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Diletta D’Angelo – Defrost, nota di Claudia Mirrione

Diletta D’Angelo - Defrost - Interno Poesia 2022Diletta D’Angelo – DefrostInterno Poesia 2022

Defrost è il libro d’esordio di Diletta D’Angelo – classe 1997, poeta abruzzese ma trapiantata a Bologna e membro fondatore del bel progetto Lo Spazio Letterario – e sin da subito si è imposto nella scena della poesia italiana contemporanea con buoni risultati di critica (rientra nella prima selezione del premio Fortini e del premio Paolo Prestigiacomo, risulta seconda al Premio Bologna in Lettere, vince la XXXV edizione del Premio Camaiore Proposta “Vittorio Grotti”).

La raccolta si apre con una poesia dedicata alla pazzesca vicenda dell’operaio americano Phineas Gage che il 13 settembre 1848, nella contea di Windsor, mentre faceva esplodere una roccia che bloccava il passaggio della linea ferroviaria, si è visto attraversare il cranio dal ferro di pigiatura. Sopravvisse al gravissimo incidente, anzi dopo poco era di nuovo cosciente, ma ciò che accadde comportò una trasformazione irreversibile della propria personalità: divenne intrattabile, umorale, incline alla blasfemia.

La storia di Phineas Gage viene riproposta altre tre volte all’interno delle sezioni della raccolta, Anamnesi, Auscultazioni, Incisioni e Anatomie (che, attraverso un lessico medico-scientifico, ci suggeriscono l’idea di una indagine progressiva, sempre più profonda, sempre più dolorosa ma, al tempo stesso, precisa e chirurgica): essa diventò un caso di studio per la neurologia del tempo e per Diletta D’Angelo si fa funzionale per riflettere sul tema del male: “La corteccia prefrontale regola le emozioni controlla / gli impulsi, il riflesso condizionato della paura // serve a sviluppare l’abilità di cambiare strategia di risposta, / per la compassione che proviamo per gli altri, la capacità / di prenderci cura di loro // Si parla di anatomia della violenza di radici biologiche del / male (…)”.

È evidente come sia proprio la dimensione proteiforme del male che D’Angelo vuole indagare, il fatto che esso sia connaturato ed inscindibile nelle creature viventi, una serrata catena deterministica: “Capita che piccole falene sboccino da buchi nelle porte, / che sopravvivano durante la fase larvale in strette gallerie / scavate con la bocca / che fatte a pezzi (una volta fuori dai foro di / sfarfallamento) / sfamino insetti più grandi”. Continua a leggere

Guido Gozzano – I colloqui e altre poesie, nota di Claudia Mirrione

Guido Gozzano - I colloqui e altre poesie - A cura di Alessandro Fo, Interno Poesia 2020Guido Gozzano – I colloqui e altre poesieA cura di Alessandro Fo, Interno Poesia 2020

Recensione di Claudia Mirrione

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Alle soglie

[…]

III

Mio cuore, monello giocondo che ride pur anco nel pianto,

mio cuore, bambino che è tanto felice d’esistere al mondo,

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mio cuore dubito forte – ma per te solo m’accora –

che venga quella Signora dall’uomo detta la Morte.

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(Dall’uomo: ché l’acqua la pietra l’erba l’insetto l’aedo

le danno un nome, che, credo, esprima un cosa non tetra)

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È una Signora vestita di nulla e che non ha forma.

Protende su tutto le dita, e tutto che tocca trasforma.

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Tu senti un benessere come un incubo senza dolori;

ti svegli mutato di fuori, nel volto nel pelo nel nome.

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Ti svegli dagl’incubi innocui, diverso ti senti, lontano;

né più ti ricordi i colloqui tenuti con guidogozzano.

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Or taci nel petto corroso, mio cuore! Io resto al supplizio,

sereno come uno sposo e placido come un novizio.

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Un’apostrofe al cuore famosa, quella di Gozzano, tanto quanto il suo classico – odissiaco – paradeigma. Nel corso della sua vita di poeta, il nostro ‘guidogozzano‘ mantenne, nonostante ancor giovane si fosse ammalato di tubercolosi polmonare, un cuore «monello giocondo che ride pur anco nel pianto». È questa, forse, la sintesi più estrema della poesia di Gozzano, perché in essa si mischiano una certa carica ironica e insieme i carezzamenti degli atri umori della malinconia (ecco il suo cuore che deride i dottori mentre gli auscultano il petto: «pur chiuso nella tua nicchia, ti pare sentire di fuori / sovente qualcuno che picchia, che picchia… Sono i dottori. // Mi picchiano in vario lor metro spiando non so quali segni, / m’auscultano con li ordegni il petto davanti e di dietro. // E senton chi sa quali tarli i vecchi saputi… A che scopo? / Sorriderei quasi, se dopo non bisognasse pagarli…»). Quella di Gozzano è, infatti, una dolceridente malinconia che porta con sé l’arte del novellare in versi e che, oscillando lievemente tra l’amore che non giunge mai e la morte che tutto e tutti eguaglia (l’Eguagliatrice, questo il suo appellativo ne La signorina Felicita), prende le forme di una sonorità giocosa, sa fondere aulico e prosaico, sa far uso di una metrica classica e talvolta chiusa, coniugandola a notissime rime eccentriche e a una sintassi spezzata e spesso sospensiva. Continua a leggere