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Ardengo Soffici: un’adesione incompleta – nota di Riccardo Renzi

Ardengo Soffici_Autoritratto_1946_49Ardengo Soffici: un’adesione incompleta

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Ardengo Soffici fu uno degli intellettuali più importanti e controversi del primo Novecento italiano. Nato a Rignano sull’Arno il 7 aprile 1879 da una famiglia di benestanti proprietari terrieri, nella primavera del 1893 si trasferì a Firenze con i suoi e assistette, senza nulla poter fare, alla rovina finanziaria del padre che condusse la famiglia alla povertà. A causa della precaria situazione economica della sua famiglia, fu costretto ad abbandonare gli studi artistici e letterari, e ad andare a lavorare presso un avvocato fiorentino[1]. Non abbandonò però il suo amore per l’arte, in quegli anni infatti strinse stretti rapporti con i giovani artisti che si muovevano intorno all’Accademia delle Arti e alla Scuola del Nudo. Dopo la morte del padre e il trasferimento della madre a Poggio a Caiano, egli decise, sul modello di alcuni suoi amici artisti di trasferirsi a Parigi[2]. Qui, Soffici lavora come illustratore su riviste importanti come L’Assiette au Beurre. La paga è misera e conduce una vita di stenti e rinunce. Qui però ha la possibilità di incontrare artisti emergenti e già affermati come Guillaume Apollinaire, Pablo Picasso e Max Jacob[3]. Inoltre qui iniziò a scrivere su riviste di primissimo livello e fece importanti incontri anche con gli artisti e scrittori italiani, come Giovanni Vailati, Emilio Notte, Mario Calderoni, Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, con il quale, nonostante la diversità di carattere, al ritorno in Italia stringerà una forte amicizia. Proprio in questo periodo inizia a sorgere il Soffici scrittore. Dopo essere rientrato a Firenze nel 1907 e stabilitosi a Poggio a Caiano, egli consolidò la sua amicizia con Papini, che incontrava al caffè Paszkowski. Di quell’epoca è anche l’amicizia con Giuseppe Prezzolini, col quale fondò La Voce nel 1908[4]. Nel 1910 Soffici ritornò a Parigi per studiare la poesia di Rimbaud, poeta quasi sconosciuto in quel periodo in Italia. Tornato in patria nel 1911 si scontrò con il movimento futurista per le grandi differenze di vedute. Nel corso del 1912 Soffici riaprì i rapporti con i futuristi e iniziò ad allontanarsi sempre di più da Prezzolini per la modalità scientifica con cui egli dirigeva la rivista La Voce, che assieme avevano fondata[5]. Così il 1º gennaio 1913 Soffici, insieme a Papini, fondò la rivista Lacerba, che divenne l’organo ufficiale del futurismo. Nel 1915 giunse la guerra, che Soffici aveva con forza auspicato sui fogli del Lacerba come reazione contro la “Kultur” germanica. Egli vi partecipò. Conclusa la guerra Soffici divenne collaboratore de Il Popolo d’Italia, del Corriere della Serae di Galleria[6]. Col passare degli anni lo stile del Soffici mutò radicalmente, dai grandi elogi alla poesia rimbaudiana si andrà verso uno stile decoroso e foscoliano classico, e in politica aderisce al fascismo. Nel 1925 firmò il Manifesto degli intellettuali fascisti, e l’anno dopo iniziò la sua collaborazione a L’Italiano di Leo Longanesi. Ricevette il “Premio Mussolini” dell’Accademia d’Italia per la pittura nel 1932[7]. Nel 1937 si allontanò definitivamente da Mussolini, ma rimase fedele al regime sino alla sua caduta. Continua a leggere