Pavel Arsen’ev – Lo spasmo di alloggio

Pavel Arsen’ev – Lo spasmo di alloggio, a cura di P. Galvagni – Arcipelago Itaca, 2021Pavel Arsen’ev - Lo spasmo di alloggio, a cura di Paolo Galvagni - Arcipelago Itaca, 2021

Davvero interessante questo libro antologico curato da Paolo Galvagni, traduttore dal russo (e in russo) di importanti autori del Novecento e contemporanei (da lui tradotto avevo letto e recensito per la rivista “Menabò” il misterioso I frutti della meditazione di Koz’ma Prutkov, altrettanto interessante). Pavel Arsen’ev è nato nel 1986 a Leningrado / San Pietroburgo dove vive, a parte residenze di studio all’estero (è attualmente dottorando all’Università di Ginevra), è vincitore del prestigioso Premio letterario “Andrej Belyj”, ed è tradotto negli USA e in italiano nel volume Tutta la pienezza del mio petto, poesia giovane a San Pietroburgo (Lietocolle 2015, trad. P. Galvagni) e nelle riviste “Le voci della luna” e “Atelier”.

Lo spasmo di alloggio è un termine tecnico per definire una contrattura del muscolo ciliare che impedisce un corretto aggiustamento della visione oculare, inducendo una falsa miopia, un disturbo di cui soffre lo stesso Arsen’ev. La difficoltà di concentrare lo sguardo, un vagabondare dell’occhio dal vicino al lontano è per l’autore metafora, mi pare di capire, dello sforzo necessario per incrociare una visione poetica che comprenda quello che ci è prossimo, l’individuale, l’esistenziale e insieme il sociale, il politico, quello che riguarda tutti  o per intrecciare un ambito creativo all’altro. Come leggiamo nella nota curata da Galvagni, infatti Arsen’ev afferma: “Se l’arte è uno stile disordinato di vita, con tele e bottiglie disseminate in un laboratorio e la scienza invece è un’occupazione da studiolo, accompagnata da occhiali e calvizie, passare dall’una all’altra è praticamente impossibile. Io tuttavia credo che entrambe queste sfere nel loro aspetto trascurato risultino essere un tradimento: l’intero che si è disgregato; e noi siamo in grado di opporci alla disgregazione della pratica integra in specialità isolate. Nietzsche esortava a una “scienza allegra” (Le gai savoir), e Marcel Duchamp parlava dell’arte del pensiero (cosa mentale); a me sembra che occorra orientarsi verso questi ideali incrociati…”. È una decisa dichiarazione di poetica, decisamente contemporanea e convintamente “civile”, tanto che Arsen’ev si pone come “legame vivo tra l’arte dell’avanguardia sovietica degli anni ‘20 del XX secolo e il pensiero materialistico contemporaneo” (Galvagni), con un approccio complessivo che forse potremmo definire postmoderno, se questo termine avesse un senso nella realtà della Russia di oggi. Come annota ancora Galvagni, “Pëtr Razumov afferma che Arsen’ev non scrive versi, ma crea la poesia. Le sue “uscite” marxiste e le meditazioni ironiche non appartengono al corpus prosodico della lirica russa, ma appaiono simili a quanto è esposto in un museo di arte non conformista: sono bombe linguistiche destinate a diventare un’arma nella lotta sociale per l’esistenza. D’altronde non sono prive degli attributi tipici della lirica tradizionale: l’ironia e la malinconia”. Arsen’ev recupera e rinnova una poesia “politica” che dopo la caduta dell’URSS era andata scemando, forse nella dissoluzione delle ideologie e degli schieramenti netti. “Arsen’ev – annota ancora Galvagni – è un poeta impegnato che formula una critica alle numerose forme di alienazione sociale e politica nella Russia contemporanea. Tanto nella poesia, quanto nell’attivismo politico, egli tenta di superare la futilità dei metodi tradizionali di resistenza. I versi civili non sono più significativi, come un tempo, essendo stati modificati dallo Stato e dagli interessi commerciali. La risposta di Arsen’ev è tesa a convertire il ruolo del poeta, che agisce come “reporter sul campo”, che produce frammenti di lingua quotidiana. Non a caso il testo La nota del traduttore [v. sotto] consiste di frasi ricavate dalla traduzione russa di un trattato di Wittgenstein: in un contesto trasformato, questi brandelli assumono nuovi significati, costringendo l’autore a riconsiderare la nozione tradizionale di originalità”. (g.c.)

Poema del feticismo commerciale

I.

Devi desiderare,
Devi essere desiderato,
Non puoi abbandonare la gara,
Se ti arresterai, cesserai di esistere.

È giunto il tempo
di cambiar argomento di conversazione.
Sei rimasto fermo,
guarda, il tuo modello di realtà è antiquato,
non puoi più pensare come prima.
Sono giunti tempi nuovi.

Non è tempo di aspettare,
è tempo di agire,
è tempo di procurarsi i mezzi di trasporto,
creati appositamente.
Creati appositamente per coloro che
non sanno dove andare, ma sanno dove correre.
Cerca di percepire il drive,
comunque non sei ancora capace di percepire qualcosa.
Giudica tu stesso che cosa devi ancora fare.

Il contatto diventa più semplice,
quando, d’altronde,
non si ha più voglia di contattare nessuno,
ma tu resta in contatto,
all’improvviso bisognerà
mandarti qualche conto
o anche soltanto un volantino pubblicitario.

In realtà, la pubblicità
ci aiuta a orientarci nel mondo delle merci,
anche se non è più così adatta
a indicare l’uscita da questo mondo.
Ma è anche questo, e non è poco.

Che cosa c’è,
ricevi il tuo piacere in misura doppia –
anche se a costo dell’atrofia della volontà
e del desiderio polverizzato in superficie.
Le buone emozioni sono garantite –
nella misura corrispondente alla categoria
del biglietto acquistato.

Alla fin fine, porta gli amici,
riceverai un buono.

II.

Soltanto in questo mondo possono esistere
reti di centri.

Le reti dei centri dell’assistenza in garanzia agli abbonati,
che si trovano fuori dalla storia.

È davvero ramificata
la rete dei complessi commercial-ricreativi –
per i veri uomini – il complesso di castrazione,
per le belle signore – l’invidia del pene,
anche per i più piccoli abbiamo preparato qualcosa.
Non si annoierà nessuno.

Se troverai a meno,
vieni, non vergognarti,
ti restituiremo i soldi,
ti restituiremo il buon umore,
ti restituiremo la giovinezza
passata nell’attesa dei saldi,
ma non troverai nulla
a meno.

E in generale presta attenzione
a quante cose gratuite ci sono qui.

 

***

 

Le note del traduttore

Il legame tra queste parole è stato forse creato
in un’altra epoca

L. Wittgenstein

«Nel College reale c’è un incendio».
Non dire sciocchezze.
Che cos’è l’oggetto del tuo desiderio?
Voglio che in questa stanza entri Mr. Smith.
Siete sicuri che sia proprio ciò che volete?
Certo, devo sapere che cosa voglio.
Non dire sciocchezze.
Voglio che accada questo e questo.

Ciò in cui credi non è un fatto. 

Percepisco il terrore.
Temo qualcosa, ma non so che cosa.
Ovunque tu sia, devi arrivare
da qualunque luogo
verso il posto da cui te ne sei andato.

Perché ritieni che
il tuo male ai denti sia in rapporto al fatto
che tieni le mani su una guancia?

<…>

Senz’altro,
esistono azioni decisamente determinate con cui si rappresenta
come un altro percepisca il dolore.

Non mi hanno mai insegnato
a rapportare la profondità dell’acqua sotto terra
con le sensazioni sulla mia mano,
ma quando sento in essa una determinata tensione,
le parole «3 feet» compaiono subito
nella mia coscienza.

<…>

Beh, certo, il rosso esiste,
e voi dovete vederlo,
se siete capaci di immaginarlo.

L’aumento della pressione sui miei occhi
produce immagini rosse.

«Nel College Reale c’è un incendio».
Non dire sciocchezze.

Voglio che accada questo e questo

Che strano meccanismo in un caso simile 
deve essere il nostro desiderio,
se possiamo desiderare ciò
che non si realizzerà mai. 

Certo, non è tutto,
ma puoi costruire casi
più complessi, se vuoi.

Noi dovremo
parlare, sotto, del
significato dell’espressione
«dimenticare il significato della parola»

[ Nota del traduttore:
Questo così non è mai stato
fatto. ]

 

***

 

OFFLINE

per ATD

Le macchine trasmettono 
Il poeta muore
Il tempo passa 

Qualche raffigurazione, che designa persone reali,
Alcune delle quali pure sono ritenute poeti,
Cominciano a balenare come battute con condoglianze
affrettate
Le loro parole sono tese, fuori luogo, infine, mendaci

Le loro parole,
Trasmesse dalle macchine
Dopo la morte del poeta.

All’improvviso questo flusso di zeri e i loro vis-a-vis
Volge all’indietro
E si chiarisce che non è ancora la fine
Che la poesia col non essere
Ha antichi conti e debiti irrisolti,
Calcolando i quali, probabilmente, era ammesso un simile
ritorno.

Risulta che alle macchine qui non resta che fumare nervosamente
nell’attesa
Che in generale non sanno come comportarsi «in una situazione simile»
Che possono solo affogare le parole nella corrente,
Finché quelle non si aggrumeranno sino alla condizione di poesia, cioè
alla morte della comunicazione,
che ormai non si riuscirà a tradurre in regime fonico,
in regime di notifica già avvenuta,
spegnere questa opzione, configurare un’interfaccia più comoda.

Solo per questo conveniva ormai combinare un simile inganno
Al commiato.

Alla fin fine molto semplicemente questo è antiquato,
Dirà il più scaltro dei poeti scollegati,
La morte è antiquata, la poesia del futuro consisterà di unità e
zeri,
Consiste già di essi,
È antiquato essere presente al capezzale, stare interamente in un
solo luogo.
In questo tempo si possono fare tante cose interessanti
Con la macchina della lingua stessa.

Queste parole,
Trasmesse dalle macchine,
Purtroppo non avranno alcun nesso.

 

***

 

sopra una città ce n’è un’altra,
nuova e bellissima
le strade tagliano altre strade,
più vecchie e strette
sopra una storia ne esiste un’altra,
più esatta e innovativa
sopra una vita c’è un’altra vita
più agiata e di talento
sopra una persona c’è un’altra persona,
più contemporanea e semplificata
sopra resti mortali ce ne sono altri,
di periodo più tardo.

 

***

 

LE PAROLE DEI MIEI AMICI

le parole di oleg 

da un lato, è ovvio,
allora ero immaturo,
e invece ora sono così,
quindi occorre ormai definirsi univocamente:
occorre essere un marginale
tutti i possibili bonus, che sono considerati
vita intellettuale,
sono già stati assaggiati da noi tutti –
non completamente, ma già così
assaggiati al gusto,
ecco così è tempo di essere marginali
sono sicuro, si, marginali

le parole di liza 

ti immagini,
semplicemente le fa ancora male il collo,
ma va da un’indovina,
quella le dice: «va’
presto a fare la RM»,
ma lei le chiede:
ho talento oppure no,
devo dedicarmi al teatro
oppure no, capisci,
ma lei deve semplicemente curarsi il collo

le parole di oleg – 2 

ecco avresti voluto una confessione
ecco, credo, deve esserci un libro
per lo meno della harward university press,
che possa legittimare tutto,
anche il premio hanna arendt,
che l’ultima volta andò a zygmunt bauman,
per non riceverlo ormai più
sono i segni di distinzione, che
finalmente mi consentiranno di comportarmi
con assoluta intransigenza

le parole di sveta 

a volte ci raduniamo con gli amici
e all’improvviso qualcuno propone di bere un po’
e guardare un film tipo da cinefili
e poi qualcuno di noi
dice che ha da fumare,
e dopo comincia a citare i versi di auden
poi qualcun altro comincia a spianare la strada
e mette una simile musica, tipo post-underground
allora finalmente sveta dice:
be’ forse basta ormai

ed ecco anch’io talvolta voglio dire:
forse basta ormai

 

***

 

Tassonomia

I poeti si dividono tra quelli
che scrivono,
perché hanno nel cuore
un foro;
quelli che hanno letto qualcosa del genere
e hanno deciso di condividerlo;
quelli che si dedicano alla rifinitura filigranata
e insensata di un ornamento
o alla creazione di messaggi
cifrati su ciò
che semplicemente così
si vergognerebbero a raccontare –
beh, sia in virtù della mediocrità
sia in virtù della marginalità dell’esperienza;
quelli appartenenti all’Imperatore
e gli imbalsamati;
gli ammaestrati,
i vagabondi e
i poeti inclusi in questa classificazione;
poeti che corrono come folli
e innumerevoli altri,
molti molti altri,
altri ed ex poeti;
conviene ricordare, del resto,
i poeti che hanno rotto un vaso di fiori,
e anche quelli simili da lontano a mosche.

 

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