Pasolini e la neolingua friulana, nota di R. Renzi

Pasolini e la neolingua friulanaPier Paolo Pasolini (fonte Wikipedia)

.

Il rapporto tra la poesia e Pier Paolo Pasolini si caratterizza per la sua assoluta inscindibilità. Negli anni Quaranta del Novecento, il giovane Pasolini più volte tornò con saggi critici sulla tradizione della poesia dialettale friulana. Nei suoi scritti rivendica a sé stesso e ai suoi adepti dell’Academiuta il ruolo di iniziatori di una poesia in una lingua non ancora scritta, il friulano[1] di Casarsa[2]. In tal modo il giovane poeta si va immediatamente a contrapporre alla tradizione vernacolare di Pietro Zorutti[3]. Fin dalla giovinezza egli prese a modello il Sommo Poeta[4], questo lo si evince anche da fatto che egli abbia voluto rivendicare l’utilizzo poetico di una lingua non ancora scritta, proprio come aveva fatta Dante sei secoli prima[5]. Uno dei suoi primi scritti su tale tema comparve nel 1944 sul periodico Stroligut di cà da l’Aga. Il brano recava titolo: Dialet, lenga e stil[6]. Lui stesso ribadisce con forza nello scritto vernacolare che il processo di formazione dialettale friulano è paragonabile solo a quello compiuto dai poeti stilnovisti. Pasolini afferma che al friulano sono mancate quelle figure eccelse che hanno reso, ad esempio, il fiorentino lingua nazionale.

Per due anni il tema non venne più toccato, sino all’autunno del 1946 e poi nel 1949, quando Pasolini affermò a più riprese la necessità di fondare una poesia dialettale friulana[7].

Le prime sperimentazioni poetiche in dialetto friulano risalgono agli inizi degli anni Quaranta, di seguito alcune delle più celebri redatte tra il 1941 e il 43:

.

IL NINI MUÀRT

.

Sera imbarlumida, tal fossàl
a cres l’aga, na fèmina plena
a ciamina pal ciamp.

Jo ti recuardi, Narcìs, ti vèvis il colòur
da la sera, quand li ciampanis
a sùnin di muàrt[8].

.

La poesia è ispirata all’uccisione di un giovane nei pressi della località Casarsa a causa dei bombardamenti durante la seconda guerra mondiale.

.

CIANT DA LI CIAMPANIS

.

Co la sera a si pièrt ta li fontanis
il me paìs al è colòur smarìt.

Jo i soj lontàn, recuardi li so ranis,
la luna, il trist tintinulà dai gris.

A bat Rosari, pai pras al si scunìs:
io i soj muàrt al ciant da li ciampanis.

Forèst, al me dols svualà par il plan,
no ciapà pòura: io i soj un spirt di amòur

che al so paìs al torna di lontàn[9].

.

La poesia pasoliniana di questo primo periodo è una poesia attaccata alla sua terra sia verbalmente che tematicamente, in alcuni tratti ricorda quella leopardiana de Il Sabato del villaggio. Nei suoi versi risuona, in tutti i sensi, quella tradizione contadina ancora viva in quegli anni, che invece qualche anno più tardi dovrà andare a ricercare nei sobborghi proletari della periferia urbana come in La Divina Mimesis.

.

A NA FRUTA

.

Lontàn, cu la to pièl
sblanciada da li rosis,
i ti sos una rosa
ch’a vif e a no fevela.

Ma quant che drenti al sen
ti nassarà na vòus,
ti puartaràs sidina
encia tu la me cròus.

Sidina tal sulisu
dal solàr, ta li s-cialis,
ta la ciera dal ort,
tal pulvìn da li stalis…

Sidina ta la ciasa
cu li peràulis strentis
tal còur romai pierdùt
par un troi de silensi[10].

.

Questo è un poetare semplice che si rifà alle piccole cose, gioie, del povero mondo contadino, è una poesia ancora libera del conformismo capitalista.

.

DANSA DI NARCÌS (II)

Jo i soj na viola e un aunàr,
il scur e il pàlit ta la ciar.

I olmi cu’l me vuli legri
l’aunàr dal me stomi amàr
e dai me ris ch’a lusin pegris
in tal soreli dal seàl.

Jo i soj na viola e un aunàr,
il neri e il rosa ta la ciar.

E i vuardi la viola ch’a lus
greva e dolisiosa tal clar
da la me siera di vilùt
sot da l’ombrena di un moràr.

Jo i soj na viola e un aunàr,
il sec e il mòrbit ta la ciar.

La viola a intorgolèa il so lun
tìnar tai flancs durs da l’aunàr
e a si spièglin ta l’azùr fun
da l’aga dal me còur avàr.

Jo i soj na viola e un aunàr,
il frèit e il clìpit ta la ciar[11].

Questo primo periodo poetico pasoliniano si caratterizza per la sua semplicità e per l’attaccamento alla natura e a un mondo quasi bucolico che ormai stava scomparendo, un modo pre-industriale e privo di capitalismo. È questo il mondo dei contadini friulani e delle piccole realtà rurali, che poi, con l’avvento del capitalismo, si dovrà andare a ricercare nel sottoproletariato urbano.  (riccardo renzi)

  1. https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_friulana

  2. Importante figura culturale della cittadina è stato indiscutibilmente il poeta Pier Paolo Pasolini, che visse a Casarsa, paese d’origine della madre, dal 1942 al gennaio 1950. Pasolini è sepolto nel cimitero comunale, in una tomba adiacente a quella della madre. A poca distanza riposano le spoglie del padre e dell’unico fratello.

  3. Si veda A. Gentile, Pietro Zorutti e Trieste, in Archeografo triestino, vol. 14-15 della 4 serie, Trieste, Arti grafiche L. Smolars & nipote, 1948, pp. 122-128.

  4. Riferimento a Dante Alighieri.

  5. L’ossessione per Dante si farà sempre più viva nella stesura della Divina Mimesis.

  6. P. P. Pasolini, Dialet, lenga e stil, in Stroligut di cà da l’Aga, aprile 1944.

  7. P. P. Pasolini, Academiuta di lenga furlana, in Stroligut di cà da l’Aga,, agosto 1946.

  8. P. P. Pasolini, Tutte le poesie, I,  Milano, Mondadori, 2003. Precedentemente era stata pubblicata in La meglio gioventù (1954), facente parte della raccolta Poesie a Casarsa (1941-1943). Traduzione: «Il fanciullo morto. Sera luminosa, nel fosso cresce l’acqua, una donna incinta cammina per il campo. Io ti ricordo, Narciso, avevi il colore della sera, quando le campane suonano a morto».

  9. P. P. Pasolini, Tutte le poesie, I,  Milano, Mondadori, 2003. Precedentemente era stata pubblicata in La meglio gioventù (1954), facente parte della raccolta Poesie a Casarsa (1941-1943). Traduzione: «Canto delle campane, Quando la sera si perde nelle fontane, il mio paese è di colore smarrito.

    Io sono lontano, ricordo le sue rane, la luna, il triste tremolare dei grilli.

    Suona Rosario, e si sfiata per i prati: io sono morto al canto delle campane.

    Straniero, al mio dolce volo per il piano, non aver paura: io sono uno spirito d’amore,

    che al suo paese torna di lontano».

  10. P. P. Pasolini, Tutte le poesie, I,  Milano, Mondadori, 2003. Precedentemente era stata pubblicata in La meglio gioventù (1954), facente parte della raccolta Poesie a Casarsa (1941-1943). Traduzione: «Una bambina. Lontana, con la tua pelle sbiancata dalle rose, tu sei una rosa che vive e non parla.

    Ma quando nel petto ti nascerà una voce, porterai muta anche tu la mia croce.

    Muta sul pavimento del solaio, sulle scale, sulla terra dell’orto, nella polvere delle stalle.

    Muta nella casa, con le parole strette nel cuore, ormai perduto per un sentiero di silenzio».

  11. P. P. Pasolini, Tutte le poesie, I,  Milano, Mondadori, 2003. Precedentemente era stata pubblicata in La meglio gioventù (1954), facente parte della raccolta Poesie a Casarsa (1941-1943). Traduzione: «Danza Narciso. Io sono una viola e un ontano, lo scuro e il pallido nella carne.

    Spio col mio occhio allegro l’ontano del mio petto amaro e dei miei ricci che splendono pigri nel sole della riva.

    Io sono una viola e un ontano, il nero e il rosa nella carne.

    E guardo la viola che splende greve e tenera nel chiaro della mia cera di velluto sotto l’ombra di un gelso.

    Io sono una viola e un ontano, il secco e il morbido nella carne.

    La viola contorce il suo lume sui fianchi duri dell’ontano, e si specchiano nell’azzurro fumo dell’acqua del mio cuore avaro.

    Io sono una viola e un ontano, il freddo e il tiepido nella carne».

Similar Posts:

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.