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Rita Pacilio – Quasi madre, nota di Salvatore Contessini

Rita Pacilio - QUASI MADRE  - peQuod edizioni, 2022Rita Pacilio – QUASI MADRE  – peQuod edizioni, 2022

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.Questa silloge di Rita Pacilio proietta nuova luce sulla continuità poetica che le appartiene, e lo fa con impronte similari a una precedente: Gli imperfetti sono gente bizzarra. Come quella si presenta con un titolo singolare che apre le sue pagine a contenuti in direzione degli affetti, ad amori altri con i quali conviviamo a fianco nel corso della nostra esistenza e che ne plasmano la consistenza.

Si tratta di quegli affetti prossimi che stringono nel sangue, ai quali torniamo con i loro significati nei momenti di vuoto, quando in soccorso ci arriva la memoria liquida a occupare lo spazio libero che si è formato. In questo caso leggo un filo di continuità transumante che viaggia da fratello a madre e la lucida sensibilità del qui e ora a cui Rita ci ha abituato con i suoi testi artistici. La silloge appare come consapevole visione di quello che il dolore porta via e sottrae alla serenità, tinto di una rassegnazione che sbiadisce, diviene cognizione del percorso esistenziale assegnato e riguarda l’altro da noi.

Come rilevato da Piero Marelli nella postfazione, ciò avviene con una poesia calma in cui lo smarrimento denunciato viene presentato con delicatezza, mai con toni drammatici o risentiti, eppure fortemente cruenti in alcuni passi, capaci di parlare la lingua della profonda intimità che Rita immola, e che scuote il lettore. Continua a leggere

Sergio Carlacchiani – Poesie inedite, nota di Rita Pacilio

La poesia a voce alta, le parole trovatesergio carlacchiani

Inediti di Sergio Carlacchiani

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La parola poetica di Sergio Carlacchiani è posseduta da una forma emotiva efficace e originale che entra pienamente a contatto con il mondo. Spettatore e attore, l’autore tiene insieme interiorità e pensiero al fine di dispiegarsi per le strade della vita quotidiana, tra i fardelli della materia e dell’immaginazione visionaria. Lo fa con il desiderio di entrare in comunione con l’essenza umana al fine di riuscire a sopravvivere al dolore, alla superficialità, al disordine, alla caduta repentina e convulsa della nostra coscienza di fronte alla fragilità. I valori umani conducono ad aspettative che prevedono comportamenti e progetti a favore dell’amore e della comunanza con l’ambiente naturale. Carlacchiani si spoglia di fardelli biologici e ferite per sottostare alla bellezza dell’incontro con il divino, con il Padre. Pertanto, la paternità umana è una fase ciclica in cui la figliolanza si alterna in maniera paradossale al cambio repentino del ruolo. Figlio e Padre restano elementi di comparazione che si influenzano, si attraggono e si scontrano, proprio lì dove l’apertura dialogica consente l’eterno confronto. Il moto dell’anima confluisce nel flusso armonico della voce che si avvolge di potente respiro: l’autore ora scrive, ora declama* intrecciando tensioni che sprigionano pathos e risoluzioni esistenziali. (Rita Pacilio)

*vengono riportati in calce i link youtube per l’ascolto dei testi recitati dall’ autore.

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Paolo Ruffilli – Le cose del mondo, nota di Rita Pacilio

Paolo Ruffilli – Le cose del mondo (Poesie 1978-2019), Mondadori 2020Paolo Ruffilli - Le cose del mondo (Poesie 1978-2019), Mondadori 2020

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L’opera poetica Le cose del mondo di Paolo Ruffilli ristabilisce un legame importante tra poesia e società chiamando in causa la vicenda umana degli ultimi quarant’anni della storia e della letteratura. Ruffilli, attraverso la parola visionaria che tocca lirismi sapientemente strutturati sulla base di strofe agilmente rimate e ritmate, intesse e approfondisce un dialogo nuovo con i gusti, le epoche, la tradizione, il mondo. Le sette sezioni del libro indagano lo stupore, la totalità dell’essere, il viaggio e il naufragio disperato, il ritrovamento di dimensioni atemporali ed emblematiche che aprono la strada all’inquieto macrocosmo e a un cammino ancora da riformulare, da compiere. I fattori ambientali e affettivi riedificano parametri emozionali che si animano nella nominazione delle cose. Le cose esteriori, infatti, interagiscono con la vita riuscendo a creare un animismo percettivo con gli innumerevoli impulsi interiori dell’uomo che impara, con il tempo, a sublimare l’oggettivazione. Il fine ultimo della ‘grazia poetica’ è quello di giungere alla sacralità dei gesti simbolici personali, all’ammorbidimento delle ombre dei centri affollati e a edificare una notevole gamma di epicentri di pensiero per fermare un ciclo temporale abitudinario e infernale di ascendenza dantesca. Passato e presente si sovrappongono lì dove il padre e la figlia rimescolano una dimensione emotiva di straordinaria profondità grazie alle feconde figurazioni del ‘sentire’. Così le interrogazioni esistenziali di Paolo Ruffilli ospitano un rapporto interattivo tra poesia e realtà in cui le esperienze dell’autore vengono assorbite dall’umanità intera immedesimando tempo, memoria, intuizione dei nessi tra parola e reale e libertà di amare. (Rita Pacilio). Continua a leggere

Rita Pacilio – La venatura della viola, nota di R. Urraro

RITA PACILIO: La venatura della violaRITA PACILIO: La venatura della viola (Giuliano Ladolfi editore, Borgomanero, Novara, 2019)

(Giuliano Ladolfi editore, Borgomanero, Novara, 2019)

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Questa raccolta di versi di Rita Pacilio ruota intorno a un concetto-chiave: l’amore. Amore quasi francescano: amore simpatetico tra l’autrice e la natura, tra lei e il mondo; il che implica, come vedremo, un ottimistico, positivo sentimento della vita e del creato.

Simbolo di questa natura è la viola la quale è portata da Rita, attraverso un arricchimento semantico del segno, ad una straordinaria, polivalente, simbologia: simbolo, come dice lei stessa, di ciò che vi è, nella vita e nel mondo, di più “semplice” e “dolce”, e quindi viola come prodotto lieve e delicato, prodotto della natura che, nelle sue manifestazioni più belle e affascinanti, sa essere “gentile e calma”, come gentile e calma è la viola. E poiché non vive da sola, ma insieme alle sue “consorelle”, essa è anche simbolo della fratellanza, e quindi, di una società di uomini/fratelli che vivono in un mondo nel quale, come Rita afferma nel testo di pag. 44, “porti in rovina e chiusi come porte / rendono l’acqua inutile e il tramonto povero”, dove l’acqua non è un elemento che unisce porti lontani, ma addirittura elemento divisivo e campo di battaglia per meschini interessi politici. Ancora: la viola è anche simbolo puramente ed esplicitamente ecologico nella sua significanza più alta, come simbolo di quella natura alla quale noi uomini dovremmo essere più fedeli. Lo testimonia l’accorato messaggio di pag. 6: “Vi prego, usiamo buone maniere e tenerezza quando siamo di fronte a un albero, accarezziamolo…”.

Ma nella vita si trovano aspetti negativi, turbamenti che sconvolgono chi ha un suo mondo morale fatto di valori positivi. Le persone più sensibili avvertono profondamente, e a volte in modo lacerante, questa conflittualità. I poeti in modo particolare, dei quali si può dire tutto quello che si vuole, tranne che essi non abbiano una sensibilità particolare, antenne più pronte a captare le onde magnetiche che vengono dal mondo, oppure quello che De André chiama il “terzo occhio invincibile e speciale”, che consente di penetrare più a fondo di altri all’interno delle cose della vita e del mondo.

E Rita coglie nel mondo “incuria, abbandono, assenza, miseria umana” (p. 5). Sono cose alle quali ci si può abituare e accomodare. Ma davanti alle quali un poeta sente dentro di sé un moto di ribellione, ma non sorda ribellione passiva e improduttiva. Infatti Rita indica una via, un’altra possibilità, un’alternativa concreta e reale che possa dare un senso alla propria vita e a quella di tutti gli uomini.

Allora? L’alternativa che Rita sente di seguire e che indica anche agli altri, è quella dell’amore nella sua dimensione più generale, amore che si potrebbe definire “simpatia cosmica”: capacità di vivere con gli altri e per gli altri, ma soprattutto consapevolezza di vivere insieme agli altri. Sì, soprattutto: “insieme”, come la nostra poetessa suggerisce richiamando alla memoria, a pag. 7, la canzone della nonna: Le viole come fanno? / Stanno tutte insieme”: che diventa anche la proposta della nostra poetessa.

Certo, il richiamo alla leopardiana “social catena”, alla solidarietà universale contro lo strapotere della Natura, sembra ovvio, ma Rita indica in quell’“insieme” la necessità non solo della umana solidarietà, ma anche di combattere contro la malvagità degli uomini, contro il negativo dei loro comportamenti e contro i danni che essi provocano alla nostra casa comune.

Questo può essere il semplice sentimento dell’individuo, un amore empatico, una simpatia cosmica che lo proietta in una dimensione di vita associata avvertita come ineludibile necessità del vivere e del realizzarsi. Ma al poeta, a Rita, non può bastare, e difatti non basta: di qui la necessità, il bisogno di esprimere e comunicare sentimenti e idee affiché diventino patrimonio comune degli individui: bisogno di fissarli sulla carta, per mezzo dell’espressione poetica, quella fatta con le parole, che non devono essere le parole degli altri, le parole di tutti, usurate da un uso spesso disattento e spesso improprio, ma le parole del poeta, che hanno una loro originalità e perciò stesso suscitano in chi le legge o ascolta un’attenzione particolare perché creano in lui uno stravolgimento inatteso che lo spinge alla meditazione e, magari, alla condivisione di esse.

Allora? Necessità di una espressione consapevole, e quindi di una selezione linguistica adeguata ad esprimere i concetti elaborati. È lì la sostanza del lavoro del poeta, e quindi la sostanza stessa delle cose. Non per niente Heidegger diceva che “il linguaggio è la casa dell’essere”, la casa dove abita la lingua del poeta, cioè quella lingua senza la quale il poeta vagherà nelle sue incertezze o nella sua inutilità. E Rita cerca un linguaggio poetico come strada alternativa alla degradazione umana. È proprio nel linguaggio poetico quella che io ritengo la più importante connotazione della vita del poeta: la parola originale, nella quale si invera la “libertà” come forma del vivere non condizionato da ciò che risulta incompatibile con noi.

E il linguaggio di Rita corrisponde alla scelta ideologica, cioè alla struttura contenutistica della sua poesia: ha cercato, come lei stessa afferma a pag. 5, la risposta alla “bruttura della vita” nella “semplicità e nella dolcezza di un piccolo fiore”, la viola, da amare e coltivare con cura; e così ha scelto, e ha trovato, un linguaggio corrispondente, un linguaggio “semplice” e “dolce” (che non significa linguaggio “facile”), un linguaggio semplice e dolce che le consentisse di dire, senza inutili tortuosità e senza quella ricercata oscurità cara a molti poeti di oggi, ma nelle forme più esplicite possibili, i suoi contenuti ideologici. E difatti si può dire, come Rita stessa afferma, che qui, in questa raccolta, davvero “maneggia la parola poetica per trovare la strada possibile da percorrere quando non ci si arrende all’incuria, all’abbandono, all’assenza, alla miseria umana” (p. 5). (raffaele urraro)
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Anna Maria Curci – Nei giorni per versi, nota di Rita Pacilio

Nei giorni per versi di Anna Maria Curci – Arcipelago Itaca Edizioni, 2019anna maria curci - nei giorni per versi

Le quartine in endecasillabo di Nei giorni per versi di Anna Maria Curci tracciano una mappa poetica che indaga meticolosamente la parola per aprire strade al lettore – oserei dire, voragini – nella conoscenza e nell’inconoscibile. Ciò accade sapientemente sfrondando le interpretazioni dei segni superflui che oscurerebbero la direzione verso la verifica dell’animo umano e si compie con estrema lucida sintesi per afferrarne la sostanza. Figlia adulta della Poesia, l’autrice, mette le mani nella sua coscienza pensante (nell’introduzione ci parla di un percorso intimo, un diario dal 2013 al 2019), in un lasso temporale in cui l’illuminazione del senso riconosce alla memoria la verità fragile degli accadimenti esistenziali (… mutevole com’ero e come sono). Il ritmo metrico delle centosettantatré poesie diventa l’espressione limpida di ogni cosa a cui viene assegnato un posto agibile, un nome alternativo, uno sguardo garbato, un luogo di esecuzione devoto all’arrivo e alla partenza dell’esistente: Un file sbagliato annesso ad un messaggio/mi porta indietro all’epoca glaciale./Indietro o avanti? Mentre righe scrollo/m’avvedo: pozza immota è quello spazio. Il segreto delle parole forgiano la struttura linguistica custodendo l’ideale del reale e i fondamenti invisibili. Le chiuse sono tuoni che risuonano la necessità di una condizione umana non riscattata (… la bottega di sogni a cielo aperto), una dimora esistenziale mai definitiva (… saprai che la tua casa non è il mondo), il rovesciamento feroce e universale di un’attesa (… è l’allarme perpetuo e ignorato). (rita pacilio)

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Andrea Galgano – Non vogliono morire questi canneti (nota di Rita Pacilio)

Non vogliono morire questi canneti di Andrea Galgano (Capire Edizioni, 2019)


Le poesie di Andrea Galgano sono tappe di vita e fanno parte esse stesse di un sentiero organico vivente che consente al lettore di addentrarsi in luoghi e circostanze terrestri vorticando nella generosa e imprevista quotidianità naturale. Gli spazi materiali che abitiamo parlano di noi, di ogni essere umano ed è sorprendente quanto sia forte il rapporto che le persone hanno con la società e le cose. I territori, infatti, hanno il compito di incanalare l’energia psichica delle proprie creature verso finalità che danno senso alla vita plasmando, a volte, l’identità di chi le usa. In essi si annidano le esperienze umane, i dolori, i ricordi. Le pagine della raccolta poetica Non vogliono morire questi canneti suggestionano l’animo di chi legge, perché capaci di unire in profondità l’immagine al pensiero. Una testimonianza sacra che, attraverso un linguaggio autentico e raffinato, parte dal basso, dai vicoli, dalla terra più abbandonata e/o da luoghi evoluti e conosciuti, fino a raggiungere verticalmente il sublime del creato. Una dichiarazione poetica di resistenza, dunque, grazie al rinnovamento interiore dell’uomo e alla forte relazione con la storia e con la memoria del mondo. (rita pacilio)

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