Rilke e la ricerca introspettiva dell’io: tra religione e scienza (nota di Riccardo Renzi)
A mio avviso René Karl Wilhelm Johann Josef Maria Rilke, questo il suo nome completo, fu uno dei più grandi poeti ed intellettuali di tutto il Novecento, anche se spesso venne criticato e bistrattato, sempre costretto all’angolo nello stanzone dei grandi del suo secolo.
Rilke nacque a Praga, secondogenito di Josef Rilke e Sophia (Phia) Entz, nella casa di Heinrichgasse 19. Il padre era un amministratore che lavorava per i conti di Hartig, ex militare che però non aveva mai raggiunto il ruolo di ufficiale. La madre, invece, era figlia di Karl Entz, industriale e consigliere imperiale. Nel 1882 Rilke entrò nella scuola elementare tedesca a Praga, e la frequentò fino al 1886: durante quegli anni ottiene buoni voti. Nel 1884 i genitori si separarono, e Rilke fu affidato alla madre, che nel 1886 lo fece entrare nella scuola militare di Sankt Pölten: questo periodo fu per Rilke uno dei più bui e difficili della sua vita[1]. Già nel 1884 aveva iniziato a scrivere brevi poesie: a esse si aggiunsero, nel periodo alla scuola militare, anche un diario e un libro storico, intitolato Storia della Guerra dei Trent’anni. Fin dalla tenera età amò profondamente la storia e la poesia. Il 1º settembre 1890 venne ammesso alla scuola militare superiore di Mährisch-Weisskirchen, avendo superato l’esame iniziale, però già l’anno seguente chiese al padre di lasciare l’istituto prima d’aver conseguito il diploma, la ferrea disciplina militare era per il suo animo insostenibile. Il 10 settembre sulla rivista di Vienna Das interessante Blatt comparve una sua poesia, intitolata Die Schleppe ist nun Mode. Questa poesia costituì il suo esordio ufficiale. Continuò a studiare e si iscrisse a Giurisprudenza. In quel periodo conobbe Valerie von David-Rhonfeld, con cui intrattenne per due anni un intenso legame epistolare; le scrisse inoltre alcune poesie, per un totale di 130 scritti, tutti andati perduti. Il 29 aprile di quello stesso anno fu pubblicata la sua prima opera in prosa, intitolata Feder und Schwert. Ein Dialog, che apparve sul Deutsches Abendblatt di Praga[2].
Nel 1914 iniziò il periodo del vagabondaggio europeo di Rilke, segno distintivo di tutti i grandi poeti, si pensi a Baudelaire, Rimbaud e Campana. Il 4 maggio 1914 lasciò definitivamente Duino, e si trasferì dapprima a Venezia, poi ad Assisi, e infine tornò a Parigi il 26 maggio; a giugno ha uno scambio di lettere con Lou Salomé.Tra il 19 e il 20 giugno scrisse Wendung, che poi inviò a Salomé. Il 19 luglio lasciò Parigi, facendo ritorno in Germania: dopo essere stato a Gottinga e a Lipsia, giunge a Monaco di Baviera; la pittrice Lou Albert-Lasard, conosciuta il 17 settembre, fu la sua compagna negli anni trascorsi nella città bavarese. La sua insofferenza nel restare troppo tempo nel medesimo luogo si fece sempre più forte, così da Parigi passo a Vienna e poi a Monaco. Il 12 giugno del 1918 egli giunse a Zurigo, ove rimase fino al 15 giugno, dimorando all’Hôtel Eden au Lac; fu poi ospite di Mary Dobrzensky a Nyon, ottenuta la proroga del permesso di soggiorno, si trasferì a Berna.
A partire da quarant’anni Rilke iniziò ad avere disturbi ossessivi compulsivi, che sfociarono con continue allucinazioni notturne. Iniziò a deperire anche fisicamente e dal 1923 iniziò a manifestare forti dolori all’intestino e alla testa. Il 22 agosto dello stesso anno fu ricoverato nel sanatorio di Schöneck presso Emmetten, in stato di deperimento: pesava solo 49 chili e presentava alcuni rigonfiamenti nel tessuto intestinale. In questo periodo anche la sua poesia venne pesantemente permeata dal suo malessere fisico. Continuò ad essere ricoverato, ma i medici non riscontravano nulla di anomalo. Rilke però sapeva di essere gravemente malato ormai da anni. Dal 16 al 30 settembre fu a Bad Ragaz per alcune cure: alla fine del mese si rivelarono evidenti nuovi sintomi del suo male, dei noduli all’interno delle labbra che gli rendono difficoltoso il parlare. Il male fisico ora si era manifestato. Ormai era certo che la morte si stesse avvicinando a passo svelto. I medici di Zurigo, però, esclusero che si trattasse di cancro, come invece temuto da Rilke, basandosi su sintomi avuti dalla figlia di un’amica morta di leucemia. Il 27 ottobre il poeta scrisse il suo testamento in cui indicò, peraltro, anche il suo epitaffio: “Rosa, oh pura contraddizione / voglia / di essere il sonno di nessuno / sotto così tante / palpebre”. Il 4 dicembre trascorse a Muzot, malato e solo, il suo 50º compleanno. Il 27 novembre del 1926, con il dolore divenuto insopportabile, il Poeta fece chiamare un medico, che gli ordinò alcune analisi del sangue: il risultato rivelò che lo scrittore era affetto da leucemia acuta, probabilmente la fase terminale inguaribile, morì il 29 dicembre 1926.
In Rilke molto risuonano la poesia di Novalis e le concezioni filosofiche di Ficthe, Schopenhauer e soprattutto Nietzsche, ma queste sono completamente svuotate del cristianesimo occidentale, sostituito dalla ricerca scientifica nella spiegazione dell’altro. L’influenza che Nietzsche ebbe su Rilke fu enorme e questa lo portò a scontrarsi con il classicismo. La poesia di Rilke è una continua ricerca dell’io, spesso riscontrata proprio nelle esperienze umane. In Rilke la religiosità è sempre presente, ma si modifica nel corso del tempo. All’esperienza umana è ispirata la poesia Il celibe:
Il celibe
Lampada sulle carte abbandonate,
e intorno notte fin addentro al legno
degli armadi. Egli poteva perdersi
nella sua stirpe che ora si estingueva con lui;
e, quanto più leggeva, più pensava avere in sé
il loro orgoglio ed essi tutti il suo.
Stavano alle pareti altere, rigide,
le sedie vuote e nient’altro ostentavano
che la propria grandezza gli arredi sonnolenti.
Discendeva sui pendoli la notte
e tremante dal suo aureo mulino
scorreva, macinato in fine polvere, il suo tempo.
Ma lui non lo prendeva. Strappava febbrilmente
altri tempi ai suoi avi come se
dai loro corpi levasse il sudario.
Poi cominciò a parlare sottovoce (nulla gli era
lontano). E lodava l’autore di una lettera
quasi a lui fosse scritta: Ma come mi conosci!
E batteva la mano, al suo interno illimitato,
schiudeva una cortina, una finestra, tacito –
perché, quasi compiuto, là s’ergeva il fantasma[3].
Spesso però il Poeta riflette anche sul proprio io, prescindendo dalle esperienze degli altri, questo è un viaggio introspettivo, che spesso origina dall’infanzia, tempo felice a cui non è possibile far ritorno:
Infanzia
Si dovrebbe riflettere a lungo per parlare
di certe cose che così si persero,
quei lunghi pomeriggi dell’infanzia
che mai tornarono uguali – e perché?
Dura il ricordo -: forse una pioggia,
ma non sappiamo ritrovarne il senso;
mai fu la nostra vita così piena
di incontri, di arrivederci, di transiti
come quando ci accadeva soltanto
ciò che accade a una cosa o a un animale:
vivevamo la loro come una sorte umana
ed eravamo fino all’orlo colmi di figure.
Eravamo come pastori immersi
in tanta solitudine e immense distanze,
e da lontano ci chiamavano e sfiorivano,
e lentamente fummo – un lungo, nuovo filo –
immessi in quella catena di immagini
in cui duriamo e ora durare ci confonde[4].
-
Per la biografia di Rilke si veda: A. Destro, “Invito alla lettura di Rainer Maria Rilke“, Mursia, 1979. ↑
-
V. Mathieu, “Dio nel Libro d’ore di Rainer Maria Rilke”, L. S. Olschki, 1968, pp. 22-23. ↑
-
R. M. Rilke, Poesie 1907-1926, traduzione a cura di G. Cacciapaglia, Torino, Einaudi, 2014. ↑
-
R. M. Rilke, Poesie, cit., p. 29. ↑
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