
Consideriamo innanzitutto, per chi non la conosce, la struttura del libro. Organizzato in due sezioni, Dispositivi del poetico e Dispositivi della salute, il libro presenta in apertura due exerga di peso: il primo di Giorgio Agamben, l’altro di Amos Bianchi, due filosofi che affrontano il problema dei dispositivi come ideati da Foucault, il primo sottolineando la desoggettivazione che subisce l’individuo contemporaneo da parte del potere, l’altro la soggettivazione come modellazione che rende non unici ma singoli e perciò ininfluenti. Ma cosa sono i dispositivi? Tutto quanto, dalle norme agli oggetti agli strumenti, dalle istituzioni alle regole, da un computer a un cellulare, un giornale, tutto quanto instauri una serie di rapporti di potere e dipendenze non eludibili (V. anche la voce su Wikipedia, per quanto carente), non necessariamente tecnicamente e chiaramente espressi (può essere qualcosa “tanto detto quanto non detto”, dice Foucault in una intervista del 1977) ma sempre aventi “una funzione eminentemente strategica”, che implica “una certa manipolazione dei rapporti di forza”.
Le due sezioni, come indicato dai titoli, prendono come “ispirazione” due aspetti che intersecano l’esperienza poetica (e filosofica) di Stefano e che diventano oggetto della sua speculazione (mi si passi il termine) in versi.