Pubblico anche qui la nota che ho scritto per Bologna in Lettere 2022 per il libro casadolcecasa / domljubidom di Antonella Bukovaz (Miraggi Edizioni 2021, anche audiolibro), Premio speciale del Presidente in questa edizione. La nota è uscita anche sul sito del premio, senza i testi esemplificativi qui aggiunti.
Antonella Bukovaz è nata a Topolò-Topolove, in quella che una volta si chiamava la Slavia friulana, a un tiro di schioppo dal confine sloveno, a stretto contatto con quell’areale linguistico che ha espresso nel tempo scrittori come, solo per fare un nome, Boris Pahor. Autrice di diversi volumi di poesia, è anche autrice di teatro e performer, collaborando con musicisti e artisti del suono (e in effetti casadolcecasa / domljubidom, prima sezione e titolo del libro, è anche performance teatrale).
In realtà in questo libro la lingua di appartenenza, quella autoriale, non vuole essere esclusiva, poiché come talvolta avviene in quelle che spesso vengono vagamente definite letterature di confine, una seconda lingua non è meno vitale, ovvero non meno portatrice di una identità che se non è familiare è certo di senso, di contatto con l’altro, come un ponte fecondo. Poiché, ci avverte Bukovaz, “i luoghi di confine invece non sono mai in pausa (…) non smettono mai di comporre storia di fruttare storie”. Così, accanto alle sezioni principali del libro (la citata sezione eponima e poi Mèd / Tra – corredata anche da Between, versione in inglese – e Antigona govori kralju / Antigone parla al re) troviamo la versione in sloveno, in traduzioni che non sono di Bukovaz ma a cui si suppone l’autrice abbia collaborato. Finiscono di comporre e concludono la raccolta altre due parti solo in italiano, La rima dirime e Quieta e ardente. Viaggio dal centro della terra.
Quella di Bukovaz è una poesia che trova la sua forza in una metafora che potremmo definire totale, che cioè non ha funzione retorica, non serve al linguaggio ma in qualche modo lo determina, determina la “storia” che i versi costruiscono, ne è oggetto e la occupa. In questo senso è emblematico proprio casadolcecasa, un tragitto accidentato e tuttavia fermamente determinato attraverso un luogo che è insieme e in maniera indistricabile vero e immaginato, domestico e universale, privato e comune e forse non è nemmeno un luogo, ma un corpo, una mente, un territorio psichico, un archivio di ferite. Ingresso, cucina, corridoio, ripostiglio, bagno, camera, soffitta: sono le stanze (anche in termini poetici) attraversate in questo tragitto, virtualmente dal basso verso l’alto, e anche oltre (”la soffitta come un razzo in partenza con i motori sempre accesi”), abitate da una sorta di dialogo senza risposta con presenze (o assenze) sfuggenti, con gli oggetti, qualche fantasma. Continua a leggere