Louis Calaferte (Torino 1928 – Digione 1994), figlio di immigrati italiani, è stato un saggista, drammaturgo, scrittore e poeta francese, autore di numerose opere e vincitore di diversi premi letterari. Sempre defilato rispetto all’ambiente parigino (amava risiedere in campagna, alla larga dall’industria culturale), nel 1952 pubblica Requiem des Innocents, il suo primo romanzo. Dedica poi quattro anni della sua vita alla scrittura di Settentrione. Uscito nel 1963 e subito sequestrato per oscenità, il libro riappare nel 1984, da Denoël. Philippe Sollers così ne scrisse, su “Le Nouvel Observateur”: ” Non si è mai, ho detto mai, scritto qualcosa di così forte, di così crudo e violento. E spassoso. E orribile. E forse profetico. Non aver letto, o non leggere immediatamente Septentrion è profondamente immorale”. Autore di racconti, saggi, pièces teatrali, Calaferte ha scritto più di 50 opere. Ammirato e detestato per i suoi giudizi taglienti, Calaferte amava Majakovskij, Kafka e Cendrars, ma deplorava la presenza nella Pléiade della «savonneuse Colette», del «fifrelin Giono» e del «lassant Gracq». In Ernst Jünger scorgeva l’archetipo d’«une vieille putain à cervelle pourrie». Oggi, Louis Calaferte è considerato uno dei grandi della letteratura francese. Tra i suoi libri tradotti in italiano, Settentrione (Neri Pozza, 2006) e La meccanica delle donne (ES, 2005), raccolta di frammenti e aforismi sul sesso, l’erotismo e il femminile.
Per me un mistero
Nelle strade del mattino
la sua gioia saltellante, inavvertita dai passanti affaccendati.
Lei era la confusa vertigine di questo brandello di libertà.
Polvere grigia della luce in questo giorno di pioggia.
Il fuoco vivacchia dentro al caminetto.
La casa è un po’ fredda.
Può darsi, in questo bozzolo paralizzato, che nessuno di noi davvero esista, o che sia mai esistito.
In questi giorni come avvolti d’oppio, non è che la nostra sensibilità s’immagini forse quello dei morti?
E’ domenica.
Venezia – pietrificata
figlia dell’abbandono.
Lei era infagottata nel pelo lattescente di pellicce, immobile sorriso negli occhi.
Per calli scarabocchiate camminavamo soli.
– Mi sento più altezzosa di questa città.
Primi fiocchi d’una neve fine.
Cos’è capire?
Invertire i ruoli.
Vera da pozzo della notte.
Col tuo volto chiaro, le labbra carezzevoli, il tuo sguardo puro, i tuoi gesti allegri di bugiarda.
Movimento sul suolo, appena percettibile, d’una compassionevole, commovente lentezza; qualcosa di maldestro in una direzione che si ignora, subito si contraria, si riprende, si riperde, si ostina a perdersi, a riprendersi – su di un suolo ostile, movimento che è imitazione, parodia, tentativo ebbro, tuttavia persistente.
Infinitesimo segno di vita – che lotta, obbedisce al suo pensiero, al suo volere, tenta di ottenere – che cosa? di vivere.
Un piccolo spostamento, ed è la morte.
La nostra morte – che è questo spostamento.
(da Le Sang violet de l’améthyste, Gallimard, 1998)
***
E’ vero che a Londra piove…
E’ vero che a Londra piove
e che i ponti s’annoiano
Il cielo moribondo e ipocondriaco
di nuvole annodate di fuliggine
A Londra piove a Londra
lustrini della pioggia
Si vedeva la città fondersi
come irreale come nella fuga
Un popolo indeciso confrontarsi
sotto volte di ombrelli
Le nostre ombre andavano a confondersi
nell’ombra grigia della pioggia
E’ vero che piove a Londra
e che ti ho seguita.
(da Londoniennes, Le tout sur le Tout, 1985)
***
Sole dai raggi verdi verticali
Sole dai raggi verdi verticali
erano tue queste contrade per tutte le radici
dei muscoli e dei sassi
per le navate e i venti
per i logori tappeti bengala delle rocce ove la preghiera dei mari
terminava in esili
per la pupilla chiusa e tappezzata di folgori
questi sentieri e spiagge
questi vaghi percorsi di passi ripercorsi
Tue queste piste d’ombra nel torace dei boschi
questi assassini
queste ferite
queste liane scannate
il massacro dei fiori
la nera purulenza antica di cortecce disfatte
Tuoi questi popoli lenti tuoi per il bronzo maturo delle pelli per il dondolio essenziale delle anche che accolgono languide le vesti nel cammino
per i bianchi avvertimenti
il morso bavoso
i ferri
per le folli sevizie di nodosi metà pomeriggio
sulla loro polvere riarsa
per l’orecchio carico di vagiti lontani
per i nostri immensi sonni
morti in una luce d’arancia liberi all’aria a spigolare i tuoi graniti
noi fummo i tuoi impiccati
Alle tue collane
Alle tue felci
Ai tuoi paranchi
Messale
Alle tue parrucche
Alle tue vele
Ai tuoi unguenti
Carneficina
Alle tue boe
Alle tue terrazze
Ai tuoi fervori
Forcipe
la mia donna a seni nudi inchiodata sotto i tuoi oltraggi
come all’amore languida e morbida e torpida
come all’amore figgitiva e morbida e conforme
come all’amore unita e docile e passiva
la mia donna a seni nudi
come all’amore consegnata alle tue eucaristie
Penitenza
Ai tuoi scandagli
Alle tue lane
Ai tuoi re
Origine
Amanti-pennelli ad annotare le tue servitù
noi fummo i tuoi eletti.
(da Rag-time, Denoel, 1972)
(traduzione G. Cerrai) Continua a leggere