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Maurizio Donzelli – “In nuce”, mostra a Bologna, nota di Elisa Castagnoli

Maurizio Donzelli - In nuce, Bologna“In Nuce” di Maurizio Donzelli (ori e mirrors al museo Medievale di Bologna )

 

“In Nuce” come titola l’installazione contemporanea al museo medievale di Bologna significa ciò che è nell’atto di venire alla luce, l’embrione di qualcosa che ancora non è, qui le geografie immaginarie create da Maurizio Donzelli entrando in uno spazio-tempo sospeso fuori dall’ordinario.

I disegni lievi ed eterei dell’artista bresciano entrano in dialogo silenzioso con gli ambienti del museo bolognese dove stratificano armi, arazzi, stele sepolcrali, sculture sacre e bronzi che datano dal XIV secolo. I suoi ricami aerei insieme agli effetti a specchio delle installazioni si intrecciano con l’impronta medievale del museo e della città. Bologna ne è pervasa In ogni angolo o lembo del centro storico, dalle cortine rosse abbassate sulle finestre dei palazzi comunali, agli emblemi dei casati incisi sulle mura rossicce, ai porticati dove ci si ripara nei roventi pomeriggi d’agosto. Allo stesso modo, le piazze ampie e soleggiate si alternano alle stradicciole strette e tortuose del centro antico mentre una costellazione di torri e resti di mura medievali circuiscono le porte cittadine. Da una parte la storia è stratificazione di tracce e lasciti del passato, nell’arte sacra e profana da un’epoca all’altra in forme e stili differenti. D’altro lato, l’arte di oggi entra in un dialogo sottile, ironico con il passato al limite cercando ciò che è latente piuttosto che manifesto in esso: il suo doppio nascosto o invisibile, quello che le opere suggeriscono tra le righe a noi con la sensibilità del presente come risonanza spesso asincronica tra due epoche. Qui, nello specifico, i monocromi d’ oro e i “mirrors” di Donzelli restano sospesi come filigrane lievi di colore e di luce in un tempo altro che non è né il passato delle collezioni, né il presente della sua arte. Un intreccio invisibile tra i due suggerisce possibili connessioni attraverso il tempo e lo spazio secondo le libere reminiscenze o sensazioni degli spettatori. Continua a leggere

Dante: visioni nell’arte, una nota di Elisa Castagnoli

Henry Holiday, 1883Dante: visioni nell’arte, (ai Musei san Domenico di Forlì)

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“La visione dell’arte”, ovvero la potenza visionaria di una poesia, quella che ha inspirato l’opera di numerosi artisti e pittori nel corso dei secoli, liberamente tratta dall’opera di Dante, dalla sua poesia giovanile a sfondo stilnovista ma soprattutto dall’universo poetico inesauribile della Divina Commedia. Questo è il tema al centro della nuova esposizione ai Musei San Domenico di Forlì riaperta al pubblico alla fine di Aprile dopo la sofferta chiusura dovuta alle misure di contenimento Covid.

Temi e immagini, figure e personaggi della Commedia restituiti dal genio poetico di Dante hanno continuato a dominare nei secoli l’immaginazione collettiva oltre che a ispirare la figurazione plastica o pittorica di molti artisti e scultori. Vale a dire se non è forse possibile comparare due mezzi di espressione tanto diversi quanto la parola, il verso nella sua evocazione poetica e la rappresentazione visiva, molti artisti nel corso dei secoli si sono confrontanti alla potenza visionaria della Commedia dantesca, opera dove la realtà storica è costantemente riflessa in quella ultraterrena e viceversa mentre i ritratti dei più noti personaggi delineati in pochi tratti poetici restano vividamente impressi nella memoria collettiva. Lui, Dante, poeta esule nel viaggio di ascesa dell’anima dal peccato alla salvezza diviene interprete e mediatore della cultura classica e, insieme,della rivelazione cristiana alle radici della nostra civiltà moderna.

L’intreccio tra arte sacra e rappresentazione della dimensione ultraterrena coincidono spesso in epoca medievale spostandosi, invece, in epoca moderna verso un’interpretazione astratta, una rilettura sempre più simbolica di temi e figure tratte dall’opera dantesca, come vediamo nell’estetica simbolista o nella pittura preraffaelita inglese. Certo la Divina Commedia come tutta l’opera di Dante continua a costituire una fonte inesauribile di ispirazione, di citazione pittorica, di rilettura anche distante o rinnovata rispetto all’originale tanto che l’arte in tutte le epoche non può prescindere da riferimenti immaginativi o plastici a una delle pietre miliari della nostra poesia e cultura occidentali. Continua a leggere

Monet e gli impressionisti a Bologna, nota di Elisa Castagnoli

Claude Monet - AutoritrattoMonet e gli Impressionisti: paesaggi d’acqua a Palazzo Albergati (mostra a Bologna)

 

Color is my daily obsession, joy and torment”: il colore è la mia ossessione quotidiana, la mia più grande gioia e tormento” affermava Monet, come leggiamo nella citazione all’inizio del percorso a Palazzo Albergati; al centro della mostra bolognese alcuni tra i più noti capolavori del movimento impressionista francese, in particolare Monet, Degas, Renoir ecc sono affiancati da alcuni inediti provenienti dal museo Marmottan di Parigi tra i quali assumono particolare rilievo le tele di Berthe Morisot unica esponente femminile del gruppo.

Un’irradiazione di colori accoglie i visitatori attraverso l’installazione all’inizio della mostra: ninfee d’acqua, distese fiammeggianti di papaveri rossi, piccoli pesci guizzanti nel laghetto dai riflessi smeraldo di Giverny trasformano il corridoio del palazzo in un prato fiorito, in un campo acceso di colori dove le ombre dei passanti si confondono con quelle delle forme proiettate sugli specchi laterali per lasciarli precipitare nel sogno luminoso degli impressionisti.

 

Nel 1875 Monet dando inizio alla svolta pittorica moderna scrive a proposito del suo quadro “treno nella neve”: “Quando il treno parte il fumo della locomotiva è talmente denso che rende ogni forma difficilmente riconoscibile”. Tale il treno diviene sulla tela: una presenza scintillante, viva come due occhi irradianti nella notte, un bagliore arancio sulla bianca coltre di neve, una fantasmagoria di punti luminosi , fugace come l’impressione che l’ha generata. Tale la svolta semplice quanto radicale della nuova pittura impressionista alla fine del diciannovesimo secolo: dipingere la vita, l’impressione immediata e autentica dei sensi, lasciare l’atelier per lavorare in esterno, “en plein air” utilizzando la contingenza del momento, le varianti atmosferiche, l’influenza dei primi procedimenti fotografici. Gli impressionisti abbandonano il canone e la staticità della pittura accademica classicista di soggetto mitologico; dipingono all’aria aperta portando con sé tele e pennelli, rapidamente prima che la luce del giorno scompaia oppure utilizzandone le sfumature più cangianti per immergersi in quei paesaggi e renderli così come apparivano ai loro sensi. Continua a leggere

Banksy – A proposito di muri e di pace, nota di Elisa Castagnoli

Banksy, Lab-ratBanksy…A proposito di muri e di pace (mostra a Palazzo dei Diamanti, Ferrara)

“I muri sono sempre stati i luoghi migliori dove pubblicare i lavori. Contrariamente a quanto si va dicendo non è vero che i graffiti siano la più infima forma d’arte…in verità è una delle forme più oneste che ci siano. Non c’è elitarismo ne ostentazione, si espone sui migliori muri che la città abbia da offrire e nessuno è dissuaso dal costo del biglietto.”

Più di cento opere e oggetti originali ci conducono attraverso la mostra ferrarese a Palazzo dei Diamanti del noto quanto discusso street artist britannico Banksy la cui identità resta tuttora avvolta nel mistero. Dipinti a mano, stencil e serigrafie simili ad affreschi popolari investono i muri del museo con questioni fondamentali della nostra società al centro della sua poetica, in primo luogo la critica stringente alle derive del capitalismo occidentale, la guerra, le manipolazioni mediatiche, infine, il controllo sociale contro la libertà individuale. L’insieme della sua opera diviene asserzione originale di una voce discordante, ironica e dalla risonanza profondamente etica. La sua è un’arte nata nelle strade di Bristol e di Londra fatta di incursioni solitarie nella notte, pareti rubate agli spazi colonizzati della citta, luoghi pubblici investiti di graffiti, spray o acrilico al crocevia tra pop art, cultura hip-hop e quella digitale d’oggi. L’artista sceglie di restare senza volto o meglio la sua identità emerge unicamente attraverso il comparire repentino e ironico di un alfabeto visivo inconfondibile in immagini o tag sui muri e gli edifici in giro per le città del mondo. Come per non smettere di ricordarci il ruolo di un’arte autentica che elude la legge del mercato e si vuole libera, portatrice di una propria critica sociale, investita di un senso collettivo e globale insieme. Non elitaria ma che si espone, con gratuità allo sguardo di tutti.

“Se vuoi dire qualcosa e avere persone che ti ascoltano allora devi indossare una maschera. Se vuoi essere onesto devi vivere in una bugia.” Continua a leggere

Robert Doisneau, eterna Parigi – nota di Elisa Castagnoli

Robert Doisneau - Pierrette d'Orient (Paris)Robert Doisneau, eterna Parigi

“Ho molto camminato per Parigi, prima sul pavé poi sull’asfalto, solcando in lungo e in largo per mezzo secolo la città. Nella mia condotta non c’è mai stato nulla di premeditato. A mettermi in moto è stata la luce del mattino, mai il ragionamento. D’altronde, che c’è di ragionevole ad essere innamorato di quello che vedevo?”.

Una Parigi popolare e romantica, ora grottesca e sfavillante emerge scorrendo attraverso le immagini del noto fotografo francese Robert Doisneau a Palazzo Pallavicini per dare vita al suo “racconto autobiografico del mondo”. Sono i quartieri popolari di una Parigi antica, intrisa di poeticità e bellezza quella che ci mostra Doisneau dalla Resistenza francese negli anni ‘40 ai decenni successivi. Sono i ritratti degli artisti e delle celebrità negli anni ‘50, gli interni delle loro dimore o atelier, i personaggi eccentrici incontrati casualmente lungo le strade o nei caffè, infine i bambini solitari o ribelli colti in improvvisi slanci di libertà. Perché la fotografia sarà sempre per Doisneau, “la cattura di piccoli momenti” osservando il mondo che gli appartiene in scatti di poesia e vita quotidiani. Continua a leggere

“Women: a century of change” ; a proposito di fotografie, emergenza, crisi e rinascita oggi, una nota di Elisa Castagnoli

ghana schoolgirls, Randy Olson

“Women: a century of change” ; a proposito di fotografie, emergenza, crisi e rinascita oggi

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La mostra fotografica “Women: a century of change” allestita da National Geographic in collaborazione con i musei bolognesi presso Santa Maria della Vita e prevista fino al prossimo Maggio non è più visitabile a causa della chiusura tempestiva di tutti i luoghi pubblici e culturali per l’ epidemia devastante che sta colpendo il nostro paese insieme al resto d’Europa e del mondo. Ho avuto modo di vedere quelle fotografie pochi giorni prima che il decreto sancisse la chiusura definitiva di tutti i luoghi pubblici cittadini. Mi domandavo se avesse senso parlare di queste immagini ora di fronte ad emergenze molto più gravi, sanitarie e economiche del paese. Eppure, mi sembra che i nuclei tematici in cui è suddiviso il percorso, aprendo prospettive sulla rappresentazione del femminile nel tempo e nello spazio attraverso le diverse culture –un secolo di storia delle donne- abbiano ancora molto da dirci, oggi, di fronte all’emergenza che stiamo vivendo. Le immagini di queste donne infatti ruotano intorno ad espetti essenziali dell’esistenza che tanto più siamo chiamati a riconsiderare o attraverso i quali ripensare l’emergenza attuale: la forza come resilienza, la saggezza come discernimento di fronte all’inaspettato, l’amore come principio unificante tra gli individui infine la bellezza come baluardo contro la distruzione della nostra specie.

I: Empatia

L’amore   nelle sue differenti accezioni viene definito dal dizionario Treccani come forza universale di riconnessione e unione tra le anime, le persone e i luoghi, tra il divino e l’umano, tra il sentire e l’agire individuale. Esso è ancora il desiderio di produrre un bene comune, il bene dell’altro, poi l’ attrazione basata su un affetto o un sentimento che unisce due persone, infine la vicenda o la passione amorosa. Oggi, ritroviamo le nostre case come luoghi di rifugio e insieme di vita concentrata in pochi metri quadrati di spazio ritagliati dall’esterno per prendere le distanze dal mondo, per cautelarci e insieme prenderci cura dei nostri cari. Iniziamo a osservarlo in un silenzio nuovo, e, tale lentezza dimenticata ci riporta a un tempo del passato, lento e scandito dai ritmi e le mansioni quotidiane nel quale oggi, di nuovo, ci troviamo a vivere, costretti a fermarci e a restare.

L’amore in questo frangente estremo ritorna ad essere empatia con l’altro pur nella distanza. Tracciare i confini di un proprio spazio, intimo e invalicabile come la casa, e insieme vivere quest’empatia o fratellanza con chi ci è prossimo affettivamente. Sentire gli altri vicino e lontano insieme pur nella distanza, sulla base di un comune destino che ci tiene qui legati come specie. Allora, gli abbracci e i baci con i nostri simili come la possibilità di stare vicino e condividere il contatto con gli amici, i famigliari, i prossimi li riscopriremo , quando ci saranno concessi liberamente dopo la pandemia come dono, unico e prezioso, di cui avere cura. Continua a leggere

Picasso, la sfida della ceramica – nota di Elisa Castagnoli

Pablo Picasso and Marc Chagall working on ceramics in Vallauris, France, circa 1952 (fonte web)

Picasso, la sfida della ceramica (al MIC di Faenza)

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Che cos’è la scultura, che cos’è la pittura? Si aggrappano sempre a vecchie idee, a definizioni superate come se non fosse il compito dell’artista di trovarne delle nuove.”

“Per me non c’è né passato né futuro nell’arte. Se un’opera d’arte non può vivere nel presente non deve essere considerata. L’arte dei Greci, degli Egizi, dei grandi pittori vissuti in altre epoche non è un’arte del passato. E’ più viva oggi di quanto non lo sia mai stata.”

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La sfida di tutta una vita per Picasso, l’artista geniale e poliedrico che più ha influenzato l’arte del secolo scorso, è quella di sperimentare, confrontarsi, mettere alla prova tutte le tecniche e materiali in un faccia a faccia inesausto, estremo e vitale con la creazione. Picasso inizia a lavorare estensivamente con la ceramica tardivamente negli anni cinquanta e ne apprende le tecniche a partire dal 1948 in Costa azzurra al laboratorio Madoura dei coniugi Ramié. Accoglie la sfida, vi si getta con entusiasmo fino ad appropriarne i mezzi e gli stili della tradizione tanto che tale arte diviene parte integrante del suo universo poetico al pari degli altri mezzi espressivi.

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Il sogno di Chagall, mostra a Bologna – nota di Elisa Castagnoli

Il sogno di Chagall (a Palazzo Albergati, Bologna)

 

“Chagall sogno e magia” attualmente a Palazzo Albergati a Bologna ripercorre l’universo poetico e visionario, la dimensione onirica e immaginativa dell’opera di Marc Chagall a partire dal 1925 fino ai giorni nostri : il suo stile unico nella più totale libertà espressiva insieme ai temi ricorrenti di tutta una vita; la memoria d’infanzia nella cittadina russa natale si intreccia alla profonda spiritualità Biblica, infine l’amore come forza unificante e creatrice del suo intero universo poetico.

 

La stile originalissimo di Chagall nasce, infatti, come sintesi di tre culture che si intrecciano sul suo cammino: quella ebraica di discendenza famigliare ritrovata soprattutto attraverso la lettura biblica, quella russa dell’infanzia e della prima giovinezza da Vitebsk a S. Pietroburgo, infine quella europea, o meglio francese al crocevia di tutte le nuove avanguardie trasferendosi a Parigi dal 1910. Chagall, tuttavia, pur assorbendo alcuni elementi della nuova arte a stretto contatto con gli artisti dell’avanguardia persegue sulla sua via creativa con la più totale libertà espressiva in una visione unificante dove la vita e l’amore nutrono la sua arte, colorano il suo linguaggio e connettono in qualche modo il piano individuale e onirico della sua esistenza a un senso universale della natura e del cosmo.

 

Dopo alcuni anni trascorsi in Europa dove Chagall comincia ad acquisire fama internazionale l’artista decide di tornare a Vitebsk alla ricerca delle proprie radici, forse per quel legame primordiale alla propria cultura russa e ebraica. Allo scoppio della Prima guerra mondiale si trova in Russia costretto a restare nel suo paese durante la rivoluzione bolscevica fino al 1922; sposa Belle musa ispiratrice di tanta sua arte e nasce la figlia Ida. Dal 1923 ritorna con la famiglia in Francia dove resterà fino agli anni ’40, costretto allora a rifugiarsi negli Stati Uniti per sfuggire alle persecuzioni naziste come molti altri artisti ebrei in Europa. Una vita di erranza, di dislocazione e esilio scelto e imposto a lui da quel destino di “ebreo errante” cui il tema dell’esilio fa da sfondo alla metamorfosi creativa di un mondo reinventato dai colori della sua immaginazione.

 

“Là dove sono queste casette ammassate, là dove il sentiero sale, là dove il fiume più ampio scorre, là ho sognato la mia intera vita. Di notte un angelo attraversa il cielo. I tetti delle case sono immersi in una luce abbagliante che predice per me una lunga, lunga vita. Il mio nome si solleverà sopra quelle case..

Popolo mio è per te che ho cantato ..è una voce che proviene dalle profondità riempita di tristezza e inumana melodia. E’ per te che ho dipinto fiori, foreste oscure, persone tra le case, come un barbaro ho sfregiato il tuo volto ma ti ho benedetto giorno e notte”. (Marc Chagall) Continua a leggere

Julian Charrière a Bologna, riflessioni sull’arte di Elisa Castagnoli

” All we ever wanted was everything and everywhere”

Julian Charrière (immagini tratte dalla mostra al Mambo di Bologna)


“ Prima luce dell’alba, paradiso perduto, noci di cocco divenute ordigni nucleari

Finzione nel cuore del Pacifico

Non siamo al di sotto, non al di sopra ma all’interno dell’oceano

Affondati dentro le acque per scrutare il sole atomico e oscuro dell’isola

in mezzo a promesse infrante dove eravamo soliti fluttuare.”

 

Iroojrilik, (Video 2016)

 

Nelle isole Marshall, varie imbarcazioni militari furono portate dall’esercito americano nell’atollo di Bikini per sperimentare diverse bombe atomiche. Questa specie di flotta fantasma, giace al fondo del Pacifico, là dove gli Stati Uniti avevano posto le loro basi logistiche per testare gli ordigni nucleari. Lì furono deposte, lasciate all’erosione lenta e inarrestabile dell’oceano al fondo delle acque insieme ai bunker costruiti sull’isola per documentare i lanci atomici. Avamposti di una fantomatica impronta coloniale, essi si ergono nella loro massa di cemento estraneo come intrusioni violente e brutali sul territorio, in un rigurgito di materia difficilmente assimilabile dal naturale processo di rigenerazione.

 

Charrière filma tali strutture atomico-industriali al largo del Pacifico insieme ai relitti depositati al fondo della laguna divorati dal tempo e dalle maree. Le immagini originali scattate dalle immersioni sottomarine evocano l’affiorare di una nuova Atlantide, riemersa dall’abisso come l’ombra sommersa di una civiltà perduta.

 

La prima immagine che si imprima nitida ai nostri occhi dal video è questa spiaggia arsa dalla calura incontenibile della crosta terrestre, surriscaldata come se la terra fosse preda di un processo di graduale auto-combustione, nella secchezza inumana della pietra divenuta roccia carsica in assenza d’acqua e di vita. Un sole rosso infuocato e immobile, semicoperto dalla densità nebulosa dell’atomica si erge sulla superficie opaca della crosta terrestre.

 

La seconda immagine: le profondità marine. La vita scorre al di sotto, attraverso forme infinitesimali, acquoree e indistinte dove fluttuano molluschi, piante, alghe e anfibi d’acqua in un rifiorire di vita semi-sommersa e rigogliosa nelle profondità del fondo marino. Una grande corazza ferrosa e pesante simile al relitto del naufragio biblico domina incrostata di muschi e alghe al centro di quell’immensità oceanica.

 

Rocciosa e gravida di scorie la costa a riva è sovrastata dalla grande nube atomica, esplodente o a esplosione fissa. Costruzioni, blocchi di cemento armato si ergono oltre la foresta amazzonica in piccoli squarci aperti sulla spiaggia arsa in mezzo all’oceano. Tale luogo di una natura primigenia e incontaminata diventa non-luogo violato dall’irruzione della presenza umana, usurpato e devastato dalle scorie degli ordigni atomici. Un sole rosso infuocato sovrasta la spiaggia granitica e solarizzata dopo la grande esplosione.

 

I detriti pesanti sono al fondo, come una grande macchina da guerra o sottomarino affondato e ricoperto di muschi e piante acquatiche. Inquadrata a distanza ravvicinata un’immensa zolla di terra fluttua pesantemente tra le acque; poi, sulla costa si snodano stormi, alberi e foreste pluviali, palme e felci coralline ancora frammiste a cemento e buchi neri: una varco in ferro intaglia uno squarcio oscuro sul blocco armato del bunker americano. Continua a leggere

Surrealist Lee Miller, mostra a Bologna – nota di Elisa Castagnoli

SURREALIST LEE MILLER (fotografia a Bologna, Palazzo Pallavicini) 

 

Surrealista il suo modo di osservare il mondo, il ricorso a metafore e paradossi visivi per raccontare attraverso le immagini, ancora il rivelarsi, sorprendente, di una bellezza inattesa scavando sotto l’usura quotidiano; tale lo sguardo surrealista per ispirazione e stile di Lee Miller nel corso di tutta una vita pur nell’evoluzione delle immagini e degli accadimenti. Tanti volti in un sol volto, tante sfaccettature in una sola personalità, nel corso degli anni la musa ispiratrice diviene fotografa, Parigi diviene New York poi il resto del mondo mentre la ricerca modernista, pura e astratta, si trasforma nella fotografia documentaria durante l’epilogo tragico del secondo conflitto mondiale. La retrospettiva “Surrealist Lee Miller” attualmente a Palazzo Pallavicini a Bologna raccoglie le immagini più significative di una carriera, da quelle iconiche e d’una perfezione stilistica ineguagliabile entrate a pieno titolo nella storia della fotografia moderna e quelle che come tracce, segni o punti incidenti marcano la storia del nostro ultimo secolo di guerre in Europa.

 

L’eleganza innata della figura, i tratti puri e raffinati del volto, l’atteggiamento distante e altero, Lee Miller diviene dagli inizi della sua carriera il nuovo volto della moda newyorkese sulle copertine di Vogue dove lavora a partire dal 1927 con Condé Nast. Approda a Parigi l’anno successivo inviata da Nast per incontrare il fotografo surrealista più in voga dell’epoca Man Ray iniziando con lui una collaborazione proficua come modella e musa al centro dei suoi più noti ritratti. E’ allora che Miller si inizia al lavoro fotografico sotto la guida dell’eccezionale maestro: vuole che lui le trasmetta i segreti della camera oscura, la perfezione della presa di immagine o la sua voluta distorsione; sperimentando con la nuova estetica dell’avanguardia giungono a sviluppare la tecnica della solarizzazione. “Oggetti trovati” del quotidiano, immagini dai contrasti tonali esasperati nella sovrapposizione luminosa, particolari estraniati dal proprio contesto per divenire altri, misteriosi e perturbanti, tali le immagini che accumunano la ricerca estetica degli anni più propriamente surrealisti.

 

“Nude bent forward” ( nudo piegato in avanti) ne è l’esito più evidente. Il nudo femminile visto di schiena in primissimo piano ingigantito e ripiegato su sé stesso al centro genera un’ immagine equivoca, astratta e insieme perturbante allo sguardo. Allude a rotondità sensuali e tondeggianti, ondulatorie e sinuose evocando nell’inconscio una chiara simbologia sessuale al femminile e insieme avvolgendola di un’aurea di mistero e inconoscibilità. Altre volte sono contorni iconici di volti o figure resi in maniera assoluta, epurati in linee essenziali dalla realtà che come moderne icone pop, espongono sé stessi in una simulata nudità di superficie. Tuttavia, l’ottica surrealista permane sullo sfondo, l’idea che l’arte debba attraversare le soglie del cosciente, del convenzionale o consueto, esplorare il sogno e ogni altra manifestazione dell’inconscio come l’irriducibile del razionale e del senso comune. E, ancora, cercare come voleva Baudelaire, la poesia della realtà in segrete, misteriose corrispondenze parte di una totalità cosmica pre-esistente. Continua a leggere