Archivi categoria: arti visive

Yvonne Rainer: words, dances, films – nota di E. Castagnoli

Yvonne Rainer, Film About a Woman Who…, 1974Yvonne Rainer: words, dances, films (al Mambo di Bologna)


Parole, immagini e danza, tale il connubio tra la produzione coreografica, quella filmica e di scrittura teorica presentato per la prima volta in Italia al Mambo di Bologna dedicata alla coreografa e registra Yvonne Rainer da cui emerge una figura sfaccettata, complessa e poliedrica per la danzatrice della post-modern dance americana. Uno spazio particolare occupa nella mostra la sperimentazione filmica della Rainer che si staglia dai video sperimentali degli anni settanta, spesso oggetti di scena nelle performance, ai lungometraggi diretti dal 1974 al 1996 che come narrazioni autobiografiche intrecciano la storia personale al tema sociale e politico dando voce per la prima volta a una soggettività femminile; infine compare il video singolare Lives of Performers, serie di quadri viventi che precorrono in qualche modo un’idea di danza-teatro sullo sfondo di un triangolo amoroso soggiacente.
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Obey, “Make art not war”, nota di E. Castagnoli

Obey, “Make art not war” (a partire dalla mostra ai Magazzini del Sale, Cervia)

Quattro le tematiche intorno alle quali si è svolta la mostra conclusa pochi giorni fa ai Magazzini del Sale a Cervia in provincia di Ravenna_ donne, guerra, immaginario e ambiente_ paradossalmente in concomitanza con l’emergenza nella stessa area geografica delle violente alluvioni e scompensi climatici che hanno stravolto in maniera inaspettata la quiete e laboriosa provincia romagnola. “Make art not war”, “create arte e non guerra” è la monografia e insieme l’excursus essenziale su uno degli Street artist più noti in America e nella blogsfera digitale grazie ai canali mediatici e al web, ai suoi manifesti e t-shirt stampate e riprodotte in maniera seriale. Politicamente impegnato sul fronte della critica sociale Shepard Fairey, per tutti “Obey”, getta il suo sguardo ironico e disincantato sulle tematiche più scottanti del mondo attuale e soprattutto del proprio paese realizzando nei suoi più noti manifesti un metissage singolare tra cultura pop, fotografia e grafica modernista. Continua a leggere

L’arte della moda, mostra a Forlì – nota di Elisa Castagnoli

 

Giorgio De Chirico - Autunno, 1935

L’ARTE DELLA MODA, l’età dei sogni e delle evoluzioni (ai Musei san Domenico di Forlì)

L’abito è, senza dubbio da sempre stato il riflesso di un’epoca e, insieme, testimone dell’evoluzione culturale di una società da un secolo all’altro. Ancora, l’abito ritorna al centro della rappresentazione visiva nell’arte, scolpito o dipinto nei grandi ritratti da parte dei più noti artisti dal ‘700 fino all’epoca moderna nella mostra attualmente in corso ai Musei san Domenico di Forlì “L’arte della moda”. E’ ciò che coinvolge in qualche modo il corpo nelle sue forme di rappresentazione, là per dissimulare o nascondere, alludere o apertamente mostrare, incarnare simboli di potere, lo statuto e, infine, l’appartenenza a una classe sociale. All’ingresso della mostra una tela del Tintoretto è posta in maniera emblematica all’introduzione del percorso: “Atena ed Eracle” (1543). Una donna ed una dea si sfidano al telaio nell’arte raffinata della tessitura prima che Eracle venga trasformata secondo la leggenda per mano della dea in ragno simbolo del tessuto sul telaio ma anche del testo metaforicamente visto  in senso barthesiano come trama di lettere e parole nel gioco di rinvii tra significante e significato nel linguaggio. L’abito, a sua volta, nel percorso della mostra appare dall’Ancien Regime ai giorni nostri come il complesso intrecciarsi di trama e tessuto assumendo connotazioni distintive e simboliche per ogni epoca, ciò che noi definiamo in senso ampio moda. Rintracciando la storia della sua evoluzione attraverso le rappresentazioni che ne ha dato l’arte dal secolo XVIII ad oggi ripercorriamo il processo che ha condotto il corpo, soprattutto quello femminile, verso la modernità, vale a dire la liberazione della donna dagli stereotipi e le rigide convenzioni sociali sulla via dell’individuazione, della libertà o dell’espressione in senso proprio. Continua a leggere

Paesaggio, sentieri battuti e nuove prospettive – nota di Elisa Castagnoli

Mario Schifano - Ninfee, 1977Paesaggio, sentieri battuti e nuove prospettive (riflessioni a partire dalla mostra al Museo Civico di Bagnacavallo)

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Una lettura contemporanea sul tema del paesaggio reinterpretato nelle arti visive oggi, tale la riflessione che emerge dall’esposizione appena conclusa al Museo Civico delle Cappuccine in provincia di Ravenna, “Paesaggi”, pensata come “un percorso stilistico e tematico”, volutamente non cronologico, vale a dire una vera e propria passeggiata esplorativa di ispirazione potremmo dire quasi calviniana tra sentieri battuti e nuove prospettive per rivisitare tale tema intramontabile dell’arte. Citando Calvino non possiamo non richiamare alla mente la figura del labirinto presente in molte delle sue opere come percorso reticolare dal quale diramano molteplici vie o storie, ipotetiche combinazioni di eventi aleatori o percorribili dall’immaginazione che si tradurranno o meno nella realtà della pagina scritta. Da una parte, tale struttura labirintica incarna un modo di leggere il mondo contemporaneo rifiutando visioni troppo semplicistiche che continuano a reiterare le nostre “abitudini di visione”. D’altro lato, il piacere di perdersi nel labirinto diviene la possibilità di tuffarsi in forme non ancora esplorate della rappresentazione , quel caos apparente che comincia ad assumere senso vagandoci attraverso senza trovarne subito una via d’uscita: la sfida al labirinto ma non la sua resa incondizionata.

Passeggiare, spostarsi, divagare da un paesaggio all’altro potrebbe, allora, divenire una chiave d’accesso per questo percorso sfaccettato e multiplo di visioni contemporanee dal figurativo all’astratto, dal realistico all’onirico, dalla predilezione per il paesaggio naturale nel filone appena conclusosi alla mostra a quello invece più propriamente urbano che sarà al centro della seconda parte prevista per la fine del 2023. Tecniche e sensibilità si intrecciano e si contaminano nell’espressione degli artisti contemporanei abbattendo barriere di stili e generi o le grandi avanguardie estetiche dell’epoca moderna. Il percorso si apre a questo proposito come esplorazione del paesaggio nel ventesimo secolo con una sala dedicata ad alcuni artisti noti che hanno segnato la strada ad inizio ‘900 tracciando linee-portanti dalla metafisica post-futurista di Carlo Carrà alle periferie urbane asettiche e grigie di Sironi alla sperimentazione dell’ “action painting” di Mario Schifano, infine alle acqueforti di Giorgio Morandi o la “Black city” astratta di Congdon esposta a New York nel 1949. Le sezioni principali della mostra sono poi raggruppate in maniera tematica attraverso la scelta dei tre elementi portanti del mondo naturale: l’acqua, l’aria e la terra mentre si scorre agevolmente da una generazione all’altra di artisti, dal realismo al surrealismo pittorico, dalla fotografia all’astrazione, dall’incisione, all’arte informale. Particolare interesse desta, infine, la sezione conclusiva denominata “Il sogno del paesaggio” dove il cerchio spazio-temporale del percorso si chiude esplorando tecniche e sensibilità differenti per opere che spaziano liberamente nel panorama variegato dell’arte attuale. Continua a leggere

“Atlantide 2017-2023”, Yuri Ancarani al Mambo di Bologna, nota di Elisa Castagnoli

Atlantide 2017-2023, Yuri Ancarani al Mambo di Bologna

Atlantide secondo la tradizione letteraria rappresenta il mito del continente sommerso, l’isola leggendaria “sprofondata in un singolo giorno e notte di disgrazia” nelle parole del Timoteo di Platone. Atlantide è anche il titolo scelto dal regista ravennate Yuri Ancarani per il docu-film presentato nella sezione Orizzonti al Festival del cinema di Venezia del 2021 e attualmente al centro del progetto espositivo a cura di Lorenzo Balbi, “Atlantide 2017-2023” al Mambo di Bologna. Perché se di continente sommerso si tratta per questa “Venezia-Atlantide”, esplorata dal regista nei suoi paradossi e radicali cambiamenti sociali soprattutto qui esso coincide drammaticamente con l’universo esploso dell’adolescenza tra i più giovani d’oggi: “l’ambiente e le pratiche di una generazione alla deriva vista sullo sfondo senza tempo del paesaggio veneziano”. La sceneggiatura è in fondo plasmata sull’unicità stessa della laguna, la città sommersa e riemersa dall’acqua sfondo alla vita in divenire di un gruppo di ragazzi, gli scorci sul loro esserci e relazionarsi là dove il film come afferma Ancarani “si è lentamente costruito da solo”, prima di ogni sceneggiatura. Continua a leggere

JAGO, BANKSY E TVBOY, STORIE CONTROCORRENTE – nota di Elisa Castagnoli

JAGO, BANKSY E TVBoy, STORIE CONTROCORRENTE (a Palazzo Albergati a bologna)

Una serie di storie controcorrente che in aperta rottura con il sistema esclusivo dell’arte si vogliono risolutamente provocatorie, anticonformiste e in presa diretta sul nostro tempo, ciò accomuna i tre artisti esposti in triplice monografia nella mostra bolognese di Palazzo Albergati visitabile fino a maggio 2023: il celeberrimo e misterioso Banksy e due degli esponenti più influenti della nuova generazione italiana, Jago e TVBoy. Circa sessanta opere suddivise in quattro sezioni_ le tre monografie e una quarta con tele di giovani emergenti ispirati ai medesimi _ dialogano tra loro attraverso una concomitanza di stili diversi che scorrono fluidamente dalle icone classiche a quelle pop contemporanee per TVBoy , alla sperimentazione scultorea per Jago, alla pittura a spray e graffiti per Banksy. Primaria necessità per tale generazione di street artists resta il raccontare storie e farsi interpreti della realtà contemporanea uscendo dai canali elitari dell’arte per farsi portavoce di scottanti tematiche sociali o emergenze attuali quali il terrorismo, la crisi economica, l’ambiente, la violenza, il razzismo, la discriminazione. E’ ancora dare corpo e spazio a un’altra versione della realtà oltre quella politicamente corretta e ufficiale,oltre alla voce dei poteri forti o dei media dominanti, raccontando l’alterità, la marginalità, l’urgenza di un luogo e di un momento sui muri o gli edifici di una città. Continua a leggere

De Chirico e l’oltre, una mostra a Bologna – nota di Elisa Castagnoli

G. De Chirico, Autoritratto, 1935 (part.)DE CHIRICO E L’OLTRE: dalla stagione barocca alla neo-metafisica, (mostra a Palazzo Pallavicini, Bologna)

E’ un De Chirico inusuale, certamente meno noto e acclamato ma altrettanto ricco di suggestioni e rimandi in controluce alla prima pittura metafisica quello che appare nella mostra di Palazzo Pallavicini, “De Chirico e l’oltre” visitabile fino al 12 marzo a Bologna. La prima parte delle opere esposte infatti appartiene al periodo della cosi detta produzione “barocca” ove l’artista lasciata Parigi per ristabilirsi definitivamente in Italia, (da Milano a Firenze approdando infine a Roma) trae ispirazione dai grandi maestri del passato quali Rubens, Tintoretto, Delacroix o Renoir. Opere barocche che superando l’apparente naturalismo nella citazione quasi “post-moderna” dei grandi maestri della tradizione pittorica occidentale si pongono definitivamente in un ottica dell’oltre, vale a dire ancora una volta nel superamento della natura verso la creazione di una visione onirica e irreale: “una finzione più vera del vero”. Nella seconda parte del percorso espositivo ricompaiono opere della stagione neo-metafisica appartenenti all’ultima parte della produzione artistica dechirichiana ( 1968-78) tra cui le suggestive ambientazioni delle Piazze d’Italia, le enigmatiche composizioni di oggetti e gli emblematici manichini rivisitati però con ironia, qui in forme più serene e giocose. Il percorso espositivo ci immerge in questa esplorazione di opere meno usuali e poco conosciute del grande maestro della metafisica che tuttavia riconducono in qualche misura, seppur in maniera differente dal periodo dell’avanguardia, a un superamento della realtà oggettiva, certamente dello sguardo naturalista per esplorare attraverso la finzione l’enigma annidato dentro le cose, una loro paradossale verità in quel presunto gioco di non-vero. Continua a leggere

Civilization, una mostra a Forlì, nota di Elisa Castagnoli

Michael Wolf, Tokyo Compression #80, 2010Vivere, sopravvivere o diversamente buon vivere, in questa dicotomia obbligata e, insieme sentiero che biforca in contrastanti direzioni sembra porsi la scelta obbligata della società a noi contemporanea così come il nodo focale della mostra attualmente a Forlì, Civilization. Come se la nostra civiltà planetaria giunta ormai al ventunesimo secolo debba fermarsi di fronte a un bivio irreversibile tra innovazione tecnologica_ un avanzamento digitale senza precedenti_ dall’altra parte, la minaccia di sopravvivenza per quella stessa umanità messa di fronte a processi irreversibili e distruttivi da essa stessa generati. Basta solo enumerare i molteplici e deleteri mutamenti della superficie terrestre, la manipolazione distruttiva delle sue risorse o le derive ambientali che giorno dopo giorno continuano a mettere in discussione la sussistenza del nostro pianeta, i suoi abitanti ed ecosistema. Inedita alternativa che si prospetta rispetto a tale dicotomia è quella citata nell’ultima parte del titolo, la scelta del “buon vivere”, scelta consapevole di un ritorno a una sorta di equilibrio planetario ristabilito, altra via percorribile rispetto a quella attuale nella progettazione delle nostre società presenti e future. Trecento immagini e centotrenta fotografi provenienti da oltre 30 paesi nel mondo raccontano e riflettono, esaminano e attraversano i nodi focali di tale attualità spesso conflittuale da molteplici prospettive e luoghi del mondo.

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Alessandro Silva Ferrari / Federico Galeotti – L’arte di allacciarsi le scarpe

Alessandro Silva Ferrari / Federico Galeotti - L'arte di allacciarsi le scarpe - Pietre Vive Ed., 2022Alessandro Silva Ferrari / Federico Galeotti – L’arte di allacciarsi le scarpe – Pietre Vive Ed., 2022

Ho già parlato in questo spazio del lavoro poetico di Alessandro Silva  in due occasioni su cui torneremo più avanti perché in diverso modo sono utili per capire qualcosa dell’autore. Ma intanto diciamo di questa ultima fatica, equamente condivisa con l’artista Federico Galeotti, disegnatore e illustratore autore di diversi libri nei quali la poesia e i poeti (Baudelaire, Poe, Blake) sono stata affrontati graficamente. In questo caso sono i versi di Silva a fare da contrappunto testuale alle tavole di Galeotti, in uno scambio di significati reciproco.
Il libro prende spunto dall’evento catastrofico avvenuto nel 2011 in Giappone, a Fukushima, dove la centrale nucleare venne severamente danneggiata da uno tsunami scatenato da un terremoto, compromettendo l’ambiente e la vita delle popolazioni con gli elementi radioattivi liberati dall’incidente, e causando decine di migliaia di morti. Un fatto di cui ancora ci ricordiamo e che tuttora ha effetti a livello planetario.
Non è un tema da poco, se lo si vuole affrontare con un mezzo “fragile” come la poesia, per quanto efficacemente sostenuto dalle immagini. Tuttavia Silva non è nuovo a impegni del genere, cioè a una poesia che sia insieme “civile” e drammaturgica, lirica e a suo modo cinematografica, con una storia individuale e tuttavia collettiva e con un suo epos. È un tipo di sfida che lo affascina, poiché nel 2016, sempre per Pietre Vive, aveva messo mano, tentando – come dicevo allora – di farne un poema (come adesso), alla vicenda tragica e ancora irrisolta dell’Ilva di Taranto, nel libro L’adatto vocabolario di ogni specie (v. QUI). Sfida già impegnativa per il fatto che si trattava di un’opera prima. Anche lì c’erano tavole di corredo, opera di Giovanni Munari, a supporto di una storia, di un racconto di vicende dolorose, di protagonisti in varia misura vittime di un disastro ambientale. Anche questo libro mi pare risponda a un’attitudine di Silva, che è in fondo quella di un’attenzione acuta e un po’ dolente verso “il mondo, quindi, come un catalogo permanente”, come cita l’esergo di Edoardo Sanguineti (presente qui, mi pare, anche con altre ispirazioni); ma le similitudini mi sembrano finire qui, per ragioni che è utile sottolineare. In questo ultimo libro, intanto, Silva fa una precisa scelta di linguaggio, o addirittura di riposizionamento rispetto alle precedenti scelte stilistiche. Nel Vocabolario la linea era quella descrittivo-lirica, in tono narrativo, con accenti di critica sociopolitica filtrati dalla saltuaria apparizione di un io compartecipe, un io personaggio che ogni tanto dava dolente voce alle vittime come un corifeo, le scene erano nette, discorsive, i fatti avevano una loro evidenza poetica come episodi esemplari. 
Silva sceglie di scrivere una sua Terra desolata, di giorni quasi uguali a sé stessi di persone normali, di piccoli eventi, di vita ordinaria di gente che prende l’autobus, di simboli del quotidiano come delle semplici scarpe o un gatto che attraversano tutte le scene, mentre qualcosa là fuori sta succedendo. E sceglie di scriverla con un linguaggio altro e distante dalla sua prima prova, ma anche da altre sue cose più personali, più intime o più liriche (v. QUI), una lingua poetica dal piglio sperimentale di una certa efficacia e di non poca inventiva lessicale, ma che porta con sé e trasmette un senso di oscura allusione, d’indeterminatezza, di chiusura ermetica riguardo a ciò di cui sta parlando. Tanto che se avessimo il solo testo forse non emergerebbe agevolmente il tema, l’occasione, il luogo, la denuncia se non con la sinergia con le tavole di Galeotti (che, sia detto per inciso e forse i meno giovani lo riconosceranno, in certi modi e tratti mi ricorda lo splendido Eternauta di Oesterheld e Solano Lopez), che tanto più funziona quando il verso, ma non sempre, diventa lettering del disegno, cioè si innesta in esso, nella sua rappresentazione. E questo va bene, se si considera – come giusto che sia – questo libro non tanto una graphic novel atipica (e men che mai un manga come ha detto qualcuno) quanto un’opera visiva mista – come certe opere d’arte in cui concorrono al risultato materiali di diversa natura e consistenza, magari asincroni ma funzionali – con il testo che assume una funzione più tipicamente soggettiva (anche in senso cinematografico) e non necessariamente narrativa (quindi “interna” o interiore); mentre la grafica si accolla la funzione diegetica, di racconto, scenica, o di uno storyboard possibile, e di raccordo con un immaginario visivo (quindi “esterna”). Sono due codici che mirano alla descrizione di due entropie parallele, una diciamo privata l’altra pubblica. Tuttavia questa dicotomia tra testo, che evita qualsiasi didascalismo nei confronti dell’immagine, e l’immagine stessa che ricrea la cronaca per spezzoni, alla fine nell’architettura complessiva dell’opera funziona bene, facendone, al di là della cronaca stessa, qualcosa di emblematico del rapporto tra l’uomo, specie l’individuo, e l’ambiente, nel quale la natura incontrollabile trova nei guasti prodotti dall’uomo un moltiplicatore. E la scrittura di Silva, nel suo cupo andamento spesso tanto simbolico quanto a tratti surreale (specie nella formazione di certe immagini) o dichiaratamente onirico restituisce al lettore la sua angoscia, una densa atmosfera che sembra presagire comunque il disastro, qualunque disastro, questo e quelli futuri. (g.cerrai)

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The MAST Collection a Bologna, nota di Elisa Castagnoli

Eugene Smith - Operaio metalmeccanico con occhiali, 1955“Mast Collection”: un alfabeto visivo al Mast di Bologna

Un vero e proprio alfabeto visivo incentrato sui temi dell’industria, della tecnologia e del lavoro scandisce l’esposizione di più di duecento opere di fotografi italiani e internazionali di rilievo attualmente alla fondazione Mast di Bologna. Sono le tante lettere sparse di un alfabeto che per libere associazioni di pensiero riconnette l’inizio dell’età industriale con l’ultima fase della nostra post-modernità digitale quasi come un modo per far convergere uno sguardo lontano da noi che getta le basi dell’età moderna a uno più prossimo che ne segue le conseguenze anche distruttive della sua ultima evoluzione. Tale alfabeto per immagini, allora, è un modo per pensare il mondo visivamente, con tutti i sensi, come un vedere che diventa anche un riflettere in senso lato facendo confluire nella diversità dei punti di vista le contraddizioni e i conflitti che ci contraddistinguono. Come si tengono insieme, infatti, opposti inconciliabili se la lettera A sta per “Abandoned” ma anche per “Architecture” e l’ultima lettera W comprende la parola “Waste” (rifiuti) ma anche “Wealth” o “Water”,ovvero la ricchezza e l’acqua che costituisce una fonte inestimabile oggi.

La fotografia nasce nell’era della meccanizzazione alla fine del XIX secolo, figlia della rivoluzione industriale e dei processi che utilizzando la luce convertono nella camera oscura un negativo in pura impronta fotografica . Evolve di pari passo al progresso tecnologico dalla semplice copia di realtà, dall’immagine analogica a quella digitale di oggi. Nella Collezione ci si sposta dalla fotografia documentaria di inizio ventesimo secolo in America con artisti come Lewis Hine, Dorothea Lange o sul fronte europeo Robert Doisneau all’arte concettuale del ventunesimo secolo, alla fotografie di suggestione surrealista o iperrealista più recenti, e ancora dall’immagine in bianco e nero a quella digitale fino alle stampe in 3D di oggi. Continua a leggere