Picasso, la sfida della ceramica – nota di Elisa Castagnoli

Pablo Picasso and Marc Chagall working on ceramics in Vallauris, France, circa 1952 (fonte web)

Picasso, la sfida della ceramica (al MIC di Faenza)

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Che cos’è la scultura, che cos’è la pittura? Si aggrappano sempre a vecchie idee, a definizioni superate come se non fosse il compito dell’artista di trovarne delle nuove.”

“Per me non c’è né passato né futuro nell’arte. Se un’opera d’arte non può vivere nel presente non deve essere considerata. L’arte dei Greci, degli Egizi, dei grandi pittori vissuti in altre epoche non è un’arte del passato. E’ più viva oggi di quanto non lo sia mai stata.”

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La sfida di tutta una vita per Picasso, l’artista geniale e poliedrico che più ha influenzato l’arte del secolo scorso, è quella di sperimentare, confrontarsi, mettere alla prova tutte le tecniche e materiali in un faccia a faccia inesausto, estremo e vitale con la creazione. Picasso inizia a lavorare estensivamente con la ceramica tardivamente negli anni cinquanta e ne apprende le tecniche a partire dal 1948 in Costa azzurra al laboratorio Madoura dei coniugi Ramié. Accoglie la sfida, vi si getta con entusiasmo fino ad appropriarne i mezzi e gli stili della tradizione tanto che tale arte diviene parte integrante del suo universo poetico al pari degli altri mezzi espressivi.

In questo senso il gioco di influenze è duplice tra l’artista e l’opera: da un lato, Picasso, genio assoluto dell’arte moderna, sperimenta con la ceramica come con ogni altro materiale plastico. Mette alla prova tutte le tecniche e, nelle opere più propriamente scultural, i vasi antropomorfi per esempio, trasforma e stravolge l’oggetto intervenendo con la pittura sull’argilla soprattutto attraverso l’ingobbo; ancora vi aggiunge ossidi, smalti colorati, pastelli ceramici o lustri metallici. Utilizza l’incisione su ceramica nonché l’assemblaggio casuale di oggetti “trovati” che poi diventeranno vere e proprie sculture. D’altra parte, l’artista spingendosi oltre i limiti della tradizione rinnova radicalmente quest’arte esercitando un’influenza sugli sviluppi successivi della medesima: non più forma decorativa ma, nelle sculture più originali ,veicolo d’espressione totale. Come tale entra a far parte del suo universo poetico i cui temi ricorrenti restano tra gli altri la rappresentazione del femminile, l’erotismo, la virilità, il tragico, il gioco con la materia.


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Vasi-donna

“Io prendo un vaso e con esso do forma a una donna. Prendo la vecchia metafora e la realizzo nella direzione opposta, le do nuova vita.”

Muoversi dalla metafora alla realtà, renderla tangibile in una forma.

I vasi antropomorfi divengono sculture a sé stanti; ne “le Quattro Stagioni” le figure femminili fuoriescono dai limiti del vaso pre-esistente e prendono vita, modellano il corpo plasmandosi nelle rotondità di natiche, seni e teste in forme sensuali e avvolgenti impregnate di eros. Compaiono, ancora, le teste-anfora ispirate alla tradizione pre-colombiana, poi delle teste femminili a forma di sasso, massicce nello sguardo, altre piangenti senza lacrime reclinate in avanti e spogliate di ogni ornamento.

Occhi enormi tridimensionali quasi, neri e ultraterreni vi fissano mentre i volti affiorano di profilo dipinti con le tonalità rossicce dalla terra. Intagliati per scorci di profilo su frammenti di pietre gli occhi si stagliano cerchiati in nero e impressi quasi a fuoco sul fondale rossiccio dell’ argilla.

Fluttuante come onde mosse da una corrente di linee dipinte e flessuose, il vaso-anfora si veste del corpo di una donna e le dà mobilità, spirito e vita. Maree dipinte a nero pennello, morbide e sinuose abitano questo corpo massiccio e statico di terracotta.

Quattro sfaccettature di uno stesso volto si disegnano tracciate nelle linee essenziali del contorno su un vaso di tradizione azteca. Qui il viso è scomposto sui quattro lati, visto nelle quattro direzioni come una forma unica frantumata, ripetuta, resa multipla in senso cubista.

Ora sono mani che appaiono e plasmano, appropriano la forma stessa del vaso, ne inglobano la superficie come le forme al di sotto: il fondale nero della ceramica, l’ocra di queste mani presenti e vive su un giallo brillante, il bianco smaltato delle figure rilucenti al di sotto.


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“C’è questo smalto liquido applicato alla forma che viene colorata con l’aggiunta della pittura; esso trasforma, rende l’oggetto diverso”

Il frammento della lastra ceramica è ricoperto di smalto liquido come una colata di colore sulla superficie lustra in seguito ridipinta a pennello. E’ un “Dejeuner sur l’herbe” (1962) dal tema classico grandiosamente riappropriato dall’artista, soggetto alla metamorfosi picassiana di una scultura ceramica dove il volto maschile appare ancora una volta fatto a pezzi, dilaniato e inciso richiamando la drammaticità violenta di Guernica. Il corpo femminile appare semplicemente di fronte a quello nella grandiosità dei volumi, nella sensualità di forme piene e carnali di cui la testa è un frammento tra i tanti: distaccato, messo in rilievo al centro del torace tra i due seni.

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Vasi con gufi

Gufi, civette, animali notturni incisi a coltello appaiono sulla terracotta modellata e dipinta di altre sculture ceramiche. Scavati, estrapolati dall’argilla del vaso stesso, incisi soprattutto negli occhi neri, piccoli e acuti che intercettano, sporgendosi verso l’esterno, lo sguardo dei visitatori.

Ne “la civetta”, per esempio, gli occhi sono notturni, proiettati verso l’esterno per rubare un qualche segreto all’oscurità mentre la figura appare stilizzata, iconica, incisa in segni essenziali. Essa aderisce alla forma del piatto, alle profondità della parte incava con il ventre e il bacino mentre la testa emerge nera e tondeggiante al di sopra e le zampe artigliate al di sotto, dall’altra estremità del piatto. Gli occhi ci fissano da lontano in maniera quasi ipnotica mentre il corpo dell’animale si plasma completamente nell’oggetto in ceramica fino a renderlo vivente, abitato.


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“Quando inizi un ritratto cerchi una forma pura, un volume chiaro attraverso una serie di eliminazioni. Raggiungi inevitabilmente la vetta. E’ necessario sapere quando fermarsi”.

Eliminazioni che divengono illuminazioni, sembra affermare Picasso, perché è nel togliere, nell’ estrarre un dettaglio dalla massa indefinita della materia che si raggiunge l’idea, la visione pura ed essenziale, il culmine e l’espressività nel lavoro d’arte. Ora l’occhio dell’animale è espanso al centro del piatto, nero e bianco su un fondale concavo e rossiccio di terracotta contornato da tori dipinti nell’immaginario delle corride. Diventa oggetto-forma in sé, un grande occhio centrale espanso come il pittore nell’atto di guardare: cogliere una verità, rubare un segreto, lasciarsi attraversare dalla realtà tutta attraverso uno sguardo.

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Il video esposto al Mic in concomitanza alle opere segue l’artista nel mentre della creazione, lo mostra nel lavoro quotidiano a una tela, poi nel processo di assemblaggio dei materiali più desueti e raccolti intorno a lui casualmente per sperimentare con la ceramica. Allo stesso modo le tonalità più inaspettate dell’argilla escono dalla fornace con la casualità di un gioco calcolato .

Mentre Picasso disegna le forme appaiono rivelandosi quasi dalle sue mani, dal suo corpo sulla tela. Si materializzano nella sua mente creatrice, nei suoi occhi acuti e scintillanti, nel suo tocco incidente e lieve, nella più totale libertà espressiva delle sue mani cedute alla creazione.

Una tela bianca con mano sicura traccia una linea, poi un’altra, un’altra ancora.  Carboncino o matita la linea avanza lenta e inesorabile e le case del villaggio prendono forma , poi l’opificio, la strada, il ritratto di una donna. La mano, strumento fisico e psichico insieme per l’artista dà forma e lascia affiorare quella realtà prima e malgrado sé stessa.


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Nature e volti dipinti su ceramica

Gli oggetti prendono vita dalle sue mani, le forme nei piatti con nature morte assumono corpo, movimento, passione e sensualità.

Un coltello, una forchetta, una mela fuoriescono dal piatto in ceramica, quasi fossero in trompe l’oeil, abitate di vita propria. La materia si plasma, si piega e si ribella alle superfici statiche tradizionali. Nella lastra dipinta con natura morta le forme dei frutti divengono scomposte e frammentate, viste nella loro deformazione e rielaborazione costante da angolature differenti, a volte sovrapposte in un’ottica cubista.

 

Un vaso in terracotta a due ante è dipinto con due teste una frontale, sorvolata da una civetta, l’altra di profilo. Il giallo è immenso, solare e irradiante sull’argilla; il volto è tracciato da una semplice linea nera come attraverso la mano di un bambino. I contorni sono essenziali e marcati, gli occhi neri sullo sfondo giallo e luminoso.

Semplicità sostanziale e primaria di un dipinto su argilla fatto di getto quasi. Il volto espanso aderisce totalmente alla forma pre-esistente, la ricopre quasi assimilandosi al vaso. Diviene questo volto-civetta emerso sul uno sfondo vibrante e colorato; al di sopra, il suo doppio acuto, osservatore e intuitivo capta e registra, legge e scompone la realtà per comprenderla e restituirla in un vocabolario di forme nuove nate dal suo interno atto di visione. (Elisa Castagnoli)


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3 Commenti

  1. Negli anni Quaranta e Cinquanta Picasso intraprese nuove avventure anche nella vita privata .Infatti, le sue numerosi mogli contribuirono a diffondere la leggenda di un artista la cui “giovinezza creativa” andava di pari passo con una rara vitalità biologica. La “Testa di donna” ,ritratto della compagna dell’artista, Fernande Olivier, oggi al Museum of Modern Art di New York, rappresenta il punto di partenza del maggior rinnovamento scultoreo conosciuto dal nostro secolo.
    In Provenza incontra Suzanne Ramiè, che aveva creato un atelier e Picasso inizia con la famiglia Ramié il nuovo percorso creativo. Magnifica proposta! Grazie
    Maria

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