Archivi tag: giorgio luzzi

Giorgio Luzzi – Poesie

Giorgio Luzzi – Non tutto è dei corpiMarcos y Marcos, 2020

Giorgio Luzzi – Forme della notteCarabba, collana Diramazioni, 2022

.

Una poesia, quella di Giorgio Luzzi, che certo a una prima lettura può apparire di volta in volta sentenziosa, assertiva, aforistica, supponente. È la tonalità a dare questa impressione, una tonalità in modo maggiore, per dirla in termini musicali, che si impone con una sua forza, anche nel breve, e spesso con una sua allegria straussiana, vitalistica e ritmata che sembra non ammettere repliche, o lasciare spazi all’interpretazione di un lettore.

Per leggere i versi di Luzzi è subito necessario mettere da parte un po’ di cose, soprattutto se per decenni si è perseguita, seguendo qualche corrente, una specie di conventio ad excludendum della metrica, della rima, di una certa retorica (in senso linguistico) poetica, di un gusto per il ritmo cantante che a metrica e rima si accompagna, e così via. Richiamo alla tradizione? Sì e no. Perché la tradizione che qui fa capolino non è nemmeno novecentesca, semmai più ampia, e comunque è stata da Luzzi rimaneggiata e adattata al suo stile (o reinventata) e soprattutto al suo estro, certo letterario ma forse anche esistenziale. Infatti, delle cose che si è detto, Luzzi almeno nel primo dei due libri fa un suo tratto distintivo, che dopo due testi diventa inconfondibile. Alle quali cose si unisce a volte il lazzo che salta a pie’ pari a Palazzeschi, quindi in sostanza a qualcosa di quasi pre-novecento, a un gioco in cui il gioco linguistico non punta all’astrattezza del significante, anzi al contrario cerca di fare della parola un tratto caratteriale, di sé, un modo personalissimo (e mai tragico) di vedere le cose, anche e soprattutto quando la parola la inventa di sana pianta, spesso in maniera del tutto convincente. Ma soprattutto, in questa scrittura, c’è sempre qualcosa di “conscio”, di consapevole, scritto “ad occhi aperti”. E anche con una certa autoironia (leggasi Programmino ritrovato in una tasca).

Luzzi ha sempre l’aria di saperla lunga, e non solo per l’indubbia vasta cultura, esibita senza però darla troppo a vedere come si conviene a un well educated man, che aleggia nei suoi versi, con indizi, mai patenti, che vanno da Dante a Leopardi a Pascoli e oltre, non escluso un pizzico di Risi e Maraini, un certo sentore di linea lombarda, qualche autore citato ma aggirato come Zanzotto, e qualche escursione nella poesia internazionale (un nome? Auden); ma anche per una certa aria da flâneur che ha girato il mondo, ne ha visti di paesaggi e orizzonti e che sul mondo getta uno sguardo nel contempo ironico e dolente, svagato e smagato, mai troppo serioso anche quando, sempre a modo suo, denuncia qualcosa che non va, come ad esempio l’inquinamento da plastica o l’insipienza politica. Lo scenario che si srotola in questi versi, in conseguenza di questa dispositio, è vario e vasto, mai generico e corrisponde certo a ciò che nella minuteria critica si chiama il vissuto, ma anche a una ben definita testimonianza generazionale (l’autore è del 1940) che conta qualche successo e, mi sa, non poche disillusioni (“sale un’età di stasi un’ -anta d’ansie // che tanto in ciò che vedi è poco umano / ma in ciò che umano resta poco vedi”, e tuttavia, attenzione, “gli ideali in fumo non sono altro / che una logora glossa borghese”). E non è un caso, comunque, che l’io lirico di Luzzi, anche quando si manifesti con gli eteronimi del “tu” o del “noi”, tenga sempre ad accreditarsi come vox plurima, che appaia insomma come rappresentante di una realtà non solitaria, intento ad una specie di dissipazione epicurea del dolore per mezzo dei versi. Continua a leggere