“Terra madre” di Ermanno Olmi, nota di Elisa Castagnoli

Voci e immagini da “Terra Madre” di Ermanno Olmi, (2009)

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In occasione della “settimana della terra” la Cineteca di Bologna ha trasmesso il film documentario “Terra Madre” (2009) di Ermanno Olmi parte della sezione “ Il Cinema Ritrovato”. “Terra Madre”, dal titolo, si ispira all’ incontro mondiale a cadenza biennale tenutosi a Torino dove nel 2006 si sono ritrovate varie categorie di “lavoratori del cibo” insieme a studiosi provenienti da tutto il mondo per confrontarsi sul tema di una globalizzazione positiva: come nutrire il pianeta intero senza devastarlo stabilendo un rapporto armonico con l’ambiente.       

Olmi partendo da tale presupposto ha creato un documentario poetico che si sposta attraverso il globo dall’India, all’Africa, all’Europa fino ad approdare in Italia dove un uomo vive quarant’anni in solitudine a contatto solo con la propria terra per narrare, infine, attraverso le immagini una connessione ancora possibile, profonda e ancestrale, con il mondo della natura. Si tratta, allora, di aprire una prospettiva su “un altro modo di vivere” opposto al sistema di consumo e sfruttamento incondizionato e attuale del nostro pianeta.

Vi sono evidenti implicazioni economiche, ecologiche e sociali correlate al tema di “un altro possibile futuro per l’economia globale: l’idea di uno sviluppo sostenibile, la necessità di una nuova ecologia per la terra, e infine di una più equa distribuzione delle risorse e delle opportunità nelle diverse aree geopolitiche mondiali . Il tema di “Terra madre” indirettamente tocca   anche noi tutti, oggi da vicino,  mentre  lentamente tentiamo di ritornare a una presunta normalità dopo mesi di quarantena e distanziamento sociale forzato generati  da una crisi globale senza precedenti di cui l’emergenza epidemica è forse solo il fattore più evidente. 

 

La terra agonizzante si ribella all’espropriazione e sfruttamento incondizionato delle sue risorse, alla desertificazione, ai disastri naturali prodotti dall’uomo, ai disequilibri climatici, alla ferita inferta al suo ecosistema. E dunque, l’epidemia, il contagio diffuso, il temporaneo arresto di tutte le attività sociali e produttive nei nostri paesi occidentali forse non sono che un’indiretta conseguenza di un sistema naturale che si rivolta all’uomo nel suo agire sconsiderato o, semplicemente, tenta di riassettarsi dal disequilibrio profondo lì generato con le conseguenze epidemiche che conosciamo. Se tale pandemia a breve o lungo termine sarà arginata molto dovrà continuare a cambiare o essere cambiato in questo riassesto necessario dell’uomo verso il proprio pianeta: terra che genera e si auto-rigenera, madre-e-padre insieme contro gli estremi di una globalizzazione incontrollata e senza limiti dell’economia insostenibile di oggi. Una prima allerta allarmante sotto forma di contagio globale la terra ce l’ha già data.

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Vandana Shiva, (attivista politica e ambientalista indiana)

 

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“In India crediamo fermamente che in questo meraviglioso pianeta la rete del cibo sia connessa alla rete della vita.[..]La nostra identità primaria, la nostra ricchezza e salute derivano dalla produzione e assunzione di “cibo buono”. Le nostre sementi sono state brevettate, diventando monopolio di un gruppo di corporazioni con il 95% di semi geneticamente modificati. In India da quando tali semi sono stati venduti centinaia, migliaia di coltivatori si sono indebitati, o peggio suicidati. .. L’ultima fase della globalizzazione è la privatizzazione. Le corporazioni vogliono creare la proprietà di tutto: del cibo, dei semi, dell’acqua. Salvare le sementi significare salvare il nostro futuro”. Nel video l’attivista politica indiana definisce la necessità di “un nuovo umanesimo”, cioè una nuova politica globale resa necessaria dal cedimento del sistema attuale che permetterà all’umanità di tutelarsi reciprocamente limitando i bisogni quando questi divengono sprechi o inutili consumi. “ Live with less” , “vivere con meno” nell’ottica di Vandana Shiva significa proteggere la terra perseguendo un’economia sostenibile e in armonia con la natura e le comunità locali.

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Aminata Traoré (scrittrice e attivista politica del Mali)

 

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“ Sono una madre dal cuore martoriato dalla migliaia di partenze forzate dei suoi figli che vengono a morire alle porte dell’Europa o alle sue barriere. Uno di quei giovani prima di scavalcare il filo spinato di Ceuta ha detto a un amico: “ Se muoio dì a mia madre che ho fatto tutto il possibile per lei, perché non voglio che muoia di fame. Da noi si dice che la madre porta il figlio, la terra invece ci porta tutti, la terra è nostra madre, ricca abbastanza da nutrirci tutti. La terra è generosa, è una madre che dà a tutti”. La scrittrice aggiunge che la terra africana soffre oggi più che mai l’impatto dei cambiamenti climatici nella costante carenza d’acqua, nel surriscaldamento dell’atmosfera, infine in interi ecosistemi minacciati nella loro stessa esistenza. Se la terra è pensata come cosa comune dovrebbe essere governata da un’economia che garantisce un bene comune e un sostentamento equo per la maggioranza. I predatori della terra sono oggi il consumismo sfrenato, lo spreco e lo sfruttamento senza limiti delle sue risorse.

 

 

Ermanno Olmi, nel documentario, narra attraverso poche immagini silenziose accompagnate da una voce fuori campo la storia di un uomo nel nord Italia che ha vissuto per molti anni in una cascina separato dal resto del mondo perché aveva visto “la corruzione della nostra terra come atto sacrilego e aveva posto lì la sua difesa” ; alla ricerca di un fragile equilibrio, forse, tra la sua intima verità e un mondo là fuori che sentiva come violento e estraneo . Olmi afferma a questo proposito: “ Uomini e donne ancora resistono all’incalzare di una delittuosa politica di sfruttamento esasperato e devastante dei suoli fertili, unica risorsa di cibo per tutti i popoli. Qui una testimonianza di eterna e leale alleanza con la natura e i suoi frutti.”

 


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Finale: immagini da “Terra-madre”

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Il ghiaccio ricopre la terra; l’uomo spala la brina, scava, cerca al di sotto le zolle umide e vive sotto la lastra immemore di ghiaccio. Il fiume immobile, scintillante come una lama sottile, lucida e ghiacciata riluce a distanza al culmine dell’inverno.

Si potano e si legano i viticci nuovi dei frutteti. Lo scorrere lento delle acque al disgelo: i ghiacci si sono sciolti ma ancora il fluire è trattenuto dall’atmosfera rarefatta e nebbiosa della stagione. Rompere la crosta di pietra e terra gelata, rimescolare, sommuovere la terra alle radici.

Primi albori di marzo. L’uomo prepara il terreno alla semina, segna lo spazio, lo traccia, lo incide di solchi. Poi, uno a uno lascia cadere i grani, le sementi nel terreno e lo ricopre come volesse celarne il segreto. Voci solitarie risuonano nella campagna circostante. La terra nasconde nel calore dei suoi visceri i semi e attende di restituirli a nuova vita. L’immagine del fiume ora lento e regolare come lo scandire del battito perfetto delle ore e delle stagioni. Verdi germogli fioriti lentamente si trasmutano in piante mentre i primi rami in fiore appaiono sulle asperità delle rocce. Vento dell’est, annuncia cambiamento.

 

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L’acqua, una pioggia cade lieve e continua sulle piante. L’uomo solo attende la fine della pioggia. Attende lo scivolare lento dell’acqua dalle foglie, goccia a goccia il tempo della crescita. Le piante appaiono iridescenti al palpitare delle goccioline vive. Microcosmiche creature e insetti svolazzano intorno. L’uomo ora estrae le piante e i loro frutti dal suolo: lucide e oscure melanzane, peperoni scintillanti nel loro arancio solare, more succose, albicocche all’apice della loro maturazione. L’acqua scorre e irriga il germogliare di nuova vita. Un bimbo tra le piante gattonando esplora, al tatto, le forme nuove che gli si presentano sul cammino. Il fiume scorre lento e continuo in un fluire intercalato di foglie d’acero, di bianchi gigli e gracili papaveri rossi nel divenire inarrestabile della vita. (Elisa Castagnoli)

 

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