Stella N’Djoku – Il tempo di una cometa – Edizioni Enseble, 2018 (nota di Fabio Prestifilippo)
Stella N’Djoku nasce il 27 giugno 1993 a Locarno, da madre svizzera di origini italiane e padre svizzero-congolese ed è laureata in Filosofia, e Il tempo di una cometa è il suo esordio letterario. L’esergo di Rilke ci aiuta a decifrare una tratto fondamentale del libro: “Eppure la parola, quando fu detta, parve al di là di ogni sapere: incomprensibile.” Nella silloge la lacerazione tra scrittura e comunicabilità, di cui Rilke traccia un segno definitivo, si divarica al fine di comprendere il corpo come attore imprescindibile del linguaggio e quindi della vita stessa. Anche la poesia, la sua struttura, il fatto che sia un nero su bianco e si configuri come forma, se ci limitassimo all’essere che si palesa sul foglio, apparirebbe come un corpo colto di profilo, costituito dalle parole di un linguaggio che ha perso la sua durezza e come tale appare con appendici raramente antropomorfe. Mi permetto questo paragone azzardato perché nelle poesie di Stella N’Djoku il corpo è un fenomeno che non si può ignorare: “Non avessi avuto gli occhi\e queste orecchie\e ciò che mi rende pari a questa terra\sarei rimasto intrappolato in questo corpo”; “Oggi rimetto tutto alle radici\torno corpo\tra i corpi che non sono”; “qualcosa rimane del nostro essere\carne e muscoli in trecce\o siamo freddi sacchetti per ossa”. Il corpo è un apriori della parola, il fatto che sia l’ente ad abitare noi è l’unico varco nel reale che ci è concesso: “Non posso contenere/ciò che mi contiene.” Unicamente l’onirico permette al linguaggio un accesso all’inconscio senza l’ausilio del corpo e qui finalmente la parola può incidere la fine della frase del soggetto: “scoprire il valore\ del sonno, incidere la fine\ della frase”.
La seconda sezione del libro si intitola: “Congiunzioni”. Il termine rimanda insieme all’unione perentoria delle parti, e, se considerato il transitivo pronominale del verbo congiungere, a un avvicinamento in divenire. Su tale fluttuazione significante si configura la definizione d’amore: la congiunzione tra la parola che manca al suo scopo (comunicare) e il corpo come luogo prima del linguaggio. Anche in questo caso l’esergo alla seconda parte ci viene in aiuto; i versi sono di Mariangela Gualtieri: “L’amore è il tuo destino.\Sempre. Nient’altro.\Nient’altro. Nient’altro.”. Consapevoli di questo in che modo assegniamo alle cose il valore di “importanza”, se l’amore è il tuo destino? Se il corpo è vincolante e la parola è l’esperienza del non poter dire o scrivere allora solo attraverso l’amore/desiderio si avvera un effettivo avvicinamento. L’amore si gioca in vita ed è la possibilità di congiunzione tra corpo e parola: “Solo amare è per sempre\come il sangue\ che unisce.”.
In questa direzione i versi di Aprile-amore di Mario Luzi sembrano emblematici: “E’ incredibile ch’io ti cerchi in questo\o in altro luogo della terra dove\è molto se possiamo riconoscerci.\Ma è ancora un’età, la mia\che s’aspetta dagli altri\quello che è in noi oppure non esiste.”. La congiunzione è in prima istanza il desiderio di un incontro.
Abbiamo considerato la scrittura come l’esperienza finale di ciò che non si può scrivere, il corpo come l’ente prioritario e il desiderio come la possibilità di congiunzione tra corpo e parola e quindi l’accesso al luogo dove si può finalmente dire. Sebbene l’unione delle due sezioni potrebbe significare quanto detto, quindi una trama simbolica complessa che procede per indizi sparsi, la cifra stilistica rimane sul lato chiaro delle cose (per citare l’eccellente prefazione di Valerio Grutt). La scrittura di Stella tende all’immediatezza e, attraverso una certa perseveranza lessicale, ci restituisce una rappresentazione del mondo dove la possibilità di un incontro, sia esso l’incontro con l’altro da sé o con il ricordo, è la vera sostanza dell’esistenza. Sempre dalla prefazione: “Le poesie di Stella sono incisioni su un muro di nebbia sottile, versi che si dispongono delicatamente per avere il giusto peso, una misura che sia “pari a questa terra”. Sembrano voler trovare il proprio posto nella natura, come fiori disposti in un campo, polvere nel vento, conchiglie rotolate a riva nel movimento di sostanze e apparenze, e arrivare a noi così come arriva tutto, come passano i giorni”. (Fabio Prestifilippo)
A metà
tra mare deserto e più su
montagne e foreste
Senza radici
spalle atlantiche
per sopportarne il peso
Non posso contenere
ciò che mi contiene.
***
Non avessi avuto gli occhi
e queste orecchie
e ciò che mi rende pari a questa terra
sarei rimasto intrappolato in questo corpo
solo
con me stesso
senza dolore a questo mondo
nessuno a piangermi.
Oggi rimetto tutto alle radici
torno corpo
tra i corpi che non sono.
***
Non piangerò
per qualcuno che non sia
morto.
Ci ho pensato anch’io, sparire
non essere più, a quell’ops, sembrava
felice. L’ho fatto
credendo nel sollievo della fine
scoprire il valore
del sonno, incidere la fine
della frase.
***
Non ti hanno visto
che nelle foto a colori
nelle storie
che racconti modificate di volta in volta
per non dimenticare.
Ma avremmo detto tutto di te
le stesse linee degli occhi
la certezza di esistere.
***
Questa è l’età che non esiste
l’interminabile calcolo
quando a raccontare ai bimbi
saranno le ginocchia. E nel silenzio
sarà l’ora che ci è data e il risalire
questa stessa strada.
***
Cosa dicono le vene
fatte ad albero sui polsi e il pulsare
che ferma il respiro?
L’eternità è il nostro nominarsi
nei secoli
come una carezza
una promessa.
Stella N’Djoku, nata a Locarno nel 1993, è laureata in Filosofia. Nel 2015 e nel 2016 vince il Premio Speciale del Credit Suisse for Excellent Writing. Dal 2016 cura la direzione artistica di alcuni eventi culturali nella sua città. Alcune sue poesie sono pubblicate sulle riviste letterarie «Graphie» e «Atelier – Gli artigiani della parola». Lavora per la Radiotelevisione svizzera di lingua italiana (dal sito dell’editore).
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