Salvador Dalì a Siena, nota di Elisa Castagnoli

“Salvador Dalì a Siena” ( al palazzo delle Papesse )

Oltre cento opere tra le più note dell’artista surrealista Salvador Dalì, perlopiù sculture ma anche arredi, scenografie e illustrazioni, sono esposte a Siena sullo sfondo dello storico Palazzo Piccolomini detto “delle Papesse” che indirettamente intreccia la propria storia alle opere del maestro catalano. L’astronomo Galileo, infatti, soggiornò in questa dimora ospite dell’arcivescovo Piccolomini dopo la condanna del Santo Uffizio a metà del 1600 e ancora le stanze risuonano dei suoi passi, delle sue osservazioni lunari e intuizioni sullo spazio e il tempo non-assoluti mentre in un continuum temporale quella stessa relatività teorizzata da Einstein all’inizio del ‘900 echeggia nelle opere di Dalì. Basti pensare ai suoi noti “orologi molli” che evocano la distorsione di una visione oggettiva e realista a favore di una del tutto soggettiva e simbolica .

Dalì è per eccellenza l’artista poliedrico e visionario che meglio incarna l’essenza del surrealismo; negli anni ’20 a Parigi frequenta artisti e intellettuali della cerchia tra cui Mirò, Magritte, Max Ernst e Paul Eluard, primo marito di Gala che poi divenne la sua musa ispiratrice, amante, dea nella figurazione e compagna di vita. Come nella poetica surrealista influenzata dalla psicoanalisi di Freud per Dalì l’arte è liberazione profonda dell’inconscio attraverso il simbolo, l’immaginazione e il sogno che dà adito all’opera pittorica o scultorea. E’ l’immergersi nei fantasmi della psiche ed esplorarne quel territorio conflittuale e oscuro dando forma alle larve dell’inconscio o ai suoi fantasmi arcaici là dove la creazione è emergenza vitale e liberatoria: necessità di mettere il visibile al servizio dell’invisibile. I suoi più noti paesaggi sulle tele infatti, ben lontano dalla pura astrazione, sono plasmati in un ultra-realismo di oggetti e forme concrete ma, anche, da simboli dell’inconscio e citazioni di un passato remoto, classico, frammiste a ectoplasmi molli o mostri preistorici. Le sue straordinarie visioni pittoriche ispirate ai paesaggi della Catalogna ma costantemente metamorfizzate in arte sono paesaggi concreti e insieme soggettivi che fanno da sfondo a sogni metafisici sovente costellati da simboli ricorrenti come gli orologi molli, le conchiglie, i solidi platonici o la quarta dimensione. Tali temi si ritrovano nelle sculture dell’ultimo periodo esposte a Siena; infine nella mostra è messo in luce un altro aspetto del lavoro daliniano: quanto la scienza moderna influenzi la sua produzione artistica, in particolare la relatività dello spazio e del tempo rispetto alla sua percezione della realtà.

“Danza del tempo I” (1979, scultura)

Gli ingranaggi rigidi tendono a liquefarsi nella scultura di Dalì; sulle tele, ugualmente, vi sono dilatazioni, incessanti dislocazioni di oggetti e di figure visti in prospettive luminescenti e misteriose oppure avvolti da aloni d’ombre. Qui è un orologio sul punto di sciogliersi insieme alla base dell’albero che lo sostiene per aprire a una “quarta dimensione”, atemporale, del tutto onirica e soggettiva che ingloba spazio e tempo in un continuum dilatato, espando o compresso dalla percezione interiore. Le teorie di Einstein e le nuove cognizioni scientifiche sulla fisica moderna sono alla base di queste esplorazioni dell’arte oltre i limiti delle nostre coordinate usuali di percezione. Le lancette girano al contrario, il quadrante dissolvendosi si allunga alludendo al profilo del suo viso. L’immagine evidente lascia il posto a quella latente, celata tra le linee. In quadri simili compaiono ambientazioni in un tempo sospeso, visioni metafisiche di una realtà “fuori dal tempo”, e questo ossessivo dileguare di orologi molli di fronte ai nostri occhi.                 In tali composizioni, è sovente il carattere alchemico che domina il paesaggio irradiato di luce, costellato di simboli tendenti a un aldilà metafisico che ritorna infine, sempre, come immersione nei labirinti insondabili dell’inconscio. Dalì allude qui, anche, a una dimensione altra che riguarda il mistero della vita – la sua immortalità tema che si riaffaccia percuotente negli ultimi anni del suo lavoro:“le forze e le leggi segrete delle cose”. Capirle per poterle dominare utilizzando quella sua capacità straordinaria di arrivare al nucleo della realtà: “ l’intuizione profonda di ciò che è la comunicazione diretta con il tutto”[1].

Venere Spaziale (1977, scultura)

Venere, dea della bellezza al centro delle sculture senesi, è certamente un omaggio al femminile, alla figurazione della donna in termini estetici e insieme alla bellezza divina, estasiante che la contraddistingue. Eppure, in questa versione, la clessidra del tempo figurata dall’orologio molle nell’atto di liquefarsi ritorna come un chiaro vincolo temporale posto sul collo della statua là dove dovrebbe trovarsi la sua testa, quasi a ricordarci il passaggio del tempo. Altro simbolo, le formiche dorate sul corpo come a figurare la mortalità dell’essere umano. La bellezza in quanto destinata a svanire nel passaggio dei giorni e delle ore si oppone, come da topos letterario, all’eternità senza tempo dell’arte, immortale e divina. Eppure, un uovo scintillante in oro in primo piano compare, altro motivo daliniano ricorrente, all’ altezza del bacino tagliato e ricomposto della statua quale innegabile simbolo di vita, di rinnovamento e continuità nella dualità costante degli opposti tra esterno duro e interno molle. Ancora, in queste molteplici versioni di statue classiche_ la Venere tagliata e riappropriata da Dalì_ compaiono sovente i cassetti che si aprono sul busto, sul torace o sui seni, o altrove busti scomposti, resi in sezioni drasticamente separate e poi riunite lasciando volutamente degli iati, dei vuoti che attraversano il corpo. Così, i cassetti si aprono sulle statue di queste dee rivelando i recessi interiori, i ricordi o le rappresentazioni inconsce di una sessualità repressa o celata dalla norma borghese. L’allusione è ancora una volta alla sfera dell’inconscio come a “quei cassetti segreti che solo la psicoanalisi è in grado di aprire”, ma, anche, alla frammentazione dell’unità della figura, dunque del soggetto moderno. A partire dalle avanguardie quasi che fosse scomposto, fatto a pezzi, frammentato avendo perduto quell’unità originaria a favore della scissione e perdita di sé dell’io moderno.

“Alice nel paese delle meraviglie” , (scultura, 1977)  e   “Paesaggio con fanciulla che salta la corda” (olio su tela, 1936)

Nel quadro ispirato alla figura della fanciulla che salta la corda, un’esile silhouette si muove in uno spazio immenso e desolato: una spiaggia ocra irradiata di luce solare sullo sfondo di rocce ancestrali e di un cielo costellato di immobili nuvole. E’ immagine simbolo dell’infanzia del pittore nell’alto Ampurdan a nord di Barcellona. Ai lati di quel paesaggio fantasmagorico si aggirano figure spettrali, forme molli dileguano ai limiti della spiaggia. Là, all’orizzonte la torre di Figueres si delinea come un’icona senza tempo. Su quegli scenari silenziosi di spaesamento e perdita dove le ombre si allungano insidiose sul vuoto un’unica silhouette femminile compare in una danza solitaria con l’invisibile. La stessa figura, la ritroviamo in una variazione scultorea nella mostra senese. Il suo profilo dorato è plasmato nella plasticità delle vesti, un cerchio d’oro sospeso sopra la sua testa. Rose spuntano tra i capelli, sulle sue mani; lei, simbolo di una bellezza femminile pura, dell’eterea giovinezza. Una stampella d’oro è posta a lato della scultura quale segno chiaro di un ancoraggio, di un supporto emotivo volutamente fissato lì accanto. E la danzatrice si rivela avvolta nella sua aurea di mistero, nell’attimo del salto della corda, del volo delle rose, nell’eternità di quell’istante a lei solo; nel passaggio forse tra il mondo manifesto e l’altro, l’invisibile a cui come Alice nella storia anche lei tende o allude.

“Lady Godiva con farfalle”(1976, scultura)

Scintillante e dorata dea, sensuale e luccicante amazzone in bronzo è ispirata alla compagna e musa Gala ma anche all’omonima nobildonna inglese che cavalcò nuda lungo le strade di Coventry per opporsi alle leggi fiscali del tempo. Le chiome ondeggianti lunghe e disciolte fanno da eco alla criniera folta e dorata del cavallo mentre l’aspetto levigato e luccicante del marmo esalta le forme, la sensualità della figura con evidente allusione alla seducente compagna. Quattro farfalle lì si posano simbolo di bellezza nelle forme naturali, di metamorfosi, e rinascita attraverso l’eternità dell’intuizione artistica.

Breve estratto video, “Dali Universe”

Quale arte se non il cinema e le sue immagini in movimento poteva dare miglior forma al sogno, alla visione ad occhi aperti, alla rappresentazione della memoria e dell’inconscio secondo un’ottica surrealista nel cinema, per esempio, di Luis Bunuel grande amico con cui Dalì collaborò in capolavori come “Un Chien andalu” e “L’age d’or”. Nel breve video presentato alla mostra senese un sogno ad occhi aperti scorre di fronte ai nostri occhi sullo sfondo di un’ambientazione luminescente e surreale: un uomo e un bambino, due sagome in lontananza appaiono come presenze irreali sullo sfondo di un ambiente sonoro ipnotico e ripetitivo. Il fondale nero luccicante corre verso un punto di fuga lontano da noi che si perde in un azzurro elettrico e surreale. L’orizzonte apre verso questa quarta dimensione di un continuum spazio-temporale di cui Dalì alludeva come: “il mistero della vita e la sua immortalità”. Ed è in tali immagini fuori dalla realtà e dal tempo che meglio si rende visibile, forse, l’aspirazione surrealista a dare forma all’invisibile come ai propri sogni o ai propri fantasmi annidati nell’inconscio. Oltre il reale sprofondare nelle pieghe della psiche, del desiderio e del sogno. (Elisa Castagnoli)

  1. Cfr Salvator Dalì, Il sogno si avvicina, Palazzo Reale, catalogo 2011, pag. 110

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