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Daniel Skatar – Collezione di dischi volanti

Daniel Skatar – Collezione di dischi volanti -RPLibri 2019Daniel Skatar - Collezione di dischi volanti

 

La scarna terza di copertina ci dice che Daniel Skatar, “nato nell’ex Jugoslavia, rientra nella Generazione X”, e che vive a Bratislava. Sappiamo anche, dalla altrettanto scarna introduzione di Antonio Bux, curatore di collana, che Skatar “preferisce da sempre usare il nostro idioma per esprimere la sua poesia”. D’accordo. Si potrebbe supporre quindi, tanto per cominciare, che si tratti di qualcuno nato tra i ’60 e gli ’80, che abbia cioè vissuto – forse, in qualche modo e tra le altre cose – diciamo la caduta del Muro e il collasso del blocco socialista dell’Est, che insomma porti con sé, magari nella sua poesia, un alone del disfacimento della Storia, usando inoltre un altro idioma come simbolo dell’attraversamento di un confine. Questa ipotesi (ammesso che qualcuno sappia davvero cos’è la X generation), insieme all’adozione di lingua e – si suppone – di cultura, promette di essere un mix interessante. Ma non tutte le aspettative (editoriali) sono destinate ad essere soddisfatte, né forse è giusto che lo siano. Perché nel leggere i versi di Skatar l’impressione che se ne trae può essere addirittura di trovarsi di fronte ad un eteronimo, ad una personalità celata (per quanto certamente colta, anzi plurilinguista, dice ancora Bux), di fronte insomma ad una assimilazione più che di una cultura di una modalità che imperversa nella poesia nostrana, fin nella versificazione, e che suona familiare. Giacchè, a me pare, è una poesia per così dire “universale” e questo non è detto che sia una buona cosa. Una poesia che va bene qui e va bene lì: come esistono i non luoghi da un certo punto di vista esiste una non poesia (sia detto come azzardata categoria socioletteraria, sine iniuria), semplicemente perché non ha una connotazione identitaria netta (il che non significa necessariamente che non sia “buona”, anche da un punto di vista estetico, semplicemente si trova a proprio agio – e nell’agio dei lettori suppongo – sul tipo di vago sfondo che ha scelto). In questo caso non ha nessuna rilevanza che Skatar sia nato qui o lì, che viva qui o a Bratislava, il suo mondo è ancora una volta quello in qualche modo simbolista, post ermetico e vagamente decadentista nell’orizzonte di ciò che ho sempre chiamato un universo ristretto. Insomma Skatar in parole povere è un autore italiano: lo è a buon diritto come e più di altri, o almeno come alcuni (ma siamo lontani, ad esempio, da quei Claudia Ruggeri e Simone Cattaneo, a cui Skatar dedica una poesia). In effetti, di che parla la poesia di Skatar? Intendiamoci, Skatar scrive bene, ha una padronanza invidiabile della lingua, una buona capacità a tratti sorprendente di trarre immagini dall’indistinto e un senso musicale del verso accattivante, anche se tende talvolta all’aforisma assertivo, alla sentenza (“siamo tutti figli di uno stesso principio / perché la stupidità in fondo è solo / una questione di parole, / oltre che di fatti” ; “peggio di uno che ti odia c’è soltanto / uno che non ami che ti ama alla follia”; “l’equilibrio della vita / è il rischiararsi / nel gradevole / odore dei / libri”) con uno spostamento o mascheramento dell’io per mezzo di un pensiero apparentemente impersonale. Ma quella di Skatar (e in questo assomiglia straordinariamente a molta poesia italiana attuale giovane e meno giovane) è davvero “l’azione di dire, tramite la poesia, la superficie delle cose”, come scrive nell’intro Antonio Bux, “per scandagliare la realtà con apparente freddezza”. Si tratta di vedere quale realtà, e quanto davvero “cala” questo scandaglio. A me pare in definitiva che l’autore si associ a quella corrente che vede la realtà come una miriade di frammenti, di specchi del sé, di occasioni del momento, di rapsodie di un presente liquido che certo può dare adito a qualche riflessione, anche acuta, sul senso generale della vita, aprire qualche interessante squarcio in quel presente (v. ad es. parlarci quando è buio, o evolvere nel proprio tempo, nonché i versi messi spesso in esergo alle poesie, in genere migliori del testo sottostante). E’ una scelta del tutto rispettabile, di temi e di posizionamento in un ambito tutt’altro che antilirico, anzi con qualche tratto elegiaco, nel solco di una tradizione che perdura senza troppe scosse. Del resto l’autore dichiara la sua poetica chiaramente: “il rimbalzello è / il futuro nel passato, / un sasso sull’acqua, prima di affondare”. Poi, se sia dolce naufragar rimane incerto. (g.cerrai) Continua a leggere