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VIVIAN MAIER, “ANTHOLOGY”, mostra a Bologna, nota di E. Castagnoli

VIVIAN MAIER, “ANTHOLOGY”, a Palazzo Pallavicini a BolognaVivian Maier - Autoritratto, s.d..

Il teatro “straordinario” del quotidiano in quanto svelato, semplicemente da una macchina fotografica nel suo versante ora poetico ora ironico, sempre e comunque spontaneo, tale appare la fotografia di Vivian Maier in una “anthology” di più di cento immagini in bianco e nero e un piccolo numero di foto a colori accompagnate da un inedito Super8 mm attualmente presentate a Palazzo Pallavicini a Bologna fino al prossimo 28 gennaio. Se il gesto del fotografare come quello scatto casuale e istantaneo, quella ricerca del dettaglio che rivela o modifica la visione abituale ha accompagnato simile a una necessità o un’ossessione tutta la sua vita, il lavoro della Maier è rimasto nell’ombra fino al 2007 quando centinaia dei suoi negativi e rullini sono stati portati alla luce e divulgati da un collezionista americano per una contingenza di eventi, infine apprezzati a livello mondiale. La notorietà arriverà solo dopo la sua morte nel 2009 quando le sue fotografie saranno divulgate e esposte in una serie di retrospettive in tutto il mondo. Oggi più che mai il lavoro della fotografa americana spaziando dagli anni ’50 fino alla fine del XX secolo esplora il nostro rapporto complesso e continuo con il mondo di immagini di cui siamo circondati e sopraffatti nell’era digitale; allo stesso modo nella sua costante produzione fotografica, estemporanea e casuale, si rispecchia il quasi parossistico uso del visivo sul web e i social media attuali.

Tuttavia per la Maier, non dobbiamo dimenticarlo, la fotografia porta in sé sempre e comunque, un riflesso della propria interna visione, quindi in definitiva un modo per cercare sé stessa in quel costante rispecchiarsi o apparire come ombra, riflesso o silhouette tra le cose del mondo, in un mondo dove non trova pubblico ruolo o riconoscimento come artista. Di qui la peculiare serie di ritratti e auto-ritratti visibili nella mostra bolognese, rielaborati e ripetuti nel corso di una vita dove i tratti personali si sovrappongono costantemente a quelli dei soggetti fotografati. Continua a leggere

De Chirico e l’oltre, una mostra a Bologna – nota di Elisa Castagnoli

G. De Chirico, Autoritratto, 1935 (part.)DE CHIRICO E L’OLTRE: dalla stagione barocca alla neo-metafisica, (mostra a Palazzo Pallavicini, Bologna)

E’ un De Chirico inusuale, certamente meno noto e acclamato ma altrettanto ricco di suggestioni e rimandi in controluce alla prima pittura metafisica quello che appare nella mostra di Palazzo Pallavicini, “De Chirico e l’oltre” visitabile fino al 12 marzo a Bologna. La prima parte delle opere esposte infatti appartiene al periodo della cosi detta produzione “barocca” ove l’artista lasciata Parigi per ristabilirsi definitivamente in Italia, (da Milano a Firenze approdando infine a Roma) trae ispirazione dai grandi maestri del passato quali Rubens, Tintoretto, Delacroix o Renoir. Opere barocche che superando l’apparente naturalismo nella citazione quasi “post-moderna” dei grandi maestri della tradizione pittorica occidentale si pongono definitivamente in un ottica dell’oltre, vale a dire ancora una volta nel superamento della natura verso la creazione di una visione onirica e irreale: “una finzione più vera del vero”. Nella seconda parte del percorso espositivo ricompaiono opere della stagione neo-metafisica appartenenti all’ultima parte della produzione artistica dechirichiana ( 1968-78) tra cui le suggestive ambientazioni delle Piazze d’Italia, le enigmatiche composizioni di oggetti e gli emblematici manichini rivisitati però con ironia, qui in forme più serene e giocose. Il percorso espositivo ci immerge in questa esplorazione di opere meno usuali e poco conosciute del grande maestro della metafisica che tuttavia riconducono in qualche misura, seppur in maniera differente dal periodo dell’avanguardia, a un superamento della realtà oggettiva, certamente dello sguardo naturalista per esplorare attraverso la finzione l’enigma annidato dentro le cose, una loro paradossale verità in quel presunto gioco di non-vero. Continua a leggere

Robert Doisneau, eterna Parigi – nota di Elisa Castagnoli

Robert Doisneau - Pierrette d'Orient (Paris)Robert Doisneau, eterna Parigi

“Ho molto camminato per Parigi, prima sul pavé poi sull’asfalto, solcando in lungo e in largo per mezzo secolo la città. Nella mia condotta non c’è mai stato nulla di premeditato. A mettermi in moto è stata la luce del mattino, mai il ragionamento. D’altronde, che c’è di ragionevole ad essere innamorato di quello che vedevo?”.

Una Parigi popolare e romantica, ora grottesca e sfavillante emerge scorrendo attraverso le immagini del noto fotografo francese Robert Doisneau a Palazzo Pallavicini per dare vita al suo “racconto autobiografico del mondo”. Sono i quartieri popolari di una Parigi antica, intrisa di poeticità e bellezza quella che ci mostra Doisneau dalla Resistenza francese negli anni ‘40 ai decenni successivi. Sono i ritratti degli artisti e delle celebrità negli anni ‘50, gli interni delle loro dimore o atelier, i personaggi eccentrici incontrati casualmente lungo le strade o nei caffè, infine i bambini solitari o ribelli colti in improvvisi slanci di libertà. Perché la fotografia sarà sempre per Doisneau, “la cattura di piccoli momenti” osservando il mondo che gli appartiene in scatti di poesia e vita quotidiani. Continua a leggere

Surrealist Lee Miller, mostra a Bologna – nota di Elisa Castagnoli

SURREALIST LEE MILLER (fotografia a Bologna, Palazzo Pallavicini) 

 

Surrealista il suo modo di osservare il mondo, il ricorso a metafore e paradossi visivi per raccontare attraverso le immagini, ancora il rivelarsi, sorprendente, di una bellezza inattesa scavando sotto l’usura quotidiano; tale lo sguardo surrealista per ispirazione e stile di Lee Miller nel corso di tutta una vita pur nell’evoluzione delle immagini e degli accadimenti. Tanti volti in un sol volto, tante sfaccettature in una sola personalità, nel corso degli anni la musa ispiratrice diviene fotografa, Parigi diviene New York poi il resto del mondo mentre la ricerca modernista, pura e astratta, si trasforma nella fotografia documentaria durante l’epilogo tragico del secondo conflitto mondiale. La retrospettiva “Surrealist Lee Miller” attualmente a Palazzo Pallavicini a Bologna raccoglie le immagini più significative di una carriera, da quelle iconiche e d’una perfezione stilistica ineguagliabile entrate a pieno titolo nella storia della fotografia moderna e quelle che come tracce, segni o punti incidenti marcano la storia del nostro ultimo secolo di guerre in Europa.

 

L’eleganza innata della figura, i tratti puri e raffinati del volto, l’atteggiamento distante e altero, Lee Miller diviene dagli inizi della sua carriera il nuovo volto della moda newyorkese sulle copertine di Vogue dove lavora a partire dal 1927 con Condé Nast. Approda a Parigi l’anno successivo inviata da Nast per incontrare il fotografo surrealista più in voga dell’epoca Man Ray iniziando con lui una collaborazione proficua come modella e musa al centro dei suoi più noti ritratti. E’ allora che Miller si inizia al lavoro fotografico sotto la guida dell’eccezionale maestro: vuole che lui le trasmetta i segreti della camera oscura, la perfezione della presa di immagine o la sua voluta distorsione; sperimentando con la nuova estetica dell’avanguardia giungono a sviluppare la tecnica della solarizzazione. “Oggetti trovati” del quotidiano, immagini dai contrasti tonali esasperati nella sovrapposizione luminosa, particolari estraniati dal proprio contesto per divenire altri, misteriosi e perturbanti, tali le immagini che accumunano la ricerca estetica degli anni più propriamente surrealisti.

 

“Nude bent forward” ( nudo piegato in avanti) ne è l’esito più evidente. Il nudo femminile visto di schiena in primissimo piano ingigantito e ripiegato su sé stesso al centro genera un’ immagine equivoca, astratta e insieme perturbante allo sguardo. Allude a rotondità sensuali e tondeggianti, ondulatorie e sinuose evocando nell’inconscio una chiara simbologia sessuale al femminile e insieme avvolgendola di un’aurea di mistero e inconoscibilità. Altre volte sono contorni iconici di volti o figure resi in maniera assoluta, epurati in linee essenziali dalla realtà che come moderne icone pop, espongono sé stessi in una simulata nudità di superficie. Tuttavia, l’ottica surrealista permane sullo sfondo, l’idea che l’arte debba attraversare le soglie del cosciente, del convenzionale o consueto, esplorare il sogno e ogni altra manifestazione dell’inconscio come l’irriducibile del razionale e del senso comune. E, ancora, cercare come voleva Baudelaire, la poesia della realtà in segrete, misteriose corrispondenze parte di una totalità cosmica pre-esistente. Continua a leggere