After BIL 2021: Giorgio Rafaelli – Ritorni, motivazione secondo classificato sez. C

Giorgio Rafaelli – Ritorni (motivazione secondo classificato BIL 2021 sez. C)

 

Si leggono tre poesie di uno sconosciuto, come avviene in questa sezione, poi un po’ ci si ragiona, si giunge a qualche convinzione, come nel caso di Giorgio Rafaelli. Nella cui poesia, mi è parso di capire, le evidenze, i fenomeni, i fatti, le circostanze dell’essere e così via non sono tanto spunti dello scrivere quanto riprove del pensare, giustificazione ed essenza, che in quello scrivere trovano semmai determinazione. Come se, insomma, la poesia preesistesse al caso, oppure, per usare una terminologia di Rafaelli, “presentisse” l’arrivo di qualcosa, fosse pure infinitesimale, che la renda necessaria, anzi giusta in una sua (cito) “sintassi del giorno”, in una sua – quindi – sistemazione nel tempo.

La poesia, in questi versi, dà ordine a qualcosa che – direbbe l’autore – coglie impreparato, certo, magari l’inatteso di un oggetto, ma nel senso di una meraviglia intelligente in cui spesso tempo e luogo si coagulano   in qualcosa  qualche volta di “inadatto”, oppure in mancate corrispondenze tra cose o persone (presenti o assenti o solo ricordate), non tra di loro ma rispetto, come dire, ad una loro collocazione esistenziale o meglio ancora, all’interno della storia particolare di ciascuno, oppure (cito) in “relazioni mai del tutto verosimili”, o là dove “le strade che si incrociano dei morti e dei vivi” lo fanno “con parole indistinguibili per gli uni e per gli altri”. Al fondo della poesia di Rafaelli mi sembra ci sia proprio un “fuori posto”, che non è quello dell’ incoerente disagio che si rinviene in tanta poesia letta in questo concorso, ma a me appare piuttosto una poetica, ovvero la convinzione che fuori posto convenga stare, che convenga sempre guardare alle cose da un punto decentrato ed ellittico, sfruttando il salto di potenziale poetico che c’è tra certo e incerto, tra ordinario e ordinato e dis-ordinario, tra atteso e subitaneo. Perciò nei testi che abbiamo letto troviamo certo dei momenti, limitati nel tempo e nel luogo, però non occasionali o statici o raffreddati nel ricordo, ma circostanze in qualche modo critiche, che cioè sarebbero di per sé banali se non comprendessero in nuce l’ispirazione (ma sì, usiamo questo termine desueto) di un qualche “segreto” che montalianamente debba essere custodito. Così l’arrivo in una stazione ferroviaria, un cambio stagionale degli armadi, una cornice fotografica appesa al muro non sono rivelazioni altro che del loro esistere, forse non epifanizzano nulla e non importa poi tanto, tuttavia la loro presenza è una soglia che va attraversata, è necessaria ad un tentativo di “mettere a posto”, fa da concreta sponda al poeta nella ricerca di un senso consonante, ricerca  che non è detto che vada – e anche questo forse non importa – a buon fine.

A tutto concorre la scrittura di Rafaelli, parole che non si compiacciono, parole tutt’altro che indistinguibili, anzi che si prendono una per una il loro spazio all’interno di testi a cui non importa l’estensione, il registro, la prosodia ma piuttosto la completezza, il compimento dell’idea. O meglio ancora la piena esplicitazione dell’interrogativo di cui è fatta molta buona poesia, secondo un percorso – forse non originale ma certo efficace – reattivo di fronte ai segnali, in cui cioè quel che c’è di oggettuale, quello che si percepisce come reale non è che pre-testuale rispetto ad un successivo sviluppo di un pensiero che  “sincronizza la ragione” alla poesia, e a cui importa non certo asserire quanto  esserci, essere qui in questi versi. Se poi conciliare in versi il disordine dell’ordinario non sempre è realizzabile, è un rischio che deve essere accettato e che fa parte di quell’angoscia (cioè di quel sentimento di fallacia) che è anche una sfida e che è insito in ogni scrittura di qualche valore. (g.cerrai – nota già pubblicata senza testi sul sito di BIL)

.Ritorni


Annuisci con gli occhi scontando l’evidenza

che i gesti, altro da noi, non assecondano.
Le mani veloci nella borsa,
la banchina che sente prima il treno
ritornare comunque, e tu con esso
all’abitudine allenata dai luoghi dove resti.
Cerchi di fare spazio
nell’intorno obbligato di un posto
mentre lo schermo nella mano apre
altro spazio che porta notizie
(i soldi che non bastano al mese
una cultura che brucia veloce
le relazioni mai del tutto verosimili)
e le strade che si incrociano
dei morti e dei vivi
(con parole indistinguibili
per gli uni e per gli altri)
dove provi a rincontrarti
tra nomi che non pensavi
e inghiotti con un sorso d’acqua
per subito rituffarti nello stesso elenco
tenuto nel presente
da un lessico emendato dal rimpianto.
L’arrivo in stazione sincronizza
la ragione all’altoparlante – scendi.
Continui poi quando torni
come sempre, nell’altra direzione
ad aggiungere e togliere,
aggiustando la sintassi del giorno
che si spegne con le domande intatte
convinta sia importante, comprendere
come.

 

L’armadio

Una mattina ho aperto l’armadio
e non c’era più corrispondenza
tra quello che entrava dalla finestra
e le maglie tra i ripiani
ormai alla rinfusa.
Da un po’ trascinavo la stagione
tra gli alti e bassi atmosferici
e d’umore, fino ad oggi
che il cambio non è più rinviabile
(con la maglia a cui pensavo la sera prima
evidentemente del tutto inadatta) –
sorprendendomi impreparato.

Tra le scatole fluisce efficiente
l’avvicendamento indispensabile
finché inatteso un capo, non mio
mi raggiunge da un angolo
(la luce del lampadario
non trova i colori sbiaditi,
ma un altro corpo ne riempie la taglia);
lo ripongo nello stesso angolo
e lascio che sedimentino i vestiti –
tra poco sarà tutto riordinato.

 

La cornice

Il quadro obliquo piega il muro
lo spigolo basso riduce a cornice

serve uno sforzo per risalire all’immagine
di una famiglia
quando era chiaro per ognuno il posto
tra i grigi
nel perimetro dello scatto.

La concitazione dei vicini che buca lo strato
(inadeguato per dare distanza)

sfoca (col suo sovrapporsi) l’idea della foto
fino al cellulare che spegne la trattativa.

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