Edouard Roditi, poesie
Chi era Edouard Roditi (1910 – 1992)? Ne ho sentito parlare per la prima volta da Fernanda Pivano, nella prefazione a Sulla strada di Kerouac. “Un eccentrico di formazione cosmopolita e raffinata, (…) poeta maledetto, poliglotta ed esteta” che Gregory Corso aveva letto in carcere e aveva cercato di rivalutare tra i suoi amici beat, ignorando che all’epoca fosse ancora vivo. “Era un derivato del dadaismo surrealista e dell’omosessualità (forse più intellettuale che reale) di gusto francese. Aveva il passaporto americano ma era nato a Parigi da un padre nato a Costantinopoli e da una madre nata a Roubaix: per questo, mi disse, si considerava americano. Era un poliglotta alla maniera di Joyce e del mio nonno scozzese e aveva un modo irresistibile di raccontare storie omosessuali a sfondo autobiografico quasi sempre inventate; più tardi le pubblicò in un volume che resterà un fuoco d’artificio di aneddoti, di informazioni, di fantasia”. (F. Pivano – Altri amici, altri scrittori – Mondadori 1997). Quindi un americano di origine turca, ma che aveva studiato in Inghilterra per poi laurearsi all’Università di Chicago in Lingue romanze e cominciare a girare il mondo, risiedendo, per un lungo periodo dal 1929 al 1937, a Londra, Parigi (dove poi visse), Berlino, per infine morire in Spagna nel 1992 per un incidente. Personaggio complesso, marcato da molte culture e come vedremo da molte influenze anche importanti, padrone di diverse lingue tanto da collaborare in diverse occasioni nella Seconda Guerra mondiale alla radio del Ministero della Guerra americano in Francia e perfino come interprete multilingua alla conferenza di fondazione delle Nazioni Unite (1945) e nel famoso processo di Norimberga contro i gerarchi nazisti (lui stesso è accreditato del salvataggio di quasi 300 ebrei).
Uno che paradossalmente si considerava un “tre volte eletto” (“thrice chosen”, come si intitola la sua importante antologia del 1981) per il fatto di essere ebreo (entrambi i genitori lo erano), omosessuale ed epilettico, Roditi durante la sua carriera svolse un’intensa attività di scrittore, critico d’arte, critico letterario, saggista, insegnante in vari college e traduttore. Nei suoi soggiorni europei aveva incontrato e frequentato personaggi come Chagall, Ernst, Carrà, Fini, Kokoschka, Mirò ma anche Joyce, Breton, Eliot, Hart Crane, la Stein e altri, dedicando ad essi articoli e interviste, oltre ai saggi relativi a Wilde, Proust, Cioran, Degas, Delacroix ecc. Roditi fu l’estensore a Oxford del primo manifesto surrealista in inglese (1929) e tradusse in inglese René Crevel, Alain Bosquet, Saint-John Perse, lo stesso Breton, e poi Kavafis, Celan, Pessoa, nonché numerosi poeti mediorientali e ebrei. Ma naturalmente fu anche autore di numerose raccolte di poesia, a cominciare da Poems for F del 1935, fino al citato Thrice chosen e altri, oltre a volumi di prosa e racconti, nei quali si intrecciano temi sociali (vedasi qui Giovanni Senza Terra), politici (v. qui Il prigioniero politico), amorosi ed anche spirituali, di derivazione ebraica, una letteratura – anche sacra – di cui era studioso. È sostanzialmente inedito in Italia. (g.cerrai)
AMARE EST AMARUM
Signora, più non c’è altro da dire
sulla vostra bellezza che non sia già stato detto
da altri uomini sui loro altri amori,
Lasciatemi dire questo, che ho sperato,
disperato, sognato ad occhi aperti, passato notti insonni
come molti altri, ma con questa sola
differenza: vivendo in un’età avanzata,
sapevo di dover soffrire ed ero lieto
di soffrire, grato per il mio dolore
Perché tutto l’amore è dolore, la vita senza amore
non è vita, o morte, non è dolore, o gioia.
IL PRIGIONIERO POLITICO
Ascoltando le stagioni che riassumono
il mio caso fino a chiedere la mia morte,
divento indifferente al pathos ricorrente
della primavera: fiori di discorsi
e scorte invernali a prezzi ridotti
per influenzare e corrompere le giurie gremite.
Avranno una giornata campale quando sarò morto,
il verme, il Tempo e il Fascista.
Ora li sfido: testa eretta,
occhi fissi sull’eternità,
ascolto i loro spergiuri,
valutando me stesso e la storia e il mondo.
Con gioia portano avanti ora
la loro parodia della giustizia;
e mi condanneranno con un ghigno ironico
come un ultimo scherzo alle acquistate speranze.
Dopo tutti questi discorsi di clemenza
so cosa aspettarmi: nessuna pietà.
Perché non decapitarmi adesso? Ho dichiarato
tradimento alla Primavera, allo Stato
e a tutti gli altri vostri creativi dèi.
Ma dovete avere il vostro scherzo: la solennità
con aquile imperiali e giustizia a due teste
in un tribunale costruito sul credito.
GIOVANNI SENZA TERRA
Un aratore senza campo, cavaliere appiedato,
guida e cavalca macchinari
e odora di natura, grasso e acciaio,
come altri odorano di terra e di cavallo.
I tramonti, sopra i tetti senza frutti,
gli rivelano, attraverso le cortine di fumo
il tempo del domani e portano una gioia
nelle officine dove sogna i suoi raccolti.
Nel frattempo, un’altra idea della natura,
riflessa dalle macchine, dalla gente,
cresce nella sua mente fino a fargli sentire
il diritto a una proprietà senza confini.
LONDRA AL CHIARO DI LUNA
Ai chioschi del caffè gli uomini si vantano delle ragazze,
e passano le giornate senza lavoro con le notti sprecate;
le mani nelle tasche strappate cercano di risvegliare
desideri ormai drogati dalla lunga disperazione.
Al di là delle ringhiere, nel parco,
il vento accarezza alberi irrequieti,
con radici profonde, pronti per quelle tempeste
che gli edifici hanno da tempo bandito.
L’erba, ammaccata da piedi pesanti
e soffocata dalla polvere della città,
degenera, genera vita nella morte,
come i muschi assetati sulla luna.
E le ragazze sole in letti stretti
guardano la luna sorniona che si insinua sulle loro cosce,
troppo povere per sposarsi, troppo spaventate
per incontrare gli uomini ai chioschi del caffè.
DUE POESIE
I
Dunkler kann es nicht werden
als diese Stunde, die sinkt,
mit allen Lasten der Erden
in fremder Nacht ertrinkt…
Gottfried Benn
Nessuna ora può essere più buia
di questa, con te lontano:
una nebbia infausta e fitta
rende il giorno la notte più profonda.
Le mani torpide e incerte del cervello
non sentono né gioia né dolore;
tutti i sentimenti come congelati,
rivolti al passato un’altra volta.
Perché io – non mia la colpa –
ho indugiato, e ora guardo indietro.
Le mie lacrime m’han fatto di sale,
in queste giornate rigide ed amare!
Le mie braccia sono sensi morti:
come in qualche mito del passato
cercano ora di spezzare la malìa,
o una pietra con cui dare battaglia.
Eppure devo avere il mio tallone,
nascosto, senza corazza, dove possa
ancora sentire la tua ferita, e morire,
come uno senza più illusioni.
II
Per Erich Alport
“Tas d’oeufs frits dans de vieux chapeaux!”
Arthur Rimbaud: “Fleurs”
Sambuco e cicuta bagnano
la fronte nell’oblio,
ora primule e occhi-di-civetta
sono ricordi della primavera,
una sottile innocenza, rimpiazzati
dai pungenti denti di leone.
Questi
un odore acre di mosche
insegue fino a persuadere
un sonno giallo e malaticcio
ronzante di nero,
come gli occhi
chiusi al sole, ma pieni tuttavia
delle ferite del sole nere danzanti.
Note:
– i versi di G. Benn sono tratti da Dunkler (Il più buio): “Più buio non potrà fare / che in quest’ora che affonda, / con tutti i pesi terrestri / naufraga in una notte straniera…” (trad. Anna Maria Carpi)
– i versi di A. Rimbaud (“Tante uova fritte in cappelli vecchi!”) sono tratti da Ce qu’on dit au Poète à propos de fleurs (1871), in Fleurs. Erich Alport era uno scrittore e collezionista di origine tedesca amico di Roditi
– le poesie sono tratte da numeri diversi degli anni ’30-’40 della storica rivista Poetry, fondata nel 1912 da Harriet Monroe
***
AMARE EST AMARUM
Lady, there being nothing more to say
about your beauty that has not been said
by other men about their other loves,
Let me say this, that I have hoped,
despaired, day-dreamed, spent sleepless nights
like many others, with this one
Difference: living in a later age,
I knew that I must suffer and was glad
to suffer, grateful for my pain
Because all love is pain, life without love
no life, no death, no pain, no joy.
THE POLITICAL PRISONER
Listening to the seasons summing up
my case till they demand my death,
I grow indifferent to Spring’s
recurring pathos: flowers of speech
and winter stocks at cut-rate prices
to sway and bribe packed juries.
They’ll have a field-day when I’m dead,
the worm, Time and the Fascist.
Now I defy them: head erect,
eyes fixed upon eternity,
I listen to their perjury,
appraising the world, myself and history.
Joyfully now they carry on
their parody of justice;
and they’ll condemn me with a grin
as a last wry joke on buoyed-up hopes.
After all this talk of clemency
I know what to expect: no mercy.
Why not behead me now? I pleaded
treachery to Spring, the State
and all your other brain-child gods.
But you must have your joke: solemnity
with imperial eagles and two-headed
justice in a court-house built on credit.
JOHN LACK-LAND
A fieldless plough-boy, unhorsed knight,
He drives and rides machinery
And smells of nature, grease and steel,
As others smelt of earth and horse.
Sunsets, above the fruitless roofs,
Reveal to him, through screens of smoke,
The morrow’s weather and bring joy
To workshops where he dreams of crops.
Meanwhile, another nature-lore,
Reflected from machines and crowds,
Grows in his mind until he feels
The right to boundless ownership.
LONDON BY MOONLIGHT
At coffee-stalls men boast of girls,
cap workless days with wasted nights;
hands in torn pockets try to rouse
desires now drugged by long despair.
Beyond the railings, in the park,
the wind caresses restless trees,
deep-rooted, ready for those storms
which buildings have long banished hence.
The grass, depressed by heavy feet
and stifled by the city’s dust,
degenerates, breeds life in death,
like thirsty mosses on the moon.
And lonely girls in narrow beds
watch the sly moon creep up their thighs,
too poor to wed, too much afraid
to meet the men at coffee-stalls.
TWO POEMS
I
Dunkler kann es nicht werden
als diese Stunde, die sinkt,
mit allen Lasten der Erden
in fremder Nacht ertrinkt…
Gottfried Benn
No hour can darker be
than this, with you away:
a dim and dismal fog
makes deepest night of day.
The brain’s numb groping hands
can feel no joy, no pain;
all feeling frozen stands,
turned to the past again.
For I—not mine the fault-
have lagged, and backward gaze.
My tears have made me salt,
these stiff and bitter days!
Dead senses are my arms:
as in some ancient myth
seek now to break these charms,
a stone to battle with.
Yet I must have some heel,
deep-hidden, still unarmed,
where I your wound might feel,
and die, as if uncharmed.
II
For Erich Alport
“Tas d’oeufs frits dans de vieux chapeaux!”
Arthur Rimbaud: “Fleurs”
Elder and hemlock bathe
the brow in oblivion,
primrose and cowslip now
are memories of spring’s
thin innocence replaced
by headier dandelions.
These
an acrid smell of flies
pursues till they persuade
a sickly yellow sleep
buzzing with black,
like eyes
shut to the sun, yet full
of sun’s black dancing wounds.
(Questo articolo è già uscito in forma ridotta sulla rivista Menabò, Terra d’Ulivi edizioni, n.16 Febb. 2024 – tutte le traduzioni sono di G. Cerrai)
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