Andreas Gursky: spazi visivi di oggi (al Mast di Bologna)
Per la prima volta in Italia Andreas Gursky, l’artista tedesco che ha cambiato il volto della fotografia creando icone contemporanee del nuovo capitalismo globale espone in questi giorni al Mast di Bologna con immagini che spaziano dai primi lavori alle creazioni più recenti. Di vere e proprie composizioni visive, infatti, si tratta per opere di grande formato elaborate in post-produzione dove Gursky unisce alla visione prospettica ad ampio raggio la messa a fuoco precisa e dettagliata su ogni singolo soggetto facendo della fotografia un’esperienza da vivere, insieme fisica, mentale ed emotiva sul mondo di cui siamo parte.
La selezione fotografica spazia dalle prime opere come Salerno (1990), alle ultime come Salinas (2021) facendosi interprete, attraverso le sue più iconiche rappresentazioni dell’era globale dell’ascesi della new economy fino alle sue implicite derive e contraddizioni. Le immagini abbracciano, tuttavia, in tale ottica, non solo i processi di produzione e consumo attuali ma anche singolari scorci su paesaggi naturali di origine millenaria. Particolare interesse ricopre nel lavoro di Gursky l’idea di collettività, il modo in cui i soggetti funzionano come moltitudine nella società, come le strutture sociali e collettive influenzano i nostri comportamenti e dunque la nostra produzione o fruizione di immagini. Spesso si tratta di visioni immense che prendono corpo sulle pareti della galleria con un uso del colore denso, pieno, quasi saturante, dove la prospettiva pur nella distanza permane nitida per effetto del montaggio di diverse immagini.
Moltitudini si impongono circuendo il caos entro un universo ordinato dove ogni soggetto sussiste e si definisce nel proprio esserci ma, anche e soprattutto nella pluralità del quadro d’insieme a distanza. L’immagine in Gursky, sempre emerge e parla in sé, esiste in questa suo potere di ordinare il caos del mondo e allo stesso tempo di farci riflettere sul medesimo. Ci mostra realtà multiple e complesse senza prendere posizione aperta di giudizio o critica ideologizzante sulla stessa. Il fotografo decide di far parlare le immagini nella loro valenza estetica e insieme forza visiva rendendosi testimone silenzioso di un tacito punto di vista sulla realtà che lo circonda per lasciare a noi spettatori la capacità di giudicare o trarre conclusioni. Come se così facendo permettesse a noi di vedere meglio per indurci a pensare o aprire una riflessione critica sul mondo contemporaneo.
“Salerno” (1990) vs “Salinas”, (2021) due visioni a confronto
Le cose, gli oggetti del mondo contemporaneo, nello specifico della città vista dall’alto con il suo porto, approdo di navi e imbarcazioni, container e dock colorati, divengono piccoli tasselli di un grafico perfetto e materico basato sulla simmetria degli oggetti – perlopiù delle auto parcheggiate – simile a un meccanismo a ripetizione in una realtà che diviene oggetto di astrazione logico-matematica. Tutto è calcolato, tutto “si tiene”, corrisponde, ritorna nel gioco perfetto delle parti mentre la sincronia dei moduli colorati e delle forme prende il sopravvento mostrando una visione della città astratta, tecnologica e insieme vivida nelle tonalità del bianco e del rosso.
Le saline di Ibiza, al contrario, si stagliano nel loro volto immoto e millenario come paesaggio immenso riflesso nell’acqua in una percezione prospettica risolutamente nitida anche nella distanza per una alterazione voluta dell’immagine. I colori del paesaggio acquatico al tramonto appaiono permeati di bianco e di arancio come riflessi luminosi e brillanti quando il sole è ormai scomparso ma permangono i suoi bagliori, una luce diffusa, limpida e espansa al crepuscolo, immensa nel contatto pervasivo con l’acqua intorno. Fenicotteri nella salina e presenze umane appena percepibili come segni lontano all’orizzonte. La natura silenziosa e stupefacente si mostra nella sua limpida bellezza come espansione di luce, effluvio d’arancio diluito in puro riflesso vivido al tramonto.
Nha Trang, (Vietnam, 2004)
Lavorano in una serie di passaggi meccanici e a catena su uno sfondo colorato di paglia e ammassi di vimini per costruire panieri in produzione industriale. Una miriade di uomini e donne appaiono in una serie di fotogrammi montati uno di seguito all’altro in sequenza filmica, parte di un meccanismo più grande di loro che sembrano non poter controllare né arrestare. Come un immenso quadro che si estende fino al limite del visibile, come non ci fosse altra prospettiva, altra via d’uscita oltre quel ripetersi monotono ed entropico del lavoro a catena, identico a sé stesso all’infinito ogni giorno. Tuttavia l’immagine non è oscura nè un’aperta critica alienante del processo produttivo quanto punteggiata di aranci come le magliette di questi uomini e donne visti semplicemente al lavoro in una grande macchina di produzione più grande di loro e al di fuori del loro controllo, uno tra i tanti esiti estremi del capitalismo globale.
La composizione è immensa e prospettica allo stesso tempo, dando la visione d’insieme e ogni singolo dettaglio chiarificato attraverso la il montaggio di immagini in post-produzione. Ci immerge letteralmente, in quanto testimoni in atto, in tale processo di produzione a catena de-localizzato nelle regioni più indigenti del sud-est asiatico. Gursky amplifica il quadro senza un’aperta critica sociale dando, invece consapevolezza e potere all’immagine, lasciandola parlare nella sua implicita dimensione estetica e simbolica , lasciando infine a noi spettatori la facoltà di trarre le nostre conclusioni.
Les Mées (Francia, 2016)
La distesa enorme di pannelli fotovoltaici sulla verde collina del sud della Francia si perde a vista d’occhio, ancora una volta in un’immagine dove realtà e manipolazione della medesima si fondono in Gursky. Ci parla di utopia di sostenibilità energetica, visione green e ottimista per un futuro dominato da energie pulite prodotte utilizzando la sola potenza della natura. Il fotografo visualizza sentieri lastricati di pannelli solari, distese che seguono i morbidi pendii delle coline e si perdono a vista d’occhio oltre il presente del nostro sguardo. Come fosse una grande strada disegnata dai riquadri bianchi e neri di silicio conducendo a un futuro auspicato, qui in maniera utopica verso un altro mondo possibile nella svolta energetica necessaria al presente.
Amazon (2016)
Migliaia di pacchi e plichi di diverso colore e formato stanziano su scaffali ricolmi pronti per essere spediti in tutto il mondo. Palesemente comuni nell’immaginario collettivo, colmano lo spazio fino a saturazione in questo deposito immenso di Amazon fotografato da Gursky come accumulo di merci tanto da non lasciare margine o altro spazio vuoto nell’immagine. I pacchi, catalogati sulla base di algoritmi di vendita per risparmiare tempo e incrementare l’efficienza della distribuzione, restituiscono in maniera quasi soffocante, un senso di pienezza, di eccesso, l’accumulo di merci spinto al proprio limite saturante e distruttivo quasi in un soffocamento di presenza. Il mondo è preda di un algoritmo di vendita e profitto, de-materializzato, fluido sulla rete come Amazon quanto visibile attraverso l’accumulo di merci e pacchi qui depositati; il tutto è raccontato attraverso un grande affresco collettivo: la magnificenza casuale di un archivio composto da una serie illimitata di plichi colorati.
V&R II ( 2022)
La sfilata di moda, volutamente senza pubblico, vede al centro un defilé illuminato nel netto contrasto chiaroscurale del nero fondo come fosse pendente nel vuoto in questo dittico moderno di immagini in montaggio fotografico. Paesaggio umano di corpi femminili svuotati e colori atoni, spenti mentre i volti sfilano come icone plastiche di fronte agli occhi per questa visione di figure femminili totalmente de-umanizzate. I corpi nella manipolazione fotografica in atto appaiono quasi astratti, portati fuori dalla loro dimensione umana e oggetto di sdoppiamento o ripetizione l’uno nell’altro. Allo spettatore senza altro commento è lasciata la facoltà di percepire, pensare, reagire in senso critico partendo da tale simulazione fittizia ma veritiera, possibilmente realista, di una proiezione femminile riconoscibile a molti.
La ricerca estetica di Gursky: Bangkok (2011)
L’irradiazione di acqua e di luce sul fondale oscuro di un fiume riempie completamente lo spazio dell’immagine fotografica estesa in grande formato sulla parete della galleria. Permane in tutte le immagini di Gursky la volontà di un’innegabile ricerca estetica, in questo caso un’estetica della fluidità attraverso il movimento, l’acqua e la luce: una luce che dissolve e dissimula la realtà e le sue forme conducendole a un puro gioco d’ombre. Qui, è il fluire e lo scorrere, il divenire e il muovere dell’acqua mentre la luce si insinua in essa; poi, su più larga scala è il movimento del pensiero, dell’esistenza e della vita tutta. Ricami di forme sull’acqua attraverso la luce affiorano, si disegnano e poi ancora una volta ritornano nell’oscurità divorante del nero fondo. (Elisa Castagnoli)
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