La poesia della negritudine, a cura di Emanuele Pini

Aimé Cesaire da giovane

Una foto giovanile di Aimé Cesaire

POESIE DI NEGRITUDINE

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La poesia è un animale piuttosto strano, che nessuno ha mai saputo domare davvero. Nessuno infatti sa ancora dire con esattezza quali siano le sorgenti da cui scaturisca, eppure sgorga e talvolta capita persino che questa creatura nasca da una lontananza. Spesso la parola stessa è generata da questa mancanza, un abisso tra il proprio mondo intimo e una realtà concreta, brutale.

Una condanna all’esilio ha così ispirato celeberrimi artisti come Omero, Dante, Foscolo e via, ce n’è da spellarsi le mani a cavar fuori esempi dalla letteratura, tanto che possiamo distinguere anche nel XX secolo un’intera corrente poetica segnata da questa condizione: la poesia della Negritudine, una poesia dell’esilio.

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Dopo il fosco periodo della colonizzazione, dalla metà del ‘900 infatti si concede via via, anche grazie ai compromessi politici della Guerra Fredda, l’indipendenza a molti Paesi di quello che per l’appunto verrà soprannominato “Terzo Mondo”. È durante questo complesso e variegato processo di decolonizzazione che gli intellettuali gridano con orgoglio che l’uomo bianco non ha civilizzato, ma ha conquistato e poi dominato, fino a imporre modelli a una cultura preesistente, una ricca cultura umiliata e via via depredata.

Siamo solo nel 1936 quando Aimé Cesaire, poeta surrealista della Martinica, conia questo termine e intorno a lui a Parigi si forma un gruppo tanto solido quanto eterogeneo, che fonda la rivista Lo Studente Nero.

Tra le pagine di questa rivista si può leggere una delle prime poesie di Léopold Sédar Senghor, un giovane senegalese studente di Lettere; questo testo era intitolato Il ritratto:

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Lui ancora non conosce

L’ostinazione del mio rancore acuita dall’inverno

Né la necessità della mia Negritudine tiranna” […].

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Ecco, la Negritudine è questa fierezza delle popolazioni nere, che riconoscono il valore della loro civiltà, della loro storia e delle loro tradizioni o, con le parole di Aimé Césaire:

La Negritudine è la semplice consapevolezza del fatto d’essere nero e l’accettazione di questo fatto, del nostro destino di Nero, della nostra storia e della nostra cultura”.

Per circoscrivere meglio questa definizione ci viene incontro un altro intellettuale, un altro personaggio di primo piano nel panorama della decolonizzazione, Léopold Senghor, che afferma: “Ecco quali sono i valori fondamentali della Negritudine: un raro dono d’emozione, un’ontologia esistenziale e unitaria, che giunge, attraverso un surrealismo mistico, all’arte impegnata e funzionale, collettiva e attuale, di cui lo stile è caratterizzato dall’immagine analogica e dal parallelismo asimmetrico”.

Esistenzialismo, surrealismo, impegno civile, comunità: parole chiave non casuali, se si pensa che lo stesso Jean-Paul Sartre[1] vede nella poesia nera di lingua francese la sola grande poesia rivoluzionaria del proprio tempo. Ritornano così nella sua analisi gli stessi termini: arte efficace e pragmatica, sociale e collettiva, ma anche dotata di una lingua autentica, ispirata, tanto da essere descritta come poetica “evangelica”, in quanto, partendo da un esilio, annuncia la buona novella ai popoli.

Quale buona novella? La Negritudine è ritrovata.

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A cosa mira questa Rivoluzione della Negritudine? Solo pura nudità, ritrovare quell’autenticità intima che si è contaminata col tempo, si tratta dunque di spegnersi nella cultura bianca per rinascere all’anima nera.

Potremmo dire semplicemente che l’obiettivo di questa poetica di denuncia consiste nella riappropriazione del proprio mondo lontano, come il ritorno da un esilio senza memoria.

Molti sono i suoi cantori, molti ancora la cantano anche oggi, senza bisogno di averne sentito parlare: i nomi più ripetuti sono appunto quelli di Senghor, che diventerà il primo nero all’Académie Française e primo presidente del Senegal indipendente, di Léon Gontran Damas dalla Guyana francese o di Aimé Césaire: il “Grande Poeta Nero”, lo descrisse André Breton nel 1943.

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A partire da questo stesso neologismo infatti si possono rintracciare poteri e limiti di questo gruppo: una poetica identitaria di liberazione definita attraverso una parola francese, un vocabolo creato seguendo le regole più comuni della grammatica di questa lingua colonizzatrice. Si può dire, come sostenuto da numerosi autori neri successivi, che questa stessa esperienza era organizzata secondo gli stereotipi, le categorie dei bianchi o, citando il poeta nigeriano Wole Soyinka, che: “la tigre non proclama la sua tigritudine; essa assale la sua preda e la divora”. D’altronde, se questa poesia nera non è risultata immune dall’influenza della cultura occidentale, simmetricamente è indiscutibile quanto l’arte europea del XX secolo ha subito il fascino dell’arte africana, come testimoniato dai saggi di Tristan Tzara o André Breton, dagli studi di Picasso o Matisse.

 

Aimé Cesaire

 

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Il movimento della Negritudine rappresenta così una lotta culturale per l’emancipazione, ma che germina attraverso il mondo bianco: è solo il conflitto con l’altro che genera il concetto dell’io, del noi. Se dunque l’esilio dalla propria casa è la madre di questa poesia, la durezza di una nuova terra inesplorata ne è il padre.

È anche per questo dunque che in questi versi l’uomo bianco, il colonizzatore è presente come un personaggio costante, anche nella sua assenza.

La riappropriazione del passato e del proprio orgoglio avviene solo attraverso il riconoscimento del presente, la consapevolezza di questa nuova identità, poiché non è più possibile essere solamente figli devoti della tradizione e neppure essere totalmente assimilati a un nuovo mondo straniero.

Senza più una dimora, si ha unicamente una casa possibile: la Negritudine.

Questo è il motivo per cui la gioventù nera volta le spalle alla tribù degli Anziani. La Vecchia Tribù dice: Assimilazione. Noi rispondiamo: risurrezione.

Cosa vuole la gioventù nera? Vivere. Ma per vivere davvero, bisogna rimanere se stessi. I giovani Negri di oggi non vogliono né schiavitù né “assimilazione”, vogliono emancipazione” (A. Césaire).

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Se, come scrisse Magritte, “il valore reale dell’arte è in funzione del suo potere di rivelazione liberatrice”, è perciò attraverso l’arte che è possibile fondare questa nuova casa comune.

Ovviamente, caro lettore, ci sentiamo impreparati ad approcciare questi testi di un mondo che ci brilla lontano, oltre gli oceani delle nostre quotidianità: credo che questo debba essere inevitabilmente la prima porta da varcare e io sono il primo a essermi messo in discussione per queste mie traduzioni.

Questo timore tuttavia si scioglie rapidamente nel momento in cui, attraversando una seconda porta, leggiamo i versi, le lacrime, gli amori di questi uomini e, in questo inchiostro, ritroviamo la stessa vita che attraversa noi. In fondo la diversità culturale non può essere barriera, quanto semplicemente uno strumento per ricomporre un panorama di cui siamo parte.

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Questi versi di vita siano canti anche per il nostro esilio.

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I TESTI

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La scelta dei testi tradotti ha seguito vari criteri: il primo è quello tematico, in modo da contemplare le differenti sfaccettature di questa realtà. Ci saranno dunque poesie d’amore, poesie di rivoluzione, ma anche versi quotidiani, in cui traspaiono tanto gli aspetti della tradizione indigena, come totem, animali protettori, elementi naturali, quanto tutti quegli elementi che rivelano una forte influenza della cultura occidentale, in particolar modo francese e surrealista.

Un elemento prezioso di questi testi è la compresenza appunto di immagini, oggetti, rimandi tradizionali a fianco di stili, poetiche europee contemporanee, il cui risultato non è uno straniamento del testo. Queste nuove melodie piuttosto mostrano l’ampiezza dei toni dello strumento artistico che, se poteva cantare la crisi tormentata dell’anima europea, può anche risuonare di savane, di elefanti, di feticci lontani.

Un secondo criterio che mi è sembrato opportuno scegliere è ovviamente quello stilistico, attraverso cui è possibile distinguere modelli, riferimenti, scritture variegati e molteplici.

Se alcuni autori infatti prediligono una più lirica e narrativa, come Senghor o Tirolien, altri invece fanno scelte più audaci e innovative, vicine al surrealismo francese e al modernismo.

L’ultimo criterio seguito è quello della peculiarità di questo movimento: tra questi testi ci sono perle celebri della poesia africana, ma anche versi meno conosciuti, soprattutto nel contesto italiano, che sono stati inseriti proprio perché conservano e testimoniano l’animo poetico tipico della Negritudine.

A voi la lettura, la scoperta, il giudizio. (emanuele pini)

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1.Léopold Sédar SENGHOR, FEMME NUE, FEMME NOIRE

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Femme nue, femme noire
Vétue de ta couleur qui est vie, de ta forme qui est beauté
J’ai grandi à ton ombre; la douceur de tes mains bandait mes yeux
Et voilà qu’au coeur de l’Eté et de Midi,
Je te découvre, Terre promise, du haut d’un haut col calciné
Et ta beauté me foudroie en plein coeur, comme l’éclair d’un aigle.

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Femme nue, femme obscure
Fruit mûr à la chair ferme, sombres extases du vin noir, bouche qui faislyrique ma bouche
Savane aux horizons purs, savane qui frémis aux caresses ferventes du Vent d’Est
Tamtam sculpté, tamtam tendu qui gronde sous les doigts du vainqueur
Ta voix grave de contralto est le chant spirituel de l’Aimée.

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Femme noire, femme obscure
Huile que ne ride nul souffle, huile calme aux flancs de l’athlète, aux flancs des princes du Mali
Gazelle aux attaches célestes, les perles sont étoiles sur la nuit de ta peau.
Délices des jeux de l’Esprit, les reflets de l’or ronge ta peau qui se moire
A l’ombre de ta chevelure, s’éclaire mon angoisse aux soleils prochains de tes yeux.

 

Femme nue, femme noire
Je chante ta beauté qui passe, forme que je fixe dans l’Eternel
Avant que le destin jaloux ne te réduise en cendres pour nourrir les racines de la vie.

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* Léopold Sédar SENGHOR, DONNA NUDA , DONNA NERA

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Donna nuda, donna nera

Vestita di quel tuo colore che è vita, di quelle tue forme che sono bellezza!

Sono cresciuto alla tua ombra; la dolcezza delle tue mani fasciava i miei occhi,

ed ecco che nel cuore dell’Estate e del Meriggio io ti scopro, Terra promessa, dall’alto di un alto collo carbone

e quella tua bellezza mi fulmina in pieno cuore, come il lampo di un’aquila.

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Donna nuda, donna oscura

Frutto matura dalla carne soda, scure estasi del vino nero, bocca che rende poesia la mia bocca

Savana dagli orizzonti tersi, savana che fremi alle calde carezze del Vento d’Oriente

Tamtam intagliato, tamtam teso che tuona sotto le dita del campione

La tua severa voce da contralto è il canto spirituale dell’Amata.

 

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Donna nuda, donna oscura

Olio che nessun soffio increspa, olio placido ai fianchi dell’eroe, ai fianchi dei prìncipi del Mali

Gazzella dalle briglie di cielo, quelle perle sono stelle sulla notte della tua pelle

Delizie dei giochi dell’anima, i riflessi dell’oro rosso sulla tua pelle che scintilla

All’ombra della tua capigliatura, s’illumina la mia angoscia ai soli tanto vicini dei tuoi occhi.

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Donna nuda, donna nera

Canto quella tua bellezza che passa, quelle forme che fisso nell’eternità

Prima che il destino geloso non ti riduca in cenere per nutrire le radici di una nuova vita.

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2.Léopold Sédar SENGHOR, MA NÉGRITUDE

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Ma Négritude point n’est sommeil de la race mais soleil de l’âme, ma négritude vue et vie
Ma Négritude est truelle à la main, est lance au poing
Réécade. Il n’est question de boire, de manger l’instant qui passe
Tant pis si je m’attendris sur les roses du Cap-Vert !
Ma tâche est d ‘éveiller mon peuple aux futurs flamboyants
Ma joie de créer des images pour le nourrir, ô lumières rythmées de la Parole !

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* Léopold Sédar SENGHOR, LA MIA NEGRITUDINE

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La mia Negritudine non è il sonno della razza, no, ma il sole dell’anima, la mia negritudine vista e vita

La mia Negritudine è un martello in mano, è una lancia in pugno

Come il bastone del messaggero. Non si tratta di bere, di mangiare l’istante che passa

Al diavolo se m’intenerisco per le rose di Capo Verde!

Il mio compito è di ridestare il mio popolo ai futuri sfolgoranti

La mia gioia creare delle immagini per nutrirlo, o luci ritmate della Parola!

 

Langston Hughes e Léon Gontram Damas

 

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3.Léopold Sédar SENGHOR, JE SUIS SEUL

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Je suis seul dans la plaine
Et dans la nuit
Avec les arbres recroquevillés de froid
Qui, coudes au corps, se serrent les uns tout contre les
autres.

 

Je suis seul dans la plaine
Et dans la nuit
Avec les gestes de désespoir pathétique des arbres
Que leurs feuilles ont quittés pour des îles d’élection.

Je suis seul dans la plaine
Et dans la nuit.
Je suis la solitude des poteaux télégraphiques
Le long des routes
Désertes.

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* Léopold Sédar SENGHOR, SONO SOLO

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Sono solo nella pianura

E nella notte

Con gli alberi rannicchiati di freddo

Che, coi gomiti serrati al corpo, si stringono gli uni tutti contro gli

Altri.

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Sono solo nella pianura

E nella notte

Con i gesti di disperazione patetica degli alberi:

Le loro foglie li hanno abbandonati per delle isole felici

lontane.

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Sono solo nella pianura

E nella notte

Io sono la solitudine dei pali del telegrafo

Lungo le strade

Deserte.

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4.Léopold Sédar SENGHOR, SPLEEN

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Je veux assoupir ton cafard, mon amour,
Et l’endormir,
Te murmurer ce vieil air de blues
Pour l’endormir.

 

C’est un blues mélancolique,
Un blues nostalgique,
Un blues indolent
Et lent.

Ce sont les regards des vierges couleur d’ailleurs,
L’indolence dolente des crépuscules.
C’est la savane pleurant au clair de lune,
Je dis le long solo d’une longue mélopée.

C’est un blues mélancolique,
Un blues nostalgique,
Un blues indolent
Et lent.

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* Léopold Sédar SENGHOR, SPLEEN

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Voglio addormentare il tuo tarlo, amore mio,

e assopirlo

mormorarti questa vecchia aria di blues

per addormentarlo

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È un blues di melanconia

Un blues di nostalgia

Un blues indolente

Lento.

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C’è dentro lo sguardo delle vergini colore d’altrove

L’indolenza dolente dei crepuscoli

C’è dentro la savana che piange al chiaro di luna,

dico dentro il lungo assolo d’una lunga cantilena.

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È un blues di melanconia

Un blues di nostalgia

Un blues indolente

Lento.

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5.Léopold Sédar SENGHOR, LE TOTEM

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Il me faut le cacher au plus intime de mes veines

L’Ancêtre à la peau d’orage sillonnée d’éclairs et de foudre

Mon animal gardien, il me faut le cacher

Que je ne rompe le barrage des scandales.

Il est mon sang fidèle qui requiert fidélité

Protégeant mon orgueil nu contre

Moi-même et la superbe des races heureuses…

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* Léopold Sédar SENGHOR, IL TOTEM

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Ho bisogno di nasconderlo nella più intima delle mie vene

L’Antenato dalla pelle d’uragano solcata da saette e fulmine

Il mio animale protettore, ho bisogno di nasconderlo

Che io non rompa la barriera degli scandali.

Lui è il mio sangue fedele che richiede fedeltà

Mentre protegge il mio orgoglio nudo contro

Me stesso e la più magnifica tra le razze felici…

 

Léopold Sédar Senghor

 

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6.Léopold Sédar SENGHOR, PRINTEMPS DE TOURAINE

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Mais moi

Plus faux qu’une maitresse je te sais,

Printemps de Touraine.

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Tu n’es qu’une pâle jeune fille

Aux yeux d’émail bleus,

aux poignets de lait blanc.

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Tu ne saurais résister à une seule torsion de ma main,

À une seule petite lame du raz de marée

Qui flue en mes veines, emportant digues, troupeaux et villages.

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Printemps de Touraine,

Je suis un sauvage, un

Violent.

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Printemps de Touraine,

Laisse-moi dormir.

On ne badine pas avec le Nègre.

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* Léopold Sédar SENGHOR, PRIMAVERA DI TURENNA

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Ma io

Più falsa di un’amante io ti sento,

Primavera di Turenna.

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Tu non sei che una giovane ragazza pallida

Dagli occhi smaltati azzurro

Dai polsi di latte bianco.

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Non sapresti resistere a una sola torsione della mia mano,

A una sola lama sottile dell’onda della mareggiata

Che scorre nelle mie vene, travolgendo dighe, truppe, villaggi.

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Primavera di Turenna,

Sono un selvaggio, un

Violento.

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Primavera di Turenna,

Lasciami dormire:

Non ci si ferma a scherzare con il Negro.

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7.Étienne LERO, SUR LA PRAIRIE

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Sur la prairie trois arbres prennent le thé

Tes mains sont cachées

Mes mains sont cachées

Une seule bouche et l’heure d’été

Laisse-moi jouer au jeu de l’habitude

Beau paquebot aux lignes de mes mains.

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* Étienne LERO, SUL PRATO

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Sul prato tre alberi prendono del the

Le tue mani sono nascoste

Le mie mani sono nascoste

Una sola bocca e l’ora dell’estate

Lasciami giocare al gioco dell’abitudine

Bel bastimento sulle rotte delle mie mani

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8.Étienne LERO, TOURNE…

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Tourne toujours

Moi seul ne vois point

Assez n’est cécité et cinéma

Monsieur asseyez-vous

Renée n’est pas venue

Je suis seul et tu es nue.

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* Étienne LERO, GIRA…

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Gira gira sempre gira

Solo io non vedo proprio

Non ce n’è abbastanza di cecità, di cinema

Signore si sieda

Renée non è venuta

Sono solo e tu sei nuda.

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9.Aimé CÉSAIRE, LA FEMME ET LE COUTEAU

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chair riche aux dents copeaux de chair sûre

volez en éclats de jour en éclats de nuit en baisers de vent

en étraves de lumière en poupes de silence

volez emmêlements traqués enclumes de la chair sombre volez
volez en souliers d’enfant en jets d’argent
volez et défiez les cataphractaires de la nuit montés sur leurs onagres

vous oiseaux

vous sang
qui a dit que je ne serai pas là ?

pas là mon cœur sans-en-marge

mon cœur-au-sans-regrets mon cœur à fonds perdus

et des hautes futaies de la pluie souveraine ?

 

nombres bijioux sacrés neiges éternelles glaçons tournois
il y aura des pollens des lunes des saisons au cœur de pain et de clarine
les hauts fourneaux de la grève et de l’impossible émettront de la salive des balles des orphéons des mitres des candélabres
ô pandanus muet peuplé de migrations
ô nils bleus ô prières naines ô ma mère ô piste
et le cœur éclaboussé sauvage
le plus grand des frissons est encore à fleurir
futile

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* Aimé CÉSAIRE, LA DONNA E IL COLTELLO

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carne ricca dai denti frammenti di carne sicura

volate in baleni di giorno in baleni di notte in baci di vento

In prore di luce in poppe di silenzio

volate grovigli braccati incudini della carne scura volate

volate in scarpe di bambino in getti d’argento

volate e sfidate le armature della notte montate sulle loro primule

voi uccelli

voi sangue

chi ha detto non sarò qui?

non qui il mio cuore lui-senza-confine

il mio cuore-il-senza-rimpianti il mio cuore a fondo perso

e dalle alte fustaie della pioggia sovrana?

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numeri gioielli consacrati nevi sempiterne ghiacci tornei

ci saranno dei pollini delle lune delle stagioni dal cuore di pane e di campanella

le alte fornaci dello sciopero e dell’impossibile rilasceranno della saliva delle pallottole dei coretti dei mitra dei candelabri

oh palma muta popolata da migrazioni

oh nili blu oh preghiere nane oh madre mia oh sentiero

e il cuore schizzato selvaggio

il brivido più grande deve ancora fiorire

futile.

 

Maschera Dan

 

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10.Aimé CÉSAIRE, LES OUBLIETTES DE LA MER ET DU DÉLUGE

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Jour ô jour de New York et de la Soukala
je me recommande à vous
à vous qui ne serez plus l’absurde jeu du sphinx à tête de mort et de l’eczéma rebelle
et le jour très simplement le jour
enlève ses gants
ses gants de vent bleu de lait cru de sel fort
ses gants de repos d’œuf de squale et d’incendie de paille noire
sécheresse
sécheresse
vous ne pourrez rien contre mes glandes aquifères
le ballet chimique des terres rares
la poudre des yeux finement pilés sous le bâton
les mouettes immobilement têtues des fuseaux et de l’eau
font l’inaltérable alliage de mon sommeil sans heure
sans heure autre que l’inapaisement de geyser de l’arbre du silence
sans heure autre que la catastrophe fraternelle aux cheveux d’hippocampe et de campêche
sans heure autre que mes yeux de sisal et de toile d’araignée
mes yeux de clef de monde et de bris de journée
où prendre la fièvre montée sur 300 000 lucioles
sans heure autre que les couteaux de jet du soleil lancés à toute volée
autour de l’encolure des climats
sans heure autre que les oiseaux qui picorent les biefs du ciel pour apaiser leur soif-de-dormir-dans-le-déluge
sans heure autre que l’inconsolable oiseau sang qui d’attendre s’allume dans l’agriculture de tes yeux à défaire le beau temps
sans heure autre que la voix fabuleuse des forêts qui gonflent subitement leur voilure dans les radoubs du marais et du coke
sans heure autre que l’étiage des lunaisons dans la cervelle comptable des peuples nourris d’insultes et de millénaires
sans heure autre oh ! sans heure autre que ton flegme taureau incorruptible
qui jamais ne neige d’appel plus salubre et mortel
que quand s’éveille des ruisseaux de mon écorce
épi et neuvaine du désastre (le vrai)
la femme
qui sur ses lèvres à boire berce le palanquin des oubliettes de la mer

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* Aimé CÉSAIRE, I DIMENTICATOI DEL MARE E DEL DILUVIO

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Giorno oh giorno di New York e delle nostre capanne

mi raccomando a voi

a voi che non sarete più l’assurdo gioco della sfinge dalla testa di morto, dalla lebbra ribelle

e il giorno molto semplicemente il giorno

si toglie i suoi guanti

i suoi guanti di vento azzurro di latte crudo di sale pungente

i suoi guanti di riposo di uovo di pescecane e d’incendio di paglia nera

siccità

siccità

non potrete nulla contro le mie ghiande acquifere

il balletto chimico delle terre rare

la polvere degli occhi finemente pestati sotto il bastone

i gabbiani fissamente ostinati per i fusi e per l’acqua

costituiscono l’immutabile lega del mio sonno senza tempo

senza altro tempo che l’inappagamento del geyser dell’albero del silenzio

senza altro tempo che la catastrofe fraterna dai capelli d’ippocampo e di campeccio

senza altro tempo che i miei occhi d’agave e di ragnatela

i miei occhi come chiave del mondo e come frattura del giorno

dove prendere la febbre salita su 300000 lucciole

senza altro tempo che i coltelli di getto del sole lanciati al volo

attorno alla scollatura dei climi

senza altro tempo che gli uccelli che beccano le radure del cielo per placare la loro sete-di-dormire-nel-diluvio

senza altro tempo che lo sconsolato uccello sangue che d’attendere s’accende nell’agricoltura dei tuoi occhi per guastare la bella stagione

senza altro tempo che la voce favolosa delle foreste che gonfiano d’un tratto le loro vele nei carenaggi della palude e del carbone

senza altro tempo che la carestia delle lunazioni nel cervello

senza altro tempo che oh! senza altro tempo che la tua flemma toro eterno

che non nevica mai di una chiamata più salubre e mortale

che quando si desta dai torrenti della mia scorza

spiga e novena del disastro (il vero)

la donna

che sulle sue labbra da bere dondola la culla degli oblii del mare.

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11.Aimé CÉSAIRE, TAMTAM I, à Benjamin Péret

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à même le fleuve de sang de terre
à même le sang de soleil brisé
à même le sang d’un cent de clous de soleil
à même le sang du suicide des bêtes à feu
à même le sang de cendre le sang de sel le sang des sangs
d’amour à même le sang incendié d’oiseau feu
hérons et faucons
montez et brûlez

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* Aimé CÉSAIRE, TAMTAM I, a Benjamin Péret

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in grado il fiume di sangue di terra

in grado il sangue del sole infranto

in grado il sangue di una centinaia di chiodi di sole

in grado il sangue del suicidio delle bestie da fuoco

in grado il sangue di cenere il sangue di sale il sangue dei sangui

d’amore in grado il sangue avvampato d’uccello fuoco

aironi e falconi

salite e bruciate

 

Maschera Woyo

 

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12.Aimé CÉSAIRE, da Cahier d’un retour au pays natal

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ma négritude n’est pas une pierre, sa surdité
ruée contre la clameur du jour

ma négritude n’est pas une taie d’eau morte ruée contre la clameur du jour

ma négritude n’est pas une taie d’eau morte

sur l’oeil mort de la terre

ma négritude n’est ni une tour ni une cathédrale

elle plonge dans la chair rouge du sol

elle plonge dans la chair ardente du ciel

elle troue l’accablement opaque de sa droite patience.

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* Aimé CÉSAIRE, da Quaderni di un ritorno al paese natale

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la mia negritudine non è una pietra, la sua sordità

scagliata contro il clamore del giorno

la mia negritudine non è una federa d’acqua morta scagliata contro il clamore del giorno

la mia negritudine non è una federa d’acqua morta

sull’occhio morto della terra

la mia negritudine non è né una torre né una cattedrale

s’immerge nella carne rossa del sole

s’immerge nella carne ardente del cielo

scava l’oppressione opaca della sua retta pazienza

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13.Guy TIROLIEN, PRIÈRE D’UN PETIT ENFANT NÈGRE

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Seigneur, je suis très fatigué.
Je suis né fatigué.
Et j’ai beaucoup marché depuis le chant du coq
Et le morne est bien haut qui mène à leur école.

Seigneur, je ne veux plus aller à leur école,
Faites, je vous en prie, que je n’y aille plus.

Je veux suivre mon père dans les ravines fraîches
Quand la nuit flotte encore dans le mystère des bois
Où glissent les esprits que l’aube vient chasser.
Je veux aller pieds nus par les rouges sentiers
Que cuisent les flammes de midi,
Je veux dormir ma sieste au pied des lourds manguiers,
Je veux me réveiller
Lorsque là-bas mugit la sirène des blancs
Et que l’Usine
Sur l’océan des cannes
Comme un bateau ancré
Vomit dans la campagne son équipage nègre…

Seigneur, je ne veux plus aller à leur école,
Faites, je vous en prie, que je n’y aille plus.  
 

Ils racontent qu’il faut qu’un petit nègre y aille
Pour qu’il devienne pareil
Aux messieurs de la ville
Aux messieurs comme il faut.
Mais moi, je ne veux pas
Devenir, comme ils disent,
Un monsieur de la ville,
Un monsieur comme il faut.

Je préfère flâner le long des sucreries
Où sont les sacs repus
Que gonfle un sucre brun autant que ma peau brune.
Je préfère, vers l’heure où la lune amoureuse
Parle bas à l’oreille des cocotiers penchés,
Ecouter ce que dit dans la nuit
La voix cassée d’un vieux qui raconte en fumant
Les histoires de Zamba et de compère Lapin,
Et bien d’autres choses encore
Qui ne sont pas dans les livres.

Les nègres, vous le savez, n’ont que trop travaillé.
Pourquoi faut-il de plus apprendre dans des livres
Qui nous parlent de choses qui ne sont point d’ici ?

Et puis elle est vraiment trop triste leur école,
Triste comme
Ces messieurs de la ville,
Ces messieurs comme il faut
Qui ne savent plus danser le soir au clair de lune
Qui ne savent plus marcher sur la chair de leurs pieds
Qui ne savent plus conter les contes aux veillées.

Seigneur, je ne veux plus aller à leur école !

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* Guy TIROLIEN, PREGHIERA DI UN PICCOLO BAMBINO NEGRO

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Signore, sono stanco morto

Sono nato stanco

E ho camminato molto dal canto del gallo

Ed è così alta la nausea che porta alla loro scuola.

Signore, non voglio più andarci alla loro scuola,

Fate in modo che non ci vada più, ti prego.

Io voglio seguire mio padre nelle cave umide

Quando ancora la notte si libra nel mistero dei boschi
Dove scivolano gli spiriti che l’alba sta scacciando.

Io voglio andare a piedi nudi per i rossi sentieri

Cotti dalle fiamme del meriggio.

Voglio dormire la mia siesta ai piedi dei pesanti tronchi di mango,

voglio risvegliarmi

quando là mugghia la sirena dei bianchi

e quando la Fabbrica

sull’oceano dei canneti

Come una barca ancorata

Vomita nella campagna il suo equipaggio negro…

Signore, non voglio più andarci alla loro scuola,

Fate in modo che non ci vada più, ti prego.

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Raccontano che bisogna che un bambino negro ci vada

Per diventare pari

Ai signori della città

Ai signori come si deve.

Ma io no, io non voglio

Diventare, come dicono quelli,

un signore della città,

un signore come si deve.

Preferisco girare a zonzo lungo dei zuccherifici

Dove sono i sacchi sazi

Pieni di uno zucchero scuro come la mia pelle scura.

Preferisco, verso l’ra dove la luna innamorata

Sussurra all’orecchio delle palme da cocco chine,

Ascoltare quello che dice nella notte

La voce rotta d’un vecchio che fumando racconta

Le storie di Zamba e del compagno Lepre,

e molte altre cose ancora

che non sono nei libri.

I negri, lo sapete, non hanno fatto altro che faticare.

Perché bisogna per di più imparare da dei libri

Che ci parlano di cose che non sono nemmeno qui?

E poi la loro scuola è veramente troppo triste,

triste come

questi signori della città,

questi signori come si deve

che non sanno più danzare la sera al chiaro di luna

che non sanno più marciare sulla carne viva dei loro piedi

che non sanno più raccontare i racconti durante le veglie.

Signore, io non voglio andarci alla loro scuola!

 

Feticcio congolese “nkisi”

 

.

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14.David DIOP, LE TEMPS DU MARTYRE

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Le Temps du Martyr 
Le Blanc a tué mon père
Car mon père était fier
Le Blanc a violé ma mère
Car ma mère était belle
Le Blanc a courbé mon frère sous le soleil des routes
Car mon frère était fort
Puis le Blanc a tourné vers moi
Ses mains rouges de sang noir 
M’a craché son mépris au visage
Et sa voix de maître :
« Hé boy, un balai, une serviette, de l’eau ! »

.

* David DIOP, IL TEMPO DEL MARTIRE

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Il Tempo del Martire

Il Bianco ha ucciso mio papà

Perché mio papà era fiero

Il Bianco ha violentato mia mamma

Perché mia mamma era bella

Il Bianco ha piegato mio fratello sotto il sole delle strade

Perché mio fratello era forte

Poi il Bianco si è rivolto verso di me

Le sue mani rosse di sangue nero

Mi ha sputato in faccia il suo disprezzo

E la sua voce di padrone:

“Hey boy, una ramazza, un panno, dell’acqua!”

.

15.Léon Gontram DAMAS, ILS SONT VENUS CE SOIR

.

Ils sont venus ce soir où le
tam
  tam
    roulait de
        rythme en
            rythme
              la frénésie
des yeux
la frénésie des mains la frénésie
des pieds de statues
DEPUIS
combien de MOI MOI MOI
sont morts
depuis qu’ils sont venus ce soir où le
tam
  tam
    roulait de
        rythme en
            rythme
              la frénésie
des yeux
la frénésie des mains la frénésie
des pieds de statues

.

* Léon Gontram DAMAS, SONO ARRIVATI QUELLA SERA

.

Sono arrivati quella sera in cui il

tam

  tam

    scorreva di

        ritmo in

            ritmo

              la frenesia

degli occhi

la frenesia delle mani la frenesia

dei piedi di statue

DA ALLORA

quanti ME

sono morti

da quanto sono arrivati quella sera in cui il

tam

  tam

    scorreva di

        ritmo in

            ritmo

              la frenesia

degli occhi

la frenesia delle mani la frenesia

dei piedi di statua.

 

Emanuele Pini – Senza titolo

 

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  1. J.-P. Sartre, Orphée Noir, introduzione ad Anthologie de la nouvelle poésie nègre et malgache de langue française, 1948, pag. XII.

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