma l’uomo non sa
più leggere che ciò che si nasconde, oltre ogni
consequentia
rerum, dicasi pure.
luglio 2006
Area di discrezione (5)
Come rido con te non rido con nessuno, creatura
fatta con queste mani: & viceversa credo, & so.
Eppure la terra brucia ingorgata dei suoi fumi
avvelenati,
scompaiono deserti & foreste in una parata di spettri,
le acque hanno il colore del sangue, i grattacieli
saltano in aria al rallentatore, ogni giorno siamo a pranzo
con l’azzardo meno remunerativo, quasi più niente
torna, la roulette ha smesso di girare nel verso giusto.
Malgrado tutto, come rido con te non rido con nessuno,
creatura fatta con queste mani, modellata dai miei occhi.
& ti dico, in una specie di esorcismo cieco: giurami
che non toglierai mai più il braccialetto vanitoso
con l’ombra del pavone che ti detti quel giorno, amuleto,
talismano, portafortuna per la tua vita ritrovata,
conosciuta
o sconosciuta, di colpo apparsa in un alone
d’indifferenza & d’ironia.
In quel momento seppi che se un boomerang ritorna
dopo trent’anni, non c’è scampo per chi l’ha lanciato
: idem per chi ne fu sfiorata per amore o incoscienza
come dall’ala di un airone disperso. Buena suerte,
muy clara luz de mi obscuridàd.
17.8.2015
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