Ripubblico qui nel loro insieme alcune delle prime traduzioni che ho fatto per il vecchio blog, tra il 2005 e il 2008, che riguardano Jane Kenyon, una poetessa americana in pratica sconosciuta in Italia. All’epoca avevo contattato l’editore statunitense, ottenendo l’autorizzazione a pubblicare. Sarebbe interessante lavorare ad una antologia almeno delle quattro raccolte pubblicate in vita, oltre alle opere postume. Si accettano proposte editoriali. (g.c.)
Domenica, 27 novembre 2005
Jane Kenyon (1947-1995) e’ nata ad Ann Arbor nel Michigan e ha frequentato l’università‘ del Michigan dove ha conseguito il Master of Arts nel 1972. Nello stesso anno ha sposato il poeta Donald Hall, suo insegnante all’università‘, e insieme sono andati a vivere a Wilmont nel New Hampshire, terra d’origine del marito. Sebbene la Kenyon abbia felicemente descritto la sua vita nel New Hampshire rurale, come nel suo primo libro Let Evening Come pubblicato nel 1990, ha sofferto per gran parte del suo matrimonio di una grave depressione e le sue ultime poesie, come quelle qui pubblicate, descrivono la sua lotta contro di essa e contro la leucemia che la porterà alla morte nel 1995.
Di Jane Kenyon colpisce l’aderenza alle cose e al senso che ne deriva, la profonda umanità anche di fronte alle avversità che la vita presenta. John H. Timmerman, autore di una sua biografia critica, afferma: “La spiritualità di Jane non era mai un mezzo per sfuggire all’esistenza. Al contrario, le consentiva di abbracciare la realtà con tutta la sua risoluta bellezza e la sua invadente sofferenza”. Cosa lei pensasse del poetare è chiaramente espresso nella risposta che la Kenyon dette ad una domanda dello stesso Timmerman: “Il lavoro del poeta è di dire la verità e nient’altro che la verità, in un modo così meraviglioso che la gente non possa vivere senza di essa; di mettere in parole quelle emozioni che noi tutti abbiamo che sono così profonde, così importanti e tuttavia così difficili da chiamare per nome. Il lavoro del poeta è scoprire un nome per tutto: essere un impavido ricercatore del nome delle cose; essere un difensore della bellezza del linguaggio, delle sottigliezze del linguaggio. Penso che sia una materia davvero seria, l’arte; non è solo ornamento. L’altro mestiere del poeta è consolare di fronte all’inevitabile disgregazione del decadimento e della morte, tutte le dolorose cose che dobbiamo affrontare come esseri umani. Noi abbiamo la consolazione della bellezza, di un’anima che si espande verso un’altra e dice “Anch’io sono stata là ”. Continua a leggere