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Margaret Atwood – Esercizi di potere

Esercizi di potere  (Power Politics, 1971) di Margaret Atwood, collana Poeti di Nottetempo Edizioni, 2020Un libro minimalista, con la sua semplice copertina bianca,  privo di nota introduttiva (che ci poteva stare), di note al testo (ma inutili con l’inglese lineare di Atwood, un limpido Canadian English), solo la traduzione, che a me pare molto buona, di Silvia Bre. Si tratta di Esercizi di potere  (Power Politics, 1971) di Margaret Atwood, collana Poeti di Nottetempo Edizioni, 2020. 

Non è inutile citare l’anno di uscita di Power Politics.  Gli anni Sessanta si sono appena conclusi, con tutte le loro istanze alcune delle quali daranno qualche frutto solo a distanza di tempo. Come le rivendicazioni delle donne, la parità di genere, il desiderio, il rispetto, l’autodeterminazione nel pubblico e nel privato, il diritto di scelta, la sessualità. Tutti temi su cui, fin dai primi Sessanta, Atwood è sempre stata attiva, che hanno anzi trovato voce in molte delle sue opere, dalla poesia ai romanzi distopici per cui è celebre, come Il racconto dell’ancella (The Handmaid’s Tale, 1985). Sono anche (o sono da poco stati) gli anni di Sylvia Plath, di Anne Sexton, dei confessionals, a cui Atwood in molti stilemi tra cui un forte uso delle similitudini è accostabile, autori nei quali il conflitto, il dramma interiore, le difficoltà nei rapporti sono ben presenti. Gli esercizi (potremmo dire i giochi) di potere al centro di questa raccolta sono infatti quelli tra un uomo e una donna, le dinamiche che animano da sempre (v. “Prima mi avevano dato secoli” qui sotto) i rapporti tra i generi, non solo nella sfera sessuale ma in generale anche in quella sociale e politica. Si parla in effetti di una diseguaglianza di potere, non solo inteso come peso all’interno della società, ma anche come diverso peso dell’investimento affettivo nei rapporti tra un uomo e una donna, la diseguaglianza che c’è nell’attaccamento emozionale al rapporto. E tuttavia l’approccio di Atwood, la resa di questo tema in poesia, non è tanto “politico”, anzi è piuttosto personale, perfino intimo e venato in molti punti di una ironia che smussa i conflitti, li riveste appunto di una patina di superiore comprensione delle cose, ma anche della vena di cinismo di chi ha acquisito una certa esperienza, alla fine una specie di saggezza. E’ appunto personale perché Atwood parla delle sue esperienze, del suo avere a che fare, anche in maniera dolorosa, con gli uomini, o con un Uomo, visto di volta in volta come un mostro a tre teste, un Generale, un Imperialista, un amo infisso nell’occhio, ma anche uno capace di prodigare piacere, “gentle moments”, e insieme sessualità violenta, ma anche qualcuno che ti aggancia, che “fit into me”, mi aderisce, mi sta a pennello (Bre traduce giustamente “ti adatti dentro me”) sebbene lo faccia “like a hook into an eye”, appunto come un amo in un occhio, una visione che sta tra Bataille e Buñuel. Un lungo poema, quindi, di attrazione, dipendenza, attaccamento, dolore, fino al raggiungimento di uno stadio finale in cui il gioco non vale più,  non c’è niente di salvabile nel rapporto né esiste la possibilità di farlo, salvo la realizzazione di una diversa forza e consapevolezza di sé come donna. Atwood non solo incarna in poesia quello che appariva uno slogan talvolta superficiale, “il privato è politico”, ma afferma, qui e altrove da sempre, che il potere in effetti permea tutte le interazioni tra uomini, tra uomini e donne, tra gruppi sociali sia nelle grandi questioni che nelle azioni quotidiane, sebbene, come è stato notato, i personaggi femminili nelle opere di Atwood non siano mai vittime passive. Come afferma uno dei suoi critici, Sherrill Grace, docente alla British Columbia University, “attraverso queste poesie Atwood mostra come le lotte di potere colorino tutto ciò che facciamo, trasformando anche le nostre attività più sacre in manovre mortali che, alla fine, distruggono entrambe le parti”, identificando la tensione centrale in tutto il lavoro della scrittrice come “la spinta verso l’arte da una parte e verso la vita dall’altra”. Insieme al fatto che, aggiunge, Atwood “è costantemente consapevole degli opposti – sé / altro, soggetto / oggetto, maschio / femmina, natura / uomo – e della necessità di accettarli e lavorare al loro interno”. (g.c.) Continua a leggere