POESIE DI NEGRITUDINE
La poesia è un animale piuttosto strano, che nessuno ha mai saputo domare davvero. Nessuno infatti sa ancora dire con esattezza quali siano le sorgenti da cui scaturisca, eppure sgorga e talvolta capita persino che questa creatura nasca da una lontananza. Spesso la parola stessa è generata da questa mancanza, un abisso tra il proprio mondo intimo e una realtà concreta, brutale.
Una condanna all’esilio ha così ispirato celeberrimi artisti come Omero, Dante, Foscolo e via, ce n’è da spellarsi le mani a cavar fuori esempi dalla letteratura, tanto che possiamo distinguere anche nel XX secolo un’intera corrente poetica segnata da questa condizione: la poesia della Negritudine, una poesia dell’esilio.
Dopo il fosco periodo della colonizzazione, dalla metà del ‘900 infatti si concede via via, anche grazie ai compromessi politici della Guerra Fredda, l’indipendenza a molti Paesi di quello che per l’appunto verrà soprannominato “Terzo Mondo”. È durante questo complesso e variegato processo di decolonizzazione che gli intellettuali gridano con orgoglio che l’uomo bianco non ha civilizzato, ma ha conquistato e poi dominato, fino a imporre modelli a una cultura preesistente, una ricca cultura umiliata e via via depredata.
Siamo solo nel 1936 quando Aimé Cesaire, poeta surrealista della Martinica, conia questo termine e intorno a lui a Parigi si forma un gruppo tanto solido quanto eterogeneo, che fonda la rivista Lo Studente Nero.
Tra le pagine di questa rivista si può leggere una delle prime poesie di Léopold Sédar Senghor, un giovane senegalese studente di Lettere; questo testo era intitolato Il ritratto:
“Lui ancora non conosce
L’ostinazione del mio rancore acuita dall’inverno
Né la necessità della mia Negritudine tiranna” […].
Ecco, la Negritudine è questa fierezza delle popolazioni nere, che riconoscono il valore della loro civiltà, della loro storia e delle loro tradizioni o, con le parole di Aimé Césaire:
“La Negritudine è la semplice consapevolezza del fatto d’essere nero e l’accettazione di questo fatto, del nostro destino di Nero, della nostra storia e della nostra cultura”.
Per circoscrivere meglio questa definizione ci viene incontro un altro intellettuale, un altro personaggio di primo piano nel panorama della decolonizzazione, Léopold Senghor, che afferma: “Ecco quali sono i valori fondamentali della Negritudine: un raro dono d’emozione, un’ontologia esistenziale e unitaria, che giunge, attraverso un surrealismo mistico, all’arte impegnata e funzionale, collettiva e attuale, di cui lo stile è caratterizzato dall’immagine analogica e dal parallelismo asimmetrico”.
Esistenzialismo, surrealismo, impegno civile, comunità: parole chiave non casuali, se si pensa che lo stesso Jean-Paul Sartre[1] vede nella poesia nera di lingua francese la sola grande poesia rivoluzionaria del proprio tempo. Ritornano così nella sua analisi gli stessi termini: arte efficace e pragmatica, sociale e collettiva, ma anche dotata di una lingua autentica, ispirata, tanto da essere descritta come poetica “evangelica”, in quanto, partendo da un esilio, annuncia la buona novella ai popoli.
Quale buona novella? La Negritudine è ritrovata.
A cosa mira questa Rivoluzione della Negritudine? Solo pura nudità, ritrovare quell’autenticità intima che si è contaminata col tempo, si tratta dunque di spegnersi nella cultura bianca per rinascere all’anima nera.
Potremmo dire semplicemente che l’obiettivo di questa poetica di denuncia consiste nella riappropriazione del proprio mondo lontano, come il ritorno da un esilio senza memoria.
Molti sono i suoi cantori, molti ancora la cantano anche oggi, senza bisogno di averne sentito parlare: i nomi più ripetuti sono appunto quelli di Senghor, che diventerà il primo nero all’Académie Française e primo presidente del Senegal indipendente, di Léon Gontran Damas dalla Guyana francese o di Aimé Césaire: il “Grande Poeta Nero”, lo descrisse André Breton nel 1943.
A partire da questo stesso neologismo infatti si possono rintracciare poteri e limiti di questo gruppo: una poetica identitaria di liberazione definita attraverso una parola francese, un vocabolo creato seguendo le regole più comuni della grammatica di questa lingua colonizzatrice. Si può dire, come sostenuto da numerosi autori neri successivi, che questa stessa esperienza era organizzata secondo gli stereotipi, le categorie dei bianchi o, citando il poeta nigeriano Wole Soyinka, che: “la tigre non proclama la sua tigritudine; essa assale la sua preda e la divora”. D’altronde, se questa poesia nera non è risultata immune dall’influenza della cultura occidentale, simmetricamente è indiscutibile quanto l’arte europea del XX secolo ha subito il fascino dell’arte africana, come testimoniato dai saggi di Tristan Tzara o André Breton, dagli studi di Picasso o Matisse.
Il movimento della Negritudine rappresenta così una lotta culturale per l’emancipazione, ma che germina attraverso il mondo bianco: è solo il conflitto con l’altro che genera il concetto dell’io, del noi. Se dunque l’esilio dalla propria casa è la madre di questa poesia, la durezza di una nuova terra inesplorata ne è il padre.
È anche per questo dunque che in questi versi l’uomo bianco, il colonizzatore è presente come un personaggio costante, anche nella sua assenza.
La riappropriazione del passato e del proprio orgoglio avviene solo attraverso il riconoscimento del presente, la consapevolezza di questa nuova identità, poiché non è più possibile essere solamente figli devoti della tradizione e neppure essere totalmente assimilati a un nuovo mondo straniero.
Senza più una dimora, si ha unicamente una casa possibile: la Negritudine.
“Questo è il motivo per cui la gioventù nera volta le spalle alla tribù degli Anziani. La Vecchia Tribù dice: Assimilazione. Noi rispondiamo: risurrezione.
Cosa vuole la gioventù nera? Vivere. Ma per vivere davvero, bisogna rimanere se stessi. I giovani Negri di oggi non vogliono né schiavitù né “assimilazione”, vogliono emancipazione” (A. Césaire).
Se, come scrisse Magritte, “il valore reale dell’arte è in funzione del suo potere di rivelazione liberatrice”, è perciò attraverso l’arte che è possibile fondare questa nuova casa comune.
Ovviamente, caro lettore, ci sentiamo impreparati ad approcciare questi testi di un mondo che ci brilla lontano, oltre gli oceani delle nostre quotidianità: credo che questo debba essere inevitabilmente la prima porta da varcare e io sono il primo a essermi messo in discussione per queste mie traduzioni.
Questo timore tuttavia si scioglie rapidamente nel momento in cui, attraversando una seconda porta, leggiamo i versi, le lacrime, gli amori di questi uomini e, in questo inchiostro, ritroviamo la stessa vita che attraversa noi. In fondo la diversità culturale non può essere barriera, quanto semplicemente uno strumento per ricomporre un panorama di cui siamo parte.
Questi versi di vita siano canti anche per il nostro esilio.
I TESTI
La scelta dei testi tradotti ha seguito vari criteri: il primo è quello tematico, in modo da contemplare le differenti sfaccettature di questa realtà. Ci saranno dunque poesie d’amore, poesie di rivoluzione, ma anche versi quotidiani, in cui traspaiono tanto gli aspetti della tradizione indigena, come totem, animali protettori, elementi naturali, quanto tutti quegli elementi che rivelano una forte influenza della cultura occidentale, in particolar modo francese e surrealista.
Un elemento prezioso di questi testi è la compresenza appunto di immagini, oggetti, rimandi tradizionali a fianco di stili, poetiche europee contemporanee, il cui risultato non è uno straniamento del testo. Queste nuove melodie piuttosto mostrano l’ampiezza dei toni dello strumento artistico che, se poteva cantare la crisi tormentata dell’anima europea, può anche risuonare di savane, di elefanti, di feticci lontani.
Un secondo criterio che mi è sembrato opportuno scegliere è ovviamente quello stilistico, attraverso cui è possibile distinguere modelli, riferimenti, scritture variegati e molteplici.
Se alcuni autori infatti prediligono una più lirica e narrativa, come Senghor o Tirolien, altri invece fanno scelte più audaci e innovative, vicine al surrealismo francese e al modernismo.
L’ultimo criterio seguito è quello della peculiarità di questo movimento: tra questi testi ci sono perle celebri della poesia africana, ma anche versi meno conosciuti, soprattutto nel contesto italiano, che sono stati inseriti proprio perché conservano e testimoniano l’animo poetico tipico della Negritudine.
A voi la lettura, la scoperta, il giudizio. (emanuele pini)
Femme nue, femme noire
Vétue de ta couleur qui est vie, de ta forme qui est beauté
J’ai grandi à ton ombre; la douceur de tes mains bandait mes yeux
Et voilà qu’au coeur de l’Eté et de Midi,
Je te découvre, Terre promise, du haut d’un haut col calciné
Et ta beauté me foudroie en plein coeur, comme l’éclair d’un aigle.
Femme nue, femme obscure
Fruit mûr à la chair ferme, sombres extases du vin noir, bouche qui faislyrique ma bouche
Savane aux horizons purs, savane qui frémis aux caresses ferventes du Vent d’Est
Tamtam sculpté, tamtam tendu qui gronde sous les doigts du vainqueur
Ta voix grave de contralto est le chant spirituel de l’Aimée.
Femme noire, femme obscure
Huile que ne ride nul souffle, huile calme aux flancs de l’athlète, aux flancs des princes du Mali
Gazelle aux attaches célestes, les perles sont étoiles sur la nuit de ta peau.
Délices des jeux de l’Esprit, les reflets de l’or ronge ta peau qui se moire
A l’ombre de ta chevelure, s’éclaire mon angoisse aux soleils prochains de tes yeux.
Femme nue, femme noire
Je chante ta beauté qui passe, forme que je fixe dans l’Eternel
Avant que le destin jaloux ne te réduise en cendres pour nourrir les racines de la vie.
* Léopold Sédar SENGHOR, DONNA NUDA , DONNA NERA
Donna nuda, donna nera
Vestita di quel tuo colore che è vita, di quelle tue forme che sono bellezza!
Sono cresciuto alla tua ombra; la dolcezza delle tue mani fasciava i miei occhi,
ed ecco che nel cuore dell’Estate e del Meriggio io ti scopro, Terra promessa, dall’alto di un alto collo carbone
e quella tua bellezza mi fulmina in pieno cuore, come il lampo di un’aquila.
Donna nuda, donna oscura
Frutto matura dalla carne soda, scure estasi del vino nero, bocca che rende poesia la mia bocca
Savana dagli orizzonti tersi, savana che fremi alle calde carezze del Vento d’Oriente
Tamtam intagliato, tamtam teso che tuona sotto le dita del campione
La tua severa voce da contralto è il canto spirituale dell’Amata.
Donna nuda, donna oscura
Olio che nessun soffio increspa, olio placido ai fianchi dell’eroe, ai fianchi dei prìncipi del Mali
Gazzella dalle briglie di cielo, quelle perle sono stelle sulla notte della tua pelle
Delizie dei giochi dell’anima, i riflessi dell’oro rosso sulla tua pelle che scintilla
All’ombra della tua capigliatura, s’illumina la mia angoscia ai soli tanto vicini dei tuoi occhi.
Donna nuda, donna nera
Canto quella tua bellezza che passa, quelle forme che fisso nell’eternità
Prima che il destino geloso non ti riduca in cenere per nutrire le radici di una nuova vita.
Ma Négritude point n’est sommeil de la race mais soleil de l’âme, ma négritude vue et vie
Ma Négritude est truelle à la main, est lance au poing
Réécade. Il n’est question de boire, de manger l’instant qui passe
Tant pis si je m’attendris sur les roses du Cap-Vert !
Ma tâche est d ‘éveiller mon peuple aux futurs flamboyants
Ma joie de créer des images pour le nourrir, ô lumières rythmées de la Parole !
* Léopold Sédar SENGHOR, LA MIA NEGRITUDINE
La mia Negritudine non è il sonno della razza, no, ma il sole dell’anima, la mia negritudine vista e vita
La mia Negritudine è un martello in mano, è una lancia in pugno
Come il bastone del messaggero. Non si tratta di bere, di mangiare l’istante che passa
Al diavolo se m’intenerisco per le rose di Capo Verde!
Il mio compito è di ridestare il mio popolo ai futuri sfolgoranti
La mia gioia creare delle immagini per nutrirlo, o luci ritmate della Parola!
Je suis seul dans la plaine
Et dans la nuit
Avec les arbres recroquevillés de froid
Qui, coudes au corps, se serrent les uns tout contre les
autres.
Je suis seul dans la plaine
Et dans la nuit
Avec les gestes de désespoir pathétique des arbres
Que leurs feuilles ont quittés pour des îles d’élection.
Je suis seul dans la plaine
Et dans la nuit.
Je suis la solitude des poteaux télégraphiques
Le long des routes
Désertes.
* Léopold Sédar SENGHOR, SONO SOLO
Sono solo nella pianura
E nella notte
Con gli alberi rannicchiati di freddo
Che, coi gomiti serrati al corpo, si stringono gli uni tutti contro gli
Altri.
Sono solo nella pianura
E nella notte
Con i gesti di disperazione patetica degli alberi:
Le loro foglie li hanno abbandonati per delle isole felici
lontane.
Sono solo nella pianura
E nella notte
Io sono la solitudine dei pali del telegrafo
Lungo le strade
Deserte.
Je veux assoupir ton cafard, mon amour,
Et l’endormir,
Te murmurer ce vieil air de blues
Pour l’endormir.
C’est un blues mélancolique,
Un blues nostalgique,
Un blues indolent
Et lent.
Ce sont les regards des vierges couleur d’ailleurs,
L’indolence dolente des crépuscules.
C’est la savane pleurant au clair de lune,
Je dis le long solo d’une longue mélopée.
C’est un blues mélancolique,
Un blues nostalgique,
Un blues indolent
Et lent.
* Léopold Sédar SENGHOR, SPLEEN
Voglio addormentare il tuo tarlo, amore mio,
e assopirlo
mormorarti questa vecchia aria di blues
per addormentarlo
È un blues di melanconia
Un blues di nostalgia
Un blues indolente
Lento.
C’è dentro lo sguardo delle vergini colore d’altrove
L’indolenza dolente dei crepuscoli
C’è dentro la savana che piange al chiaro di luna,
dico dentro il lungo assolo d’una lunga cantilena.
È un blues di melanconia
Un blues di nostalgia
Un blues indolente
Lento.
Il me faut le cacher au plus intime de mes veines
L’Ancêtre à la peau d’orage sillonnée d’éclairs et de foudre
Mon animal gardien, il me faut le cacher
Que je ne rompe le barrage des scandales.
Il est mon sang fidèle qui requiert fidélité
Protégeant mon orgueil nu contre
Moi-même et la superbe des races heureuses…
* Léopold Sédar SENGHOR, IL TOTEM
Ho bisogno di nasconderlo nella più intima delle mie vene
L’Antenato dalla pelle d’uragano solcata da saette e fulmine
Il mio animale protettore, ho bisogno di nasconderlo
Che io non rompa la barriera degli scandali.
Lui è il mio sangue fedele che richiede fedeltà
Mentre protegge il mio orgoglio nudo contro
Me stesso e la più magnifica tra le razze felici…
Mais moi
Plus faux qu’une maitresse je te sais,
Printemps de Touraine.
Tu n’es qu’une pâle jeune fille
Aux yeux d’émail bleus,
aux poignets de lait blanc.
Tu ne saurais résister à une seule torsion de ma main,
À une seule petite lame du raz de marée
Qui flue en mes veines, emportant digues, troupeaux et villages.
Printemps de Touraine,
Je suis un sauvage, un
Violent.
Printemps de Touraine,
Laisse-moi dormir.
On ne badine pas avec le Nègre.
* Léopold Sédar SENGHOR, PRIMAVERA DI TURENNA
Ma io
Più falsa di un’amante io ti sento,
Primavera di Turenna.
Tu non sei che una giovane ragazza pallida
Dagli occhi smaltati azzurro
Dai polsi di latte bianco.
Non sapresti resistere a una sola torsione della mia mano,
A una sola lama sottile dell’onda della mareggiata
Che scorre nelle mie vene, travolgendo dighe, truppe, villaggi.
Primavera di Turenna,
Sono un selvaggio, un
Violento.
Primavera di Turenna,
Lasciami dormire:
Non ci si ferma a scherzare con il Negro.
Sur la prairie trois arbres prennent le thé
Tes mains sont cachées
Mes mains sont cachées
Une seule bouche et l’heure d’été
Laisse-moi jouer au jeu de l’habitude
Beau paquebot aux lignes de mes mains.
* Étienne LERO, SUL PRATO
Sul prato tre alberi prendono del the
Le tue mani sono nascoste
Le mie mani sono nascoste
Una sola bocca e l’ora dell’estate
Lasciami giocare al gioco dell’abitudine
Bel bastimento sulle rotte delle mie mani
Tourne toujours
Moi seul ne vois point
Assez n’est cécité et cinéma
Monsieur asseyez-vous
Renée n’est pas venue
Je suis seul et tu es nue.
* Étienne LERO, GIRA…
Gira gira sempre gira
Solo io non vedo proprio
Non ce n’è abbastanza di cecità, di cinema
Signore si sieda
Renée non è venuta
Sono solo e tu sei nuda.
chair riche aux dents copeaux de chair sûre
volez en éclats de jour en éclats de nuit en baisers de vent
en étraves de lumière en poupes de silence
volez emmêlements traqués enclumes de la chair sombre volez
volez en souliers d’enfant en jets d’argent
volez et défiez les cataphractaires de la nuit montés sur leurs onagres
vous oiseaux
vous sang
qui a dit que je ne serai pas là ?
pas là mon cœur sans-en-marge
mon cœur-au-sans-regrets mon cœur à fonds perdus
et des hautes futaies de la pluie souveraine ?
nombres bijioux sacrés neiges éternelles glaçons tournois
il y aura des pollens des lunes des saisons au cœur de pain et de clarine
les hauts fourneaux de la grève et de l’impossible émettront de la salive des balles des orphéons des mitres des candélabres
ô pandanus muet peuplé de migrations
ô nils bleus ô prières naines ô ma mère ô piste
et le cœur éclaboussé sauvage
le plus grand des frissons est encore à fleurir
futile
* Aimé CÉSAIRE, LA DONNA E IL COLTELLO
carne ricca dai denti frammenti di carne sicura
volate in baleni di giorno in baleni di notte in baci di vento
In prore di luce in poppe di silenzio
volate grovigli braccati incudini della carne scura volate
volate in scarpe di bambino in getti d’argento
volate e sfidate le armature della notte montate sulle loro primule
voi uccelli
voi sangue
chi ha detto non sarò qui?
non qui il mio cuore lui-senza-confine
il mio cuore-il-senza-rimpianti il mio cuore a fondo perso
e dalle alte fustaie della pioggia sovrana?
numeri gioielli consacrati nevi sempiterne ghiacci tornei
ci saranno dei pollini delle lune delle stagioni dal cuore di pane e di campanella
le alte fornaci dello sciopero e dell’impossibile rilasceranno della saliva delle pallottole dei coretti dei mitra dei candelabri
oh palma muta popolata da migrazioni
oh nili blu oh preghiere nane oh madre mia oh sentiero
e il cuore schizzato selvaggio
il brivido più grande deve ancora fiorire
futile.
Jour ô jour de New York et de la Soukala
je me recommande à vous
à vous qui ne serez plus l’absurde jeu du sphinx à tête de mort et de l’eczéma rebelle
et le jour très simplement le jour
enlève ses gants
ses gants de vent bleu de lait cru de sel fort
ses gants de repos d’œuf de squale et d’incendie de paille noire
sécheresse
sécheresse
vous ne pourrez rien contre mes glandes aquifères
le ballet chimique des terres rares
la poudre des yeux finement pilés sous le bâton
les mouettes immobilement têtues des fuseaux et de l’eau
font l’inaltérable alliage de mon sommeil sans heure
sans heure autre que l’inapaisement de geyser de l’arbre du silence
sans heure autre que la catastrophe fraternelle aux cheveux d’hippocampe et de campêche
sans heure autre que mes yeux de sisal et de toile d’araignée
mes yeux de clef de monde et de bris de journée
où prendre la fièvre montée sur 300 000 lucioles
sans heure autre que les couteaux de jet du soleil lancés à toute volée
autour de l’encolure des climats
sans heure autre que les oiseaux qui picorent les biefs du ciel pour apaiser leur soif-de-dormir-dans-le-déluge
sans heure autre que l’inconsolable oiseau sang qui d’attendre s’allume dans l’agriculture de tes yeux à défaire le beau temps
sans heure autre que la voix fabuleuse des forêts qui gonflent subitement leur voilure dans les radoubs du marais et du coke
sans heure autre que l’étiage des lunaisons dans la cervelle comptable des peuples nourris d’insultes et de millénaires
sans heure autre oh ! sans heure autre que ton flegme taureau incorruptible
qui jamais ne neige d’appel plus salubre et mortel
que quand s’éveille des ruisseaux de mon écorce
épi et neuvaine du désastre (le vrai)
la femme
qui sur ses lèvres à boire berce le palanquin des oubliettes de la mer
* Aimé CÉSAIRE, I DIMENTICATOI DEL MARE E DEL DILUVIO
Giorno oh giorno di New York e delle nostre capanne
mi raccomando a voi
a voi che non sarete più l’assurdo gioco della sfinge dalla testa di morto, dalla lebbra ribelle
e il giorno molto semplicemente il giorno
si toglie i suoi guanti
i suoi guanti di vento azzurro di latte crudo di sale pungente
i suoi guanti di riposo di uovo di pescecane e d’incendio di paglia nera
siccità
siccità
non potrete nulla contro le mie ghiande acquifere
il balletto chimico delle terre rare
la polvere degli occhi finemente pestati sotto il bastone
i gabbiani fissamente ostinati per i fusi e per l’acqua
costituiscono l’immutabile lega del mio sonno senza tempo
senza altro tempo che l’inappagamento del geyser dell’albero del silenzio
senza altro tempo che la catastrofe fraterna dai capelli d’ippocampo e di campeccio
senza altro tempo che i miei occhi d’agave e di ragnatela
i miei occhi come chiave del mondo e come frattura del giorno
dove prendere la febbre salita su 300000 lucciole
senza altro tempo che i coltelli di getto del sole lanciati al volo
attorno alla scollatura dei climi
senza altro tempo che gli uccelli che beccano le radure del cielo per placare la loro sete-di-dormire-nel-diluvio
senza altro tempo che lo sconsolato uccello sangue che d’attendere s’accende nell’agricoltura dei tuoi occhi per guastare la bella stagione
senza altro tempo che la voce favolosa delle foreste che gonfiano d’un tratto le loro vele nei carenaggi della palude e del carbone
senza altro tempo che la carestia delle lunazioni nel cervello
senza altro tempo che oh! senza altro tempo che la tua flemma toro eterno
che non nevica mai di una chiamata più salubre e mortale
che quando si desta dai torrenti della mia scorza
spiga e novena del disastro (il vero)
la donna
che sulle sue labbra da bere dondola la culla degli oblii del mare.
à même le fleuve de sang de terre
à même le sang de soleil brisé
à même le sang d’un cent de clous de soleil
à même le sang du suicide des bêtes à feu
à même le sang de cendre le sang de sel le sang des sangs
d’amour à même le sang incendié d’oiseau feu
hérons et faucons
montez et brûlez
* Aimé CÉSAIRE, TAMTAM I, a Benjamin Péret
in grado il fiume di sangue di terra
in grado il sangue del sole infranto
in grado il sangue di una centinaia di chiodi di sole
in grado il sangue del suicidio delle bestie da fuoco
in grado il sangue di cenere il sangue di sale il sangue dei sangui
d’amore in grado il sangue avvampato d’uccello fuoco
aironi e falconi
salite e bruciate
ma négritude n’est pas une pierre, sa surdité
ruée contre la clameur du jour
ma négritude n’est pas une taie d’eau morte ruée contre la clameur du jour
ma négritude n’est pas une taie d’eau morte
sur l’oeil mort de la terre
ma négritude n’est ni une tour ni une cathédrale
elle plonge dans la chair rouge du sol
elle plonge dans la chair ardente du ciel
elle troue l’accablement opaque de sa droite patience.
* Aimé CÉSAIRE, da Quaderni di un ritorno al paese natale
la mia negritudine non è una pietra, la sua sordità
scagliata contro il clamore del giorno
la mia negritudine non è una federa d’acqua morta scagliata contro il clamore del giorno
la mia negritudine non è una federa d’acqua morta
sull’occhio morto della terra
la mia negritudine non è né una torre né una cattedrale
s’immerge nella carne rossa del sole
s’immerge nella carne ardente del cielo
scava l’oppressione opaca della sua retta pazienza
Seigneur, je suis très fatigué.
Je suis né fatigué.
Et j’ai beaucoup marché depuis le chant du coq
Et le morne est bien haut qui mène à leur école.
Seigneur, je ne veux plus aller à leur école,
Faites, je vous en prie, que je n’y aille plus.
Je veux suivre mon père dans les ravines fraîches
Quand la nuit flotte encore dans le mystère des bois
Où glissent les esprits que l’aube vient chasser.
Je veux aller pieds nus par les rouges sentiers
Que cuisent les flammes de midi,
Je veux dormir ma sieste au pied des lourds manguiers,
Je veux me réveiller
Lorsque là-bas mugit la sirène des blancs
Et que l’Usine
Sur l’océan des cannes
Comme un bateau ancré
Vomit dans la campagne son équipage nègre…
Seigneur, je ne veux plus aller à leur école,
Faites, je vous en prie, que je n’y aille plus.
Ils racontent qu’il faut qu’un petit nègre y aille
Pour qu’il devienne pareil
Aux messieurs de la ville
Aux messieurs comme il faut.
Mais moi, je ne veux pas
Devenir, comme ils disent,
Un monsieur de la ville,
Un monsieur comme il faut.
Je préfère flâner le long des sucreries
Où sont les sacs repus
Que gonfle un sucre brun autant que ma peau brune.
Je préfère, vers l’heure où la lune amoureuse
Parle bas à l’oreille des cocotiers penchés,
Ecouter ce que dit dans la nuit
La voix cassée d’un vieux qui raconte en fumant
Les histoires de Zamba et de compère Lapin,
Et bien d’autres choses encore
Qui ne sont pas dans les livres.
Les nègres, vous le savez, n’ont que trop travaillé.
Pourquoi faut-il de plus apprendre dans des livres
Qui nous parlent de choses qui ne sont point d’ici ?
Et puis elle est vraiment trop triste leur école,
Triste comme
Ces messieurs de la ville,
Ces messieurs comme il faut
Qui ne savent plus danser le soir au clair de lune
Qui ne savent plus marcher sur la chair de leurs pieds
Qui ne savent plus conter les contes aux veillées.
Seigneur, je ne veux plus aller à leur école !
* Guy TIROLIEN, PREGHIERA DI UN PICCOLO BAMBINO NEGRO
Signore, sono stanco morto
Sono nato stanco
E ho camminato molto dal canto del gallo
Ed è così alta la nausea che porta alla loro scuola.
Signore, non voglio più andarci alla loro scuola,
Fate in modo che non ci vada più, ti prego.
Io voglio seguire mio padre nelle cave umide
Quando ancora la notte si libra nel mistero dei boschi
Dove scivolano gli spiriti che l’alba sta scacciando.
Io voglio andare a piedi nudi per i rossi sentieri
Cotti dalle fiamme del meriggio.
Voglio dormire la mia siesta ai piedi dei pesanti tronchi di mango,
voglio risvegliarmi
quando là mugghia la sirena dei bianchi
e quando la Fabbrica
sull’oceano dei canneti
Come una barca ancorata
Vomita nella campagna il suo equipaggio negro…
Signore, non voglio più andarci alla loro scuola,
Fate in modo che non ci vada più, ti prego.
Raccontano che bisogna che un bambino negro ci vada
Per diventare pari
Ai signori della città
Ai signori come si deve.
Ma io no, io non voglio
Diventare, come dicono quelli,
un signore della città,
un signore come si deve.
Preferisco girare a zonzo lungo dei zuccherifici
Dove sono i sacchi sazi
Pieni di uno zucchero scuro come la mia pelle scura.
Preferisco, verso l’ra dove la luna innamorata
Sussurra all’orecchio delle palme da cocco chine,
Ascoltare quello che dice nella notte
La voce rotta d’un vecchio che fumando racconta
Le storie di Zamba e del compagno Lepre,
e molte altre cose ancora
che non sono nei libri.
I negri, lo sapete, non hanno fatto altro che faticare.
Perché bisogna per di più imparare da dei libri
Che ci parlano di cose che non sono nemmeno qui?
E poi la loro scuola è veramente troppo triste,
triste come
questi signori della città,
questi signori come si deve
che non sanno più danzare la sera al chiaro di luna
che non sanno più marciare sulla carne viva dei loro piedi
che non sanno più raccontare i racconti durante le veglie.
Signore, io non voglio andarci alla loro scuola!
Le Temps du Martyr
Le Blanc a tué mon père
Car mon père était fier
Le Blanc a violé ma mère
Car ma mère était belle
Le Blanc a courbé mon frère sous le soleil des routes
Car mon frère était fort
Puis le Blanc a tourné vers moi
Ses mains rouges de sang noir
M’a craché son mépris au visage
Et sa voix de maître :
« Hé boy, un balai, une serviette, de l’eau ! »
* David DIOP, IL TEMPO DEL MARTIRE
Il Tempo del Martire
Il Bianco ha ucciso mio papà
Perché mio papà era fiero
Il Bianco ha violentato mia mamma
Perché mia mamma era bella
Il Bianco ha piegato mio fratello sotto il sole delle strade
Perché mio fratello era forte
Poi il Bianco si è rivolto verso di me
Le sue mani rosse di sangue nero
Mi ha sputato in faccia il suo disprezzo
E la sua voce di padrone:
“Hey boy, una ramazza, un panno, dell’acqua!”
Ils sont venus ce soir où le
tam
tam
roulait de
rythme en
rythme
la frénésie
des yeux
la frénésie des mains la frénésie
des pieds de statues
DEPUIS
combien de MOI MOI MOI
sont morts
depuis qu’ils sont venus ce soir où le
tam
tam
roulait de
rythme en
rythme
la frénésie
des yeux
la frénésie des mains la frénésie
des pieds de statues
* Léon Gontram DAMAS, SONO ARRIVATI QUELLA SERA
Sono arrivati quella sera in cui il
tam
tam
scorreva di
ritmo in
ritmo
la frenesia
degli occhi
la frenesia delle mani la frenesia
dei piedi di statue
DA ALLORA
quanti ME
sono morti
da quanto sono arrivati quella sera in cui il
tam
tam
scorreva di
ritmo in
ritmo
la frenesia
degli occhi
la frenesia delle mani la frenesia
dei piedi di statua.
-
J.-P. Sartre, Orphée Noir, introduzione ad Anthologie de la nouvelle poésie nègre et malgache de langue française, 1948, pag. XII. ↑
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