Maristella Diotaiuti – . come cosa viva – Terra d’ulivi Edizioni, 2021
Come scrive nel primo testo, in questa raccolta che mi pare essere il suo esordio poetico, Maristella Diotaiuti “Inscena. l’oscuro. Prepara. la sua trama. Tesse. intriga. la tragica ironia”. Per chi non avesse il libro in mano diciamo intanto che questa interpunzione che frange i sintagmi, spezza il ritmo e il respiro, costringe la mente a ricomporre un senso è già un elemento di stile della scrittura di Maristella. Ma a parte ciò (ci torneremo semmai) il testo iniziale è già abbastanza indicativo, o addirittura programmatico, una specie di preambolo dell’opera in cui l’autrice ci dice tra l’altro che “Questo è il ritmo. dei figli più belli. del mondo. i poeti”, i quali “Sanno. che la verità. è chiara e tortuosa”. Al di là di questo ossimoro la cifra di Diotaiuti è un’oscurità misteriosa, una materia ad alta densità che a tratti si riflette sulla scrittura, ma che non è perseguita o ricercata a fini mimetici, anzi è il luogo dove quella verità deve essere indagata. Non ci sono alternative, è una sfida che deve essere raccolta. E questa notazione per così dire metapoetica, che riguarda cioè il fare, non è esterna alla materia stessa, non è uno strumento ma una mappa. Il territorio, come in tanta poesia contemporanea, è esistenziale, non tanto come mero vissuto (e quindi memoria) quanto come intreccio di domande spesso senza risposta (e quindi speculazione e angoscia). Questo nella sua generalità, poi naturalmente lo sguardo si volge in ambiti nei quali l’identità del poeta trova le sue eco, i suoi punti di riferimento, i suoi totem, e soprattutto gli essenziali appigli alla realtà vissuta e percepita. Che possono essere elementi oggettuali, rondini in cielo, odore di erba, una falce di luna ecc., senza tuttavia essere correlati oggettivi (cioè metonimie) giacché la loro funzione principale, mi sembra, è quella testimoniale, un esserci insieme a chi osserva, il poeta stesso, che in questa rarefatta realtà tangibile è insieme presente e assente, ma comunque esiste, è momento di sé. In altre parole, le cose (“il concreto e il misurabile”) sono nel verso perché il poeta è lì ad attestarle e ad esserne attestato. Ed è suo compito di estrarle (“le cose stanno / ritirate in se stesse / in una insenatura inconsueta”), di rinvenire la natura poetica di esse, accettare ogni “imprevisto grumo di realtà”.