L’arte della moda, mostra a Forlì – nota di Elisa Castagnoli

 

Giorgio De Chirico - Autunno, 1935

L’ARTE DELLA MODA, l’età dei sogni e delle evoluzioni (ai Musei san Domenico di Forlì)

L’abito è, senza dubbio da sempre stato il riflesso di un’epoca e, insieme, testimone dell’evoluzione culturale di una società da un secolo all’altro. Ancora, l’abito ritorna al centro della rappresentazione visiva nell’arte, scolpito o dipinto nei grandi ritratti da parte dei più noti artisti dal ‘700 fino all’epoca moderna nella mostra attualmente in corso ai Musei san Domenico di Forlì “L’arte della moda”. E’ ciò che coinvolge in qualche modo il corpo nelle sue forme di rappresentazione, là per dissimulare o nascondere, alludere o apertamente mostrare, incarnare simboli di potere, lo statuto e, infine, l’appartenenza a una classe sociale. All’ingresso della mostra una tela del Tintoretto è posta in maniera emblematica all’introduzione del percorso: “Atena ed Eracle” (1543). Una donna ed una dea si sfidano al telaio nell’arte raffinata della tessitura prima che Eracle venga trasformata secondo la leggenda per mano della dea in ragno simbolo del tessuto sul telaio ma anche del testo metaforicamente visto  in senso barthesiano come trama di lettere e parole nel gioco di rinvii tra significante e significato nel linguaggio. L’abito, a sua volta, nel percorso della mostra appare dall’Ancien Regime ai giorni nostri come il complesso intrecciarsi di trama e tessuto assumendo connotazioni distintive e simboliche per ogni epoca, ciò che noi definiamo in senso ampio moda. Rintracciando la storia della sua evoluzione attraverso le rappresentazioni che ne ha dato l’arte dal secolo XVIII ad oggi ripercorriamo il processo che ha condotto il corpo, soprattutto quello femminile, verso la modernità, vale a dire la liberazione della donna dagli stereotipi e le rigide convenzioni sociali sulla via dell’individuazione, della libertà o dell’espressione in senso proprio.

Come suggerisce il sottotitolo alla mostra con i suoi duecento quadri, numerosi abiti e la ricca selezione di accessori “Le età dei sogni e delle rivoluzioni, 1789-1968” si rifà proprio a due grandi rivoluzioni, quella francese e quella femminista/studentesca che fanno da spartiacque all’inizio dell’epoca borghese e al suo declino intaccato dall’emergere dei nuovi movimenti sociali nelle generazioni post sessantotto. Si parte dal passato monarchico della corte francese dove la moda_ Versailles fulcro di ogni stile_ opera come strumento di comunicazione al centro della società nobiliare e delle sue tacite convenzioni di classe o di privilegio sociale; l’abito mostra i segni della ricchezza e del potere rispetto alla gerarchia in atto ed è codice tacito quanto immediatamente leggibile, implicitamente condiviso che permette all’individuo di farsi vedere ed essere visto, classificato o stigmatizzato in quella società.

Tuttavia la moda nel corso dei secoli non è stata solo uno strumento del potere, l’espressione e la diffusione dei suoi modelli quanto, anche in epoca moderna, un veicolo di rinnovamento, un luogo di reciproca contaminazione con l’arte dell’avanguardia novecentesca e perfino uno strumento di contestazione giovanile e di rottura per le generazioni post-sessantotto. A partire dal ventesimo secolo molti stilisti traggono ispirazione dalle opere d’arte astratte o cubiste oppure in una loro rilettura personalissima e ironica dell’abito ritratto nel passato. La moda passa, in definitiva, da statuto simbolico del sistema sociale esistente a via di ricerca e di espressione creativa, d’arte appunto, nel lavoro di molti creatori moderni; e, tuttavia, inevitabilmente, lo stile si fa anche oggetto di consumo nella società capitalista e industriale di oggi replicato in catene di produzione sempre più estese e globali nel mondo.

Specchio e insieme fenomeno di costume della società, la moda nella mostra forlivese appare nel passaggio fondamentale dal regime monarchico francese ai nuovi valori egualitari e repubblicani affermati con violenza dalla Rivoluzione per tradursi poi nello stile impero in età napoleonica. Inevitabilmente, essa finisce per coincidere con la figurazione del ritratto femminile dallo stile neoclassico allo spirito e alla sensibilità romantica all’inizio del XIX secolo evolvendo poi nella visione simbolista o impressionista di fine ‘800. Il “Ritratto di Maria Antonietta” (1783) di Elisabeth Vigée Lebrun, esposto al Salon nel 1783 si pone in aperta rottura con lo stile dominante e lussuoso della corte francese mentre la figura di Maria Antonietta appare già nella propria epoca come un’icona di stile precorritrice di mode e tendenze in grado di imporsi nell’intera società francese. La regina indossa un abito bianco di mussolina dalla foggia semplicissima e i colori chiari denominato “Chemise à la reine” su un cappello in stile campestre in assenza di parrucca o altra acconciatura preannunciando con eleganza discreta e malinconica il declino di un’epoca come di un ordine sociale ormai prossimo al proprio irreversibile tracollo. A partire dall’ottobre del 1793 l’Assemblea della Convenzione decretò “la libertà totale di abbigliamento secondo “la volontà individuale” mentre i vecchi codici d’abbigliamento monarchico vennero d’un sol colpo spazzati via dall’ondata violenta e inarrestabile della Rivoluzione. Il direttorio e l’impero segnano fondamentali momenti di passaggio nello stile e moda femminile là dove il revival dell’antico, le tuniche classiche derivanti dalla sobrietà statuaria greca si impongono con nobile semplicità mentre le dame cominciano ad indossare abiti dritti di mussolina bianca senza più sovrastrutture. Del 1808 è il ritratto di Josephine prima moglie di Napoleone magnificata nella “robe à chemise” dalla vita alta e l’evidente scollatura attenuata dal lungo scialle rosso che le cinge la vita scendendo come strascico dalle spalle ai piedi. Tale revival neoclassico rendendo il corpo fluido e libero sotto il seno scoperto e il busto privato di impalcature permane come modello dominante in epoca imperiale riflesso anche nel gusto architettonico neoclassico dell’epoca. Artisti e creatori contemporanei come Richard Galliano per Dior non hanno esitato a ispirarsi a tale epoca con ironia e originalità rileggendo nel contemporaneo suggestioni neoclassiche nel revival, per esempio, di una tunica bianca e abito eccezionalmente accostato nella mostra all’originale.

L’età romantica poco dopo la restaurazione in Europa comporta un oscillazione del gusto cui corrispondono gli ammalianti ritratti di Francesco Hayez mentre la figura femminile appare come una silhouette fragile e delicata in un entourage sobrio e famigliare, spesso avvolta da un indistinto pudore o da una qualche vaga inquietudine romantica. Formalmente, nell’abito, il punto vita si riabbassa, ritorna il corsetto per il busto e la gonna vasta disegnandosi in triangolo capovolto fino ai piedi. I ritratti femminili molto più popolari ora circoscrivono un mondo borghese che si impone con sobrietà, rigore ed un eccesso di forma pur sottendendo nel ritratto a una qualche dimensione intima e celata del personaggio. Con l’affermarsi del nuovo modello borghese il corpo femminile diviene sempre più “un segreto che le vesti fanno il possibile per mascherare” nell’abbondanza di tessuti, nell’eccesso di decori, nelle rigidità delle forme che sempre più coprono e serrano la figura come la libertà del suo manifestarsi. Vestirsi, allora, è in quest’epoca l’obbligata e costante correlazione tra un soggetto sociale e uno intimo “personale”, che deve, tuttavia, assumere una maschera, una prospettiva riconoscibile e codificata in quella precisa realtà sociale.

Belle epoche: Boldini, De Nittis, Tissot

De Nittis attratto dalla raffinatezza aristocratica e alto-borghese della Belle Epoque dopo essersi stabilito nella capitale francese rappresenta giovani donne protagoniste della vita mondana parigina là dove la sua pittura subisce dall’antecedente dei macchiaioli il forte impatto impressionista fissando la mondanità, la natura e la vita in immagini vivaci e iconiche della Belle Epoque. In “Fior d’autunno” per esempio, una giovane donna raffinata e ammaliante appare in un abito scuro lungo fino ai piedi, avvolgente intorno al suo corpo ma serrato fino al colletto nel pieno riflesso del giorno; là a catturare la realtà nel suo aspetto fuggevole e transitorio come la luce evanescente del giorno .

Nelle tele di Boldini sono ritratte le fragili muse dannunziane come la Marchesa Casati , donne sublimi e di ineguagliabile fascino di cui si trova similitudine nelle figure femminili dell’ultimo simbolismo, nella secessione di Klimt o nell’estetismo di fine secolo. Figure diafane e esili ma anche dotate di personalità eccentriche e dall’eleganza imprescindibile incarnano le inquietudini sociali e psicologiche dell’epoca, nonché la transizione femminile verso la modernità agli albori del nuovo secolo.

Avanguardie, moda e arte

“Si pensa e si agisce come si veste”, scriveva Giacomo Balla in uno dei manifesti che a partire dal 1909 scandiscono l’avanguardia futurista per stravolgere e rinnovare ogni aspetto della vita e dell’arte, compresa l’idea di moda all’inizio del ventesimo secolo. In “La bionbruna” di Balla assistiamo a una scomposizione dinamica della figura femminile, in particolare la messa in movimento delle sue linee e forme per richiamare la nuova estetica sensoriale del colore, della mobilità e del flusso contro la rigida staticità borghese. Fortunato Depero, ugualmente, con tale impeto innovativo disegna dei gilet dai colori sgargianti nell’ottica del movimento futurista coniugando forme geometriche a precisi ritmi cromatici. Altre suggestioni nella scomposizione della figura o del ritratto arrivano dall’estetica cubista e astratta dell’arte moderna (Leo Gestel, “Donna con i fiori”) mentre negli stessi anni tra le nuove generazioni Coco Chanel libera il corpo della donna dalla dittatura dell’abito o delle mise più convenzionali introducendo l’eleganza di linee fluide ed essenziali per un nuovo stile che abbraccia leggerezza e modernità.

In definitiva, nel corso del ‘900 la commistione tra artisti e moda si fa sempre più intensa là dove gli stilisti si ispirano ad opere d’arte o ne traggono suggestioni deducendone simboli della propria epoca. La moda, d’altro lato, nel gioco delle parti, sempre più si vuole forma d’arte oltre che specchio della contemporaneità, lo stile modo di gettare il proprio sguardo sul mondo similmente al cinema o alla letteratura mentre a partire dal secondo dopoguerra si impone con forza il riferimento alla creazione italiana del “Made in italy”.

Per concludere l’excursus tra arte e moda nel ‘900 è d’obbligo il riferimento all’esperienza dell’ Informale in Italia con la sua polisemia di tracce e scrittura visiva o materica sulla tela che influenza la creazione di diversi stilisti italiani dello stesso periodo. In particolare la creatrice di moda Germana Marucelli nel 1969 partecipa all’esposizione milanese curata da Gillo Dorfles e Giuseppe Ungaretti; là, i disegni unici dei suoi abiti ispirati all’arte informale pongono l’attenzione su linee, colori e superfici sperimentando con le medesime per traslare tali possibilità espressive dall’arte all’abito o al design di oggetti mentre Ungheretti riconosce nelle sue creazioni “la fugacità della grazia” tradotta attraverso la moda ne “l’infinito fuggitivo della sua poesia”. (Elisa Castagnoli)


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