Carlo Gregorio Bellinvia – Lascio isola ben arredata…(inediti)

Carlo Gregorio Bellinvia – Lascio isola ben arredata con fantasia di navi lontane alle pareti, inedito

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Dal prossimo libro di poesie di C.G. Bellinvia, attualmente in via di revisione ed editing, pubblico un estratto di testi non definitivi (dalla prima e dalle ultime sezioni), e come ogni estratto non del tutto esplicativo, perché il libro ha ambizioni che non possono esaurirsi nella lettura di qualche frammento.

Già il titolo prefigura uno scenario, proprio in senso teatrale, uno sfondo, volutamente incoerente sia in sé che rispetto alla storia (c’è una storia) che nel libro si svolge. Il fondale, per così dire, suggerirebbe di non prendere sul serio tutta la faccenda, perché ogni libro si comincia dal titolo, e siamo già fuori gioco, scopriamo che forse non c’è nessuna isola, forse nessun io e che il titolo medesimo, fuorviante, non è che la battuta di uno dei personaggi. Già, i personaggi. Il primo che incontriamo e il principale è un essere (un bambino? un animale? un alieno?), che così a braccio mi ha ricordato, con tutte le differenze, l’allegro leprotto di Andrea Raos (Le avventure dell’Allegro Leprotto e altre storie inospitali, Arcipelago Itaca, 2017). Si chiama Cildreno Bambi, invenzione nominale di Bellinvia che crea un figlio (children) che si chiama Bambi e ne fa il protagonista di una serie di traversie. Possiamo senz’altro immaginare il riferimento al Bambi di Felix Salten, più che a quello sdolcinato della Disney. C’è anche una Mòtera (mother, ovvio), che però al momento della storia è già morta, a differenza del libro di Salten, e un Fàtero (father, certo) che c’è e non c’è, come in certe famiglie disfunzionali. Sulla base di questi e pochi altri elementi Bellinvia costruisce una sorta di favola feroce e insieme un romanzo di formazione, un percorso di maturazione di una identità inquieta, incerta, a volte irrelata, che stenta a trovare una propria unità (e i titoli dei brani, come mi dice l’autore, sono quasi sempre indicati come numeri decimali minori di 1 proprio in questo senso). Possiamo assumere che il Cildreno sia una metafora o forse meglio un’allegoria, come uno degli esseri di Bosch, o un freak alla Tod Browning, una figura dotata di una “ombra impressionante” e di strane conformazioni fisiche, allegoria di una metamorfosi, forse un Gregor Samsa che torna a un’umanità che più che somatica è esistenziale. Lo strumento principe di questo progredire è una macchina per scrivere Olivetti, “sua vicina di casa” che Cildreno Bambi sente battere oltre un muro e che, è sicuro, “sta scrivendo riguardo alla sua vita”. In essa, “macchina ribelle”, il Cildreno Bambi “avverte il regalo per un compimento”. Lo strumento emancipatore, quindi, è la scrittura, la regolatrice di un disordine, l’allineatrice di parole. E lo è, immagino, sia per il personaggio che per l’autore, che in questo libro mi paiono assolutamente inseparabili. Ma la macchina non è raggiungibile, rimane inizialmente un desiderio al di là di un ostacolo, qualcosa che “suona” la casa, mentre il muro “separa la carne col mattone in due berlino organiche all’interno”. Fino a che, scavando un pertugio, Cildreno non riesce a raggiungere (e siamo alla seconda sezione del libro) l’appartamento centoventuno, dove sbuca in “un salone dal mobilio d’oro”. Qui inizia una specie di viaggio esperienziale, a cominciare dal fatto che “non è oro, ma pirite, falsità”, dall’incontro con una “venere dal naso bollente”, con una realtà meccanica e commerciale (“eccolo, il fresco operatore mobile tim del novantasette proporre a chiunque…”) di cui lo stesso Bambi entra a far parte come oggetto e destinatario. L’appartamento, a simbolo di una realtà mondana in cui però tutto sfugge e tutto torna, appartiene a un personaggio nominato Nuovodottore, proprietario della Olivetti che, come in una visione alla Burroughs, sembra avere una vita autonoma. Il nuovo personaggio è forse demiurgo, forse curatore, forse torturatore, somministratore di farmaci dai curiosi effetti collaterali, ma in ogni caso mi pare rappresenti l’elemento catalizzatore della metamorfosi a cui accennavo prima. Dopo una fugace riapparizione del Fàtero, Nuovodottore ricovera il Cildreno in un ospedale, in quella che è la quarta sezione del libro. La scrittura, indicativamente, si fa io, prima persona, in un lungo testo dagli accenti a tratti anche lirici, segno di una sorta di appropriazione della storia, di avvicinamento all’identità e alla propria lingua, di riuscita all’aperto, al mondo esterno, per quanto esso sia “nero”. Questa sorta di rinascita, di conquista dell’unità di sé, simboleggiata dal ritorno nei titoli a “numeri interi e positivi” conclude una lunga elaborazione del dolore (anche di non conoscersi), del lutto, in quello che ho già chiamato un bildungsroman in versi.

Libro non facile, certo non perfetto e anzi forse bisognoso di qualche aggiustamento, ma capace di ironia, di critica, di ricognizione sociale, nel cui linguaggio le contraddizioni, la messa in mora dei modi di dire, la torsione lessicale, l’accostamento analogico (compresa qualche ingenuità), contribuiscono alla creazione di un oggetto letterario che potremmo forse semplicisticamente definire surreale, ma nel quale la cosa più importante è la sinergia attiva tra ricerca espressiva e concetto ispiratore e il tentativo ambizioso di creare un ambiente poetico inusuale, sperimentando senza rinunciare a comunicare un’idea. Quando uscirà nella sua stesura definitiva credo che sarà un lavoro di sicuro interesse. (g. cerrai)

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se si parla della fase difensiva della roma stagione novantasei

novantasette e quindi di nei:

io ne ho sul volto

uno davvero

grosso. Dopo questa frase, un Cildreno

Bambi non ha più molto

da dire, d’umano

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e di suo rimane soltanto una traccia, un residuo, zero

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virgola qualcosa

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in uno stanzino postinglese un Cildreno luccica

in uno stanzino postinglese un Cildreno Bambi luccica e ringhia

non smette di luccicare bianco sul nero

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al Fatero chiaro e vivo dicono che somigli intero

infatti per il suo stacco ora un Cildreno

Bambi ha, non un neo, ma un ombelico paterno in pieno

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viso

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nemmeno in pancia, i dottori lo visitano

e dicono: pazienta qui, necessiti per ora di tante lingue, non ne puoi una,

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di tua, una:

ascolta

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sei solo polpa

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per il dolore che le diede il Cildreno

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Bambi portato nel bacino,

la Motera non ha nemmeno

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più quell’osso ma un bacino

da usare sul viso del Cildreno

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e il radio a gracchiare come

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una radio, a cantare Omero dentro l’omero

si sente ingrossare tutta del doppio

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quella Motera a pensare i posti delle ossa

a volte per niente a volte troppo

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a quei tempi una Motera e un Cildreno Bambi pensavano poco perché pensare

costa

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bollette su bollette dell’elettrico per posta

arrivavano ogni sera

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fino all’appello vendesi della Motera:

lascio isola ben arredata con fantasia di navi lontane alle pareti

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10 mg/ml

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io scrivo, per il quasi assente Cildreno

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Bambi: l’optil in gocce, collirio per vedere nel mondo la Linea,

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il Nulla, la Meta,

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e tra gli effetti indesiderati per un Cildreno, le allucinazioni

videoludiche: esempio, vedrà

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1) i pardi volare dai tetti

sino a terra e perdere soltanto due vite delle sette

e vincere la partita;

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2) invece la sua eroina incontrare presto il mostro finale e perdere la sua

sola vita;

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quando in effetti i soli eventi saranno stati

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a) la caduta d’un gatto giù da una grondaia, e il suo leggero infortunio;

b) di nuovo il ricordo della morte della Motera, a causa di un male

improvviso e incurabile

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pelo i prati affinché i corpi

sacrificabili siano in piena

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vista, perché non aprano

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strapiombi, notti, tombe

vivissime di insetti

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quando il nemico

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già scende giù in cabina

di comando a dettarmi

.

ed io non so stare al mio regno:

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ripenso lo zucchero come le piante,

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mi unisco alla disintegrazione

della zolla planetaria

.

del pioppo che non sfoglia più,

che davanti all’anno ingoia

.

i suoi cerchi, ed io mi contorco

e cammino male, smembro

.

i pasti quando Nuovodottore

pota dalle località del ramo

.

talvolta i miei rapporti a vuoto

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che rinviano alla pagina

non trovata, al fiore ritrovato

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chiuso, alla foglia già caduta

.

e senza più altro materiale

costruttivo rimani

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contro l’indelebile al massimo

con questo tuo seccato bianchetto

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di C.G.Bellinvia vedi anche QUI .

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