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Guido Gozzano – I colloqui e altre poesie, nota di Claudia Mirrione

Guido Gozzano - I colloqui e altre poesie - A cura di Alessandro Fo, Interno Poesia 2020Guido Gozzano – I colloqui e altre poesieA cura di Alessandro Fo, Interno Poesia 2020

Recensione di Claudia Mirrione

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Alle soglie

[…]

III

Mio cuore, monello giocondo che ride pur anco nel pianto,

mio cuore, bambino che è tanto felice d’esistere al mondo,

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mio cuore dubito forte – ma per te solo m’accora –

che venga quella Signora dall’uomo detta la Morte.

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(Dall’uomo: ché l’acqua la pietra l’erba l’insetto l’aedo

le danno un nome, che, credo, esprima un cosa non tetra)

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È una Signora vestita di nulla e che non ha forma.

Protende su tutto le dita, e tutto che tocca trasforma.

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Tu senti un benessere come un incubo senza dolori;

ti svegli mutato di fuori, nel volto nel pelo nel nome.

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Ti svegli dagl’incubi innocui, diverso ti senti, lontano;

né più ti ricordi i colloqui tenuti con guidogozzano.

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Or taci nel petto corroso, mio cuore! Io resto al supplizio,

sereno come uno sposo e placido come un novizio.

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Un’apostrofe al cuore famosa, quella di Gozzano, tanto quanto il suo classico – odissiaco – paradeigma. Nel corso della sua vita di poeta, il nostro ‘guidogozzano‘ mantenne, nonostante ancor giovane si fosse ammalato di tubercolosi polmonare, un cuore «monello giocondo che ride pur anco nel pianto». È questa, forse, la sintesi più estrema della poesia di Gozzano, perché in essa si mischiano una certa carica ironica e insieme i carezzamenti degli atri umori della malinconia (ecco il suo cuore che deride i dottori mentre gli auscultano il petto: «pur chiuso nella tua nicchia, ti pare sentire di fuori / sovente qualcuno che picchia, che picchia… Sono i dottori. // Mi picchiano in vario lor metro spiando non so quali segni, / m’auscultano con li ordegni il petto davanti e di dietro. // E senton chi sa quali tarli i vecchi saputi… A che scopo? / Sorriderei quasi, se dopo non bisognasse pagarli…»). Quella di Gozzano è, infatti, una dolceridente malinconia che porta con sé l’arte del novellare in versi e che, oscillando lievemente tra l’amore che non giunge mai e la morte che tutto e tutti eguaglia (l’Eguagliatrice, questo il suo appellativo ne La signorina Felicita), prende le forme di una sonorità giocosa, sa fondere aulico e prosaico, sa far uso di una metrica classica e talvolta chiusa, coniugandola a notissime rime eccentriche e a una sintassi spezzata e spesso sospensiva. Continua a leggere