Tag Archives: giacomo cerrai
Sergio Bertolino – La sete – Marco Saya Edizioni
Laura Liberale – Unità stratigrafiche
Laura Liberale – Unità stratigrafiche – Arcipelago Itaca 2020
Ugo Mauthe – Il silenzio non tace
Ugo Mauthe – Il silenzio non tace – Edizioni Ensemble, 2019
Ugo Mauthe (Palermo, 1953) è un pubblicitario con una lunga esperienza come copywriter, direttore creativo e docente di comunicazione. Nel 2017 con la fiaba Sem fa cucù ha vinto il contest “Racconti nella Rete” (pubblicata poi all’interno di un volume edito da Nottetempo). Ha pubblicato il romanzo Qunellis e la raccolta poetica Minuziosa sopravvivenza. Ha ottenuto riconoscimenti in vari concorsi, fra cui Albero Andronico, Argentario, Bukowski, Pietro Carrera, Città di Castello, Città di Cattolica, Fiabastrocca, Giovane Holden, Carlo Levi, Il Meleto di Guido Gozzano, Lorenzo Montano, Andrea Torresano
Aljoša Curavić – Scadenzario minimo di un viaggio senza fine
Aljoša Curavić – Scadenzario minimo di un viaggio senza fine – Oltre Edizioni 2020, introduzione di Gabriella Musetti.
Francesco Lorusso – Maceria, nota di G. Cerrai
Francesco Lorusso – Maceria – Arcipelago Itaca, 2020
Ma per la verità ho avuto un primo moto di delusione alla lettura. Almeno in riferimento all’unica pietra di paragone che ho, il libro citato all’inizio, perché i primi testi che qui si incontrano mi sono apparsi alquanto petrosi, di una certa difficoltà di comprensione, una specie di salto nell’oscurità. Per quanto abbia una certa esperienza come lettore di poesia, confesso che diverse volte ho avuto qualche problema a mettere a fuoco il nucleo del testo (lo stesso prefatore scrive, pur alla fine assolvendo: “questa scrittura che spessissimo sfiora l’incomprensibile e certamente denuncia lo slogamento del senso che è poi lo slogamento dell’esistenza”). Facciamo un piccolo esempio:
Bernardo Pacini – Fly mode
Bernardo Pacini – Fly mode – Amos Edizioni, 2020
Emilio Capaccio – Canzoniere della biondezza
Emilio Capaccio – Canzoniere della biondezza – Ed. L’arciere del dissenso, di Emilio Paolo Taormina, 2019, f.c.
Meccanismi in azione, ma forse con meno frequenza, anche nella seconda sezione del libro, “Canzoniere dell’estate”, dove l’amore c’è, è ancora presente ma disperso in un’aria estiva a volte onirica, in un’ambientazione leggera che tuttavia ha maggiori concretezze anche oggettuali, dipinge atmosfere più visibili per quanto qui decisamente più liriche, di un lirismo che Capaccio non teme, anzi esibisce senza infingimenti in tutte le sue tradizionali sfumature (“Vengono all’estate i violini piagnucolanti / delle ore lente dei giorni / inneggiano / alla fiacca sospesa delle mosche”; “Cantano i cappelli dei narcisi / questa rotta canzone”) e forse è proprio questo ricorso senza patemi d’animo a tonalità e registri che ci rimandano direttamente alla prima metà del Novecento a restituirci una certa piacevolezza, anche per così dire “eccessiva” come nella poesia Brandeggiano i loro spadici d’oro o in Fuori la veranda (v. più avanti) dove la fa da padrone un divertente affastellamento di termini botanici e entomologici, un’accumulazione che invece è piuttosto moderna e a volte ha esiti che sono – però qui volutamente – scherzosi (“Dimmi che sono io il tuo cochon d’Inde / l’uccello delle tempeste che svilisce nella ragna”). Se si superano steccati del tutto paradigmatici, come quello che divide il resto del mondo poetico dalla poesia lirica, non si fa fatica a dire che questa seconda sezione appare (per diverse qualità, accenti, disposizione e scelta della lingua, leggerezza, forse ispirazione) senz’altro migliore della precedente. Lo dico sulla base di un metro empirico che uso qualche volta, ovvero quanti testi a mio avviso meriterebbero di essere trascritti all’attenzione del lettore, che in questa sezione dovrebbero essere davvero quasi tutti. Forse merito, in sintesi, di una felicità dello scrivere fregandosene di alcune cose, che mi pare traspaia ed arrivi a chi legge da queste poesie di Emilio Capaccio. (g. cerrai) Continua a leggere
Giacomo Cerrai: inediti su La poesia e lo spirito
Oggi su “La poesia e lo spirito” l’amico Enrico DeLea ha curato la pubblicazione di alcuni miei inediti. Lo ringrazio di cuore e ringrazio LPELS dell’ospitalità. Si tratta di testi che risalgono ad un periodo che va dal 2014/15 al 2019 e corrispondono a “sentimenti” di scrittura abbastanza diversi tra loro e anche rispetto a quanto già pubblicato. “Bootleg” è il riflesso di una incazzatura, anche politica. “Soggetto due” (esiste anche un “Soggetto uno”, ne trovate una versione QUI) riguarda il sociale e le relazioni interpersonali. Nel caso dei “dettagli” (titolo del tutto provvisorio) si tratta poi di un lavoro ancora in progress che non è ancora chiaro dove vada a parare, ma che in sostanza dovrebbe rispondere a due direttrici abbastanza definite: mentre l’ascolto di sé e della realtà va verso il profondo, il basso, l’oscuro la scrittura corrispondente tende a riempire d’aria certi spazi vuoti e in qualche modo sollevarsi, alla ricerca di altre correnti in quota. Se vi interessa potete leggere gli inediti su LPELS QUI. Altri inediti, in parte collegabili a questi, li trovate QUI.
Gabriele Gabbia – L’arresto
Gabriele Gabbia – L’arresto – L’Arcolaio, 2020
Gabriele Pepe – L’inferno del nostro portento
Gabriele Pepe ama i titoli “giocati”, come ad esempio il precedente L’ordine bisbetico del caos (2007), che in un witz contengono già un indizio della sua poetica, o quanto meno del tipo di rapporto poetico/strumentale che ha con la sua visione del mondo e con il linguaggio. Che, come il suo estro, è “libero ed eclettico, magniloquente ex contrario“, come rammenta Plinio Perilli nella sua esorbitante introduzione. Lo (pseudo)shakespeariano “Inferno del nostro portento” potrebbe perfino vagamente richiamare certi ironici titoli o testi di gente come Corrado Costa (“Inferno provvisorio”), Gianni Toti, Emilio Villa, Paolo Gentilomo, ma la somiglianza si ferma lì. Costruito in tre sezioni (Urbi et orbi e la Teoria del tutto; Distanze vicinanze ed altre vie di fuga; Gli inganni del traguardo) i cui titoli celano tre poemetti (l’ultimo assai corto), in realtà ulteriormente e diversamente titolati, articolati in parti, a loro volta costituite da spezzoni aperti e chiusi talvolta da una punteggiatura (…) sospensiva (nella prima sezione), il libro appare un ambizioso canovaccio del mondo e della Storia, dell’individuo con i suoi accidenti e del cosmo, tratteggiato con un piglio a tratti epico/oratorio (grazie anche alle numerose citazioni classiche e non, e all’emergere di una ipermetrica altrettanto epica), a tratti aforistico, e nel quale il poeta si tiene da parte come un descrittore interessato e coinvolto ma sufficientemente disilluso, quasi – per quanto possa apparire contraddittorio – esterno alla faccenda. In realtà c’è materia per più di un libro, materia qui abilmente concentrata in una sessantina di pagine e trattata soprattutto con una lingua il cui tono principale è polemico/sarcastico, e con la quale Pepe, secondo Perilli, costruisce la sua “disquisizione”. Se dico materia per più di un libro vuol dire anche però che si ha a volte l’impressione di un veloce excursus a volo d’uccello, quello che Perilli chiama bonariamente un “passare agilissimo…dal Mito alla Storia, dall’Arcano al Culto sempiterno”, nel quale si toccano temi svariati e di per sé complessi, come la società dei consumi, il malessere del pianeta, la contemporaneità veloce, l’uomo in essa coinvolto ecc., e lo si fa spesso con flash fulminanti e assai significativi, a volte con aforismi secchi prima di passare oltre.