Archivi categoria: poesia inglese

Katia Sassoni – Canzoni sotto la cattedra, nota di Sandra Palombo

Katia Sassoni - Canzoni sotto la cattedra.Ospito con piacere una “impressione di lettura” di Sandra Palombo, amica fin dai primi anni 2000, poetessa presente sul blog in diverse occasioni (v. QUI), nata a Livorno ma elbana di Portoferraio da sempre, storica di formazione con particolare interesse per il periodo isolano di Napoleone Bonaparte.

Impressioni di lettura: Katia Sassoni – Canzoni sotto la cattedra.

.Una soffusa malinconia è base musicale sulla quale risaltano poesie alla ricerca di sé, tra introspezione e vissuto, in Canzoni sotto la cattedra di Katia Sassoni edito da Giuliano Ladolfi editore, 2022.

Una malinconia che non stucca, sottofondo di versi che cantano la storia di ogni donna nelle stagioni della vita.

Come non riconoscersi nello sguardo retrospettivo di Che cosa resterà di noi?

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Margaret Atwood – Esercizi di potere

Esercizi di potere  (Power Politics, 1971) di Margaret Atwood, collana Poeti di Nottetempo Edizioni, 2020Un libro minimalista, con la sua semplice copertina bianca,  privo di nota introduttiva (che ci poteva stare), di note al testo (ma inutili con l’inglese lineare di Atwood, un limpido Canadian English), solo la traduzione, che a me pare molto buona, di Silvia Bre. Si tratta di Esercizi di potere  (Power Politics, 1971) di Margaret Atwood, collana Poeti di Nottetempo Edizioni, 2020. 

Non è inutile citare l’anno di uscita di Power Politics.  Gli anni Sessanta si sono appena conclusi, con tutte le loro istanze alcune delle quali daranno qualche frutto solo a distanza di tempo. Come le rivendicazioni delle donne, la parità di genere, il desiderio, il rispetto, l’autodeterminazione nel pubblico e nel privato, il diritto di scelta, la sessualità. Tutti temi su cui, fin dai primi Sessanta, Atwood è sempre stata attiva, che hanno anzi trovato voce in molte delle sue opere, dalla poesia ai romanzi distopici per cui è celebre, come Il racconto dell’ancella (The Handmaid’s Tale, 1985). Sono anche (o sono da poco stati) gli anni di Sylvia Plath, di Anne Sexton, dei confessionals, a cui Atwood in molti stilemi tra cui un forte uso delle similitudini è accostabile, autori nei quali il conflitto, il dramma interiore, le difficoltà nei rapporti sono ben presenti. Gli esercizi (potremmo dire i giochi) di potere al centro di questa raccolta sono infatti quelli tra un uomo e una donna, le dinamiche che animano da sempre (v. “Prima mi avevano dato secoli” qui sotto) i rapporti tra i generi, non solo nella sfera sessuale ma in generale anche in quella sociale e politica. Si parla in effetti di una diseguaglianza di potere, non solo inteso come peso all’interno della società, ma anche come diverso peso dell’investimento affettivo nei rapporti tra un uomo e una donna, la diseguaglianza che c’è nell’attaccamento emozionale al rapporto. E tuttavia l’approccio di Atwood, la resa di questo tema in poesia, non è tanto “politico”, anzi è piuttosto personale, perfino intimo e venato in molti punti di una ironia che smussa i conflitti, li riveste appunto di una patina di superiore comprensione delle cose, ma anche della vena di cinismo di chi ha acquisito una certa esperienza, alla fine una specie di saggezza. E’ appunto personale perché Atwood parla delle sue esperienze, del suo avere a che fare, anche in maniera dolorosa, con gli uomini, o con un Uomo, visto di volta in volta come un mostro a tre teste, un Generale, un Imperialista, un amo infisso nell’occhio, ma anche uno capace di prodigare piacere, “gentle moments”, e insieme sessualità violenta, ma anche qualcuno che ti aggancia, che “fit into me”, mi aderisce, mi sta a pennello (Bre traduce giustamente “ti adatti dentro me”) sebbene lo faccia “like a hook into an eye”, appunto come un amo in un occhio, una visione che sta tra Bataille e Buñuel. Un lungo poema, quindi, di attrazione, dipendenza, attaccamento, dolore, fino al raggiungimento di uno stadio finale in cui il gioco non vale più,  non c’è niente di salvabile nel rapporto né esiste la possibilità di farlo, salvo la realizzazione di una diversa forza e consapevolezza di sé come donna. Atwood non solo incarna in poesia quello che appariva uno slogan talvolta superficiale, “il privato è politico”, ma afferma, qui e altrove da sempre, che il potere in effetti permea tutte le interazioni tra uomini, tra uomini e donne, tra gruppi sociali sia nelle grandi questioni che nelle azioni quotidiane, sebbene, come è stato notato, i personaggi femminili nelle opere di Atwood non siano mai vittime passive. Come afferma uno dei suoi critici, Sherrill Grace, docente alla British Columbia University, “attraverso queste poesie Atwood mostra come le lotte di potere colorino tutto ciò che facciamo, trasformando anche le nostre attività più sacre in manovre mortali che, alla fine, distruggono entrambe le parti”, identificando la tensione centrale in tutto il lavoro della scrittrice come “la spinta verso l’arte da una parte e verso la vita dall’altra”. Insieme al fatto che, aggiunge, Atwood “è costantemente consapevole degli opposti – sé / altro, soggetto / oggetto, maschio / femmina, natura / uomo – e della necessità di accettarli e lavorare al loro interno”. (g.c.) Continua a leggere

Robert Louis Stevenson – Poesie

Robert Louis StevensonRobert Louis Stevenson, autore di capolavori della letteratura mondiale come L’isola del tesoro e Lo strano caso del Dottor Jekyll e del signor Hyde, qui in veste di poeta, nella traduzione di Emilio Capaccio.

Non chiedo ricchezze, speranze, amore,

né amico che mi comprenda;

ciò che chiedo è il cielo sopra di me

e una strada ai miei piedi.

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R. L. S.

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IL MIO LETTO È UNA BARCHETTA

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Il mio letto è come una barchetta;

Tata mi aiuta quando mi imbarco;

In un paltò da marinaio m’affagotta

E nel buio mi spinge per un varco.

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Di notte salgo a bordo e farfuglio

Buonanotte a tutti gli amici sulla sponda;

Serro gli occhi e navigo oltre lo scoglio

E non vedo e non sento che l’onda.

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Talvolta mi porto qualcosa sul guanciale,

Come accorti marinai devono fare;

Forse una fetta di torta nuziale,

Forse uno o due ninnoli per giocare.

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Ogni notte timono al tempo della ninna;

E quando la luce del giorno è tornata,

In rifugio accosta alla colonna,

La mia barchetta ritrovo ormeggiata.

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MY BED IS A BOAT

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My bed is like a little boat;

Nurse helps me in when I embark;

She girds me in my sailor’s coat

And starts me in the dark.

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At night I go on board and say

Good-night to all my friends on shore;

I shut my eyes and sail away

And see and hear no more.

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And sometimes things to bed I take,

As prudent sailors have to do;

Perhaps a slice of wedding-cake,

Perhaps a toy or two.

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All night across the dark we steer;

But when the day returns at last,

Safe in my room beside the pier,

I find my vessel fast. Continua a leggere

Elizabeth Roberts MacDonald – Poesie, a cura di Emilio Capaccio

Elizabeth Roberts MacDonaldI cancelli del Cielo furono aperti

e nel bagliore di quel momento

brillò la pace appresa un tempo

e l’amore oltre un sogno.

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E. R. M

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Elizabeth Roberts MacDonald, nome completo Jane Elizabeth Gostwyck Roberts MacDonald, chiamata dai familiari affettuosamente “Nain”, nacque il 17 febbraio del 1864 a Westcock, nei pressi di Sackville, New Brunswick, Canada. Suo padre era il reverendo George Goodridge Roberts, pastore anglicano, rettore di Fredericton e canonico della “Christ Church Cathedral”.

Sua madre era, invece, Emma Wetmore Bliss, figlia di George Pidgeon Bliss (“Receiver General”, ovvero tesoriere e ragioniere dello stato di New Brunswick).

Nacque in una famiglia di 6 figli: una sorella, May, e quattro fratelli, il primo dei quali sarebbe diventato il celebre poeta Charles George Douglas Roberts, considerato capostipite dei poeti canadesi.

Elizabeth, come i suoi fratelli, Charles George Douglas e Theodore Goodridge, ricevette la prima istruzione al “Collegiate School” e successivamente fu una delle prime donne ad essere ammessa alla “University of New Brunswick” di Fredericton.

Nel corso della sua adolescenza integrò la sua formazione scolastica con lo studio e l’approfondimento di autori inglesi e americani, insieme ai fratelli, sotto la guida del padre, trascorrendo pomeriggi immersa nella lettura, tra i tantissimi fiori dei giardini della casa paterna, tante volte richiamati nelle sue poesie, negli splendidi scenari dei paesaggi canadesi.

Indubbiamente, proprio quest’indole contemplativa e il contesto ambientale, ricco di elementi naturalistici e sfondi incontaminati, segnarono indelebilmente la lirica della MacDonald che si contraddistinse per una soave delicatezza dei versi e per un rimando a elementi della natura e del sogno, quale dimensione dentro cui elevare il canto e la propria immaginazione tra boschi di abeti e corsi d’acqua, nelle tiepide primavere o lungo le montagne innevate del New Brunswick.

Elizabeth iniziò a scrivere i primi componimenti poetici molto giovane e collaborò con le più prestigiose riviste letterarie dell’epoca, tra le quali: “The Century”, “The Independent”, “Outing Magazine”, “Canadian Bookman”, “Canadian Magazine”.

Nel 1889, incoraggiata e finanziata dal padre, divulgò in forma privata: Poems; una primissima raccolta di quindici poesie, in cui è già evidente la sua poetica incentrata su elementi onirici e paesaggistici con un canto del sentimento amoroso delicato, senza scivolare nella prolissità e nell’eccessiva tragicità tipica di alcuni poeti romantici.

Dal 1891 al 1892 insegnò nella “School for the Blind”, di Halifax, capitale della provincia di Nova Scotia, ma di lì a poco fu costretta ad abbandonare l’insegnamento a causa delle precarie condizioni di salute.

Nel 1896 sposò il cugino, Samuel Archibald Roberts MacDonald, con il quale ebbe tre figli: l’ultima, Emma Hilary, scomparve tragicamente quando aveva poco meno di un anno, segnando tragicamente la vita della poetessa.

Nel 1899 insieme agli altri due fratelli, Charles George Douglas e Theodore Goodridge, pubblicò l’antologia poetica: Northland Lyrics, e nel 1906: Dream Verses and Others, raccolta che dedicò al marito.

Dimostrò anche uno spiccato talento per la prosa, pubblicando una serie di racconti per l’infanzia su periodici quali: “New York Churchman” e “Peterson’s Magazine”, e la novella in dieci capitoli: Our Little Canadian Cousin (1904), diventata una celebre storia per ragazzi.

Visse a Fredericton fino al 1912, poi si trasferì con il marito e i due figli, Archibald George e Cuthbert Goodridge, a Nelson, nella Columbia Britannica, dove divenne uno dei leader del movimento a favore del suffragio femminile[1].

Nel 1914, a causa delle difficoltà di natura finanziaria, fu costretta a trasferirsi per un breve periodo e Vancouver e poi a Winnipeg, dove soggiornò circa un anno, lavorando come corrispondente del “Winnipeg Telegram”.

Nel 1915, in seguito alla decisione del marito di arruolarsi nell’esercito come ufficiale medico, si separò, rinunciando alla vita coniugale, e si trasferì a Ottawa dove risiedevano due fratelli, la sorella e la madre.

Morì nel “Carleton County General Protestant Hospital” di Ottawa, l’8 novembre del 1922, a causa di complicazioni insorte per una caduta che le aveva provocato la frattura dell’anca.

La sua morte fu registrata dal marito e le spoglie furono portate al Beechwood Cemetery, illustre Cimitero Nazionale del Canada. (Articolo e traduzione di Emilio Capaccio)

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Da Menabò, rivista letteraria: Martyn Crucefix

Ricevo il primo numero (Febbraio – Marzo 2019) della rivista quadrimestrale “Menabò, edita da Terra di Ulivi, direttore responsabile Stefano Iori, nata con il progetto ambizioso  di gettare uno sguardo ampio sulla cultura poetica e letteraria non solo italiana, in una veste graficamente ben curata, ben corredata di immagini tratte dalla storia dell’arte mondiale, e con corrispondenti in vari paesi. Avviare un rivista letteraria di questi tempi vuol dire assumersi non pochi rischi, almeno quanti  se ne affrontano scegliendo un nome che, come ribadito nell’editoriale, rimanda direttamente a Elio Vittorini (richiamato anche in un articolo riguardo a “Il Politecnico”) e Italo Calvino, alla rivista omonima, a quella esperienza culturale che tra il 1959 e il 1966 influenzò notevolmente non solo la cultura del nostro paese ma anche il dibattito politico. Diciamo un bell’impegno.

Naturalmente quello che fa una rivista non è il nome né il riferimento storico letterario, ma è la linea editoriale, se generalista o specialistica ad esempio, forse troppo presto da giudicare da questo primo numero. Che comunque mi pare  ben costruito, con diversi articoli di sicuro interesse, traduzioni di poeti stranieri come Eliza Macadan, interviste (come quella a Filippo Davoli), recensioni (come quella di Quinta Vez di M.P. Quintavalla), note su poeti come Rosewicz e Achmatova. Insomma, direi una buona partenza, mi pare con buone prospettive future.
Come assaggio pubblico qui, tratta da questo primo numero, una poesia di Martyn Crucefix, nella bella traduzione dell’amico Abele Longo, che anche  lo intervista. Martyn Crucefix è nato nel 1956 a Trowbridge nel Wiltshire, è autore di sette raccolte poetiche, docente di letteratura e traduttore tra gli altri di Rilke, nonché un conoscitore dell’Italia, soprattutto delle Marche, che hanno ispirato la sua ultima silloge di sonetti “O. at the hedge of the gorge” (O. ai margini della gola).

Rinnovamento vicino Sansepolcro

La terrazza dove ho scelto di leggere ogni cosa
ruota intorno a me

con la furia di una fiamma ossidrica
lo sfarfallio di una candela fino a perdermi

nelle caverne azzurre d’ombra sotto al fico
il ricamo della rondine giù nella valle

la nuotatrice pallida che solleva sul dorso
le tracce della sua scia sull’acqua

su e giù per la piscina sotto i fili pendenti
di una sfilza verde

di pali del telegrafo — fredde chiamate chiuse
nel rincorrersi di voci in celle climatizzate

incurante dei morsi della calura —
fino a quando non sento i piedi di lei sfiorare

il viottolo rovente fino a quando non sento il rumore
di una foglia o il mormorio

delle formiche esplorare il manto peloso dei miei piedi
o la cartolina che lei ha comprato

stamattina e uso come segnalibro —
lo sguardo esoftalmico

del Cristo risorto di Piero come un nuotatore
in una sottoveste rosa scollata

come un muratore con il piede piantato fermo
sulla tomba risorto come acqua di fonte

come una candela invernale la salda presa
sul vessillo dove da un lato vediamo

alberi spogli e dall’altro un creato di foglie

(Traduzione Abele Longo, 2019)

 

 

The renovation near Sansepolcro

I choose the terrace from which to read everything
where it swivels towards me

with a fury of a blow-torch
the unevenness of a candle till I lose myself

in the caves of blue shadow beneath the fig tree
the swallow’s cross-stitch down the valley

the pale swimmer’s supine turning to heave
the billow of her watery echo

up and down the pool beneath the wires hanging
slack from the green parade

of telegraph poles—the cold calls locked inside
the surfing of voices in air-conditioned cells

oblivious to the baying of this heat—
until I hear her feet as she brushes hot stones

along the path until I listen to the noise
one leaf makes or the whisper

of ants exploring the hairy terrain of my feet
or the picture postcard she bought

this morning I use for a bookmark—
the hyperopthalmic gaze

of Piero’s risen Christ standing like a swimmer
in his off-the-shoulder pink shift

like a builder with one foot planted firm and flat
on the tomb he rises like spring-water

like a wintry candle his firm grip
on the flagged staff where to one side of him

stand winter trees to the other worlds of leaf