Tristan Tzara – L’uomo approssimativo

Tristan Tzara – L’uomo approssimativo – a cura di Emanuele Pini, Massari Editore, 2019
Emanuele Pini, a novanta anni dalla prima pubblicazione avvenuta in Francia nel 1931, traduce e cura la prima traduzione italiana di questo importante libro di versi – un poema in diciannove canti – di Tristan Tzara, una delle figure chiave prima del Dadaismo e poi del Surrealismo, con una appassionata introduzione, in questo volume,  di Roberta De Francesco
Scrive Emanuele Pini nella nota introduttiva: “L’Homme approximatif pubblicato nel 1931, dopo un lavoro introspettivo e artistico di 5 anni (1925-1930), non è l’unico, ma di certo è il migliore risultato di questa ricer­ca: ma cos’è questo «Uomo approssimativo»? un prisma frammentato in miriadi di immagini, di illuminazioni, di ferite dal quale emerge la figura dell’uomo contempora­neo, fragile e titanico, sognatore e becero furfante, che vive nella notte, un uomo forse senza Io e senza Dio, ma che piange perennemente dentro sé, per questo Io e per questo Dio, un uomo che è «approssimato» e che al con­tempo si approssima, si avvicina all’immagine di uomo.
Un uomo che sogna un uomo. Il finale è ciò che dà il senso all’inizio, e viceversa: in tal modo tutto prende il via con quel «le campane suonano senza ragione e anche noi», tutto inizia con «penso al calore che intesse la parola/ attorno al suo nocciolo il sogno che si chiama noi», poi tutto termina con questa stoica attesa del deserto del tor­mento, del suo fuoco.
Forse l’aprirsi all’altro è questo deserto che ci dà struggimento e passione, forse l’aprirsi all’altro è questo fuoco che ci offre la vita e la passione, la speranza.
Per Tzara non esiste una storia del tutto al singolare, non esiste un destino solamente individuale, perché gli uomini abitano questa minuscola terra come le stelle punteggiano d’oro la volta notturna. In altri termini io ci sono, io, e tu ci sei, tu, e ci siamo noi che incrociamo le nostri voci, le nostre croci di deserto e fuoco. Fragile e vinto, ma nel suo grido disperato riluce la sua forza indo­mabile: questo è l’Uomo Approssimativo, un uomo tanto moderno, antesignanamente esistenzialista, agitato da fantasie celesti e visioni profetiche alle quali cerca di dar risposta, sballottato in un cosmo straniero; ma l’unico enigma che non può risolvere è il suo volto: questo è l’Uomo Approssimativo, alla perenne ricerca di se stesso come un eroe cantato da Omero e da Sofocle. Un uomo approssimativo «come me come te lettore e come gli altri».

E De Francesco, nella presentazione: “Si, Tzara ci parla dell’uomo approsimativo come noi, che ride davanti e dentro piange, che munge in silenzio se stesso: dell ‘uomo dal passo di forbice che allunga i mar­ciapiedi delle strade, che ad ogni curva diventa un altro se stesso, sempre più perso nei labirinti del proprio io e del mondo, accecato, angosciato, solo, rumoroso, stanco, mondano, smarrito nel formicolio delle strade, fra gli uomini affrettati de! via vai del mondo, imprigionato dalla materia, ingannato dal piacere, incendiato, nausea­to da allucinazioni, cianfrusaglie (le «tante sanguigne attrazioni» di cui scrivono Pascal, Adorno, Horkheimer).
La notte dell’uomo-pappagallo in preda agli eventi, della bestia che insudicia ciò che tocca, che vive di illu­sioni quotidiane, di menzogne incandescenti, di tentazio­ni, «corrugato sino in fondo all ‘anima» da «l’odore di catastrofe che sparge la luna», da «la malattia delle nuvole», dall’«incalcolabile fioritura d’odio», dalla pri­gionia nel pugno della terra fra gli impiccati nel sogno. La notte dell ‘uomo che sente lo sbriciolarsi della vita negli aculei della grotta in cui resta chiuso a chiave, senza uscita, nel dolore cosmico:
«Sento in me contro il muro gettarsi la disperazione di tutte le città/ lacrime che cadono in incendio dall’alto fughe terrori porcherie/ […] crudeltà loquaci offese malat­tie maledizioni […] orrori ipocriti inferni asfissie di fulig­gine sudori/ smorfie d’uragani cataclismi contagiosi valanghe sepolcri».
E ancora Pini: “I versi de L’uomo approssimativo sono interminabili, poiché il loro suono scaturisce, si rinnova e s’infrange senza line, generando una nuova ineffabilità, in cui il poeta non può dire e raccontare il mondo, ma non perché non abbia parole, tutt’altro: non riesce a cantare TUTTO e la sua complessità. La clausola con cui si interrompono molti canti diviene emblematica: «e tanto altro e tanto d’altri».
Tzara aveva peraltro espresso questo pensiero in que­gli stessi anni: «la poesia è una delle più grandi forze dell’umanità. La poesia non si scrive, vive sul fondo del crogiuolo in cui ha origine ogni cristallizzazione umana, ogni condensazione sociale, per quanto semplice essa sia. È quella forza priva di metodo che assegna a ogni cosa il suo significato e che sgorga dalle profondità insondabili delle cause oscure e incontestabili. Dalle sue possibilità è nata l’invenzione del mondo» (Découverte des arts dits primitifs, 1929)”.
Insomma un volume che, a distanza di quasi un secolo mostra  ancora una volta la assoluta modernità – di Tzara, di Dada e del Surrealismo – sia in termini di tematiche sia in termini di approccio stilistico e formale a quei temi, al mondo e alla poesia in generale, quella  “forza priva di metodo (e già questa affermazione è stupefacente e problematica) che assegna a ogni cosa il suo significato”. Per citare ancora De Francesco “la poesia di Tzara è necessaria e contemporanea  quanto la sua provocazione e vocazione poetica: ‘la breccia aperta al cuore dell’esercito dei nostri nemici le parole’ “. 

 

II
la terra mi tiene stretto nel suo pugno di burrascosa angoscia
che nessuno si muova! si sente l’ora aprirsi il volo di mosca
e raggiungere la giornata alla ricerca di una fine
stringiamo tra le mascelle i minuti che ci separano
*
in alto le mani! per accogliere l’angelo che sta per precipitare
sfogliarsi in neve di lucciole sulle vostre teste
cielo indebolito dal vento che ha tanto soffiato
pagheremo di sofferenze i nostri debiti senza numero
*
la stazione s’infoltisce di giochi di fischi
così tante libertà nuotano nell’amara densità
che lo scampanellio guida il flusso roditore
assieme alle nere e fetide indignazioni interiora spumose della terra
dalle superfici vellutate verso le quali obiettivi ubriachi di speranze
che si comprano al prezzo di lente sementi
ornati degli attributi delle corporazioni di mestieri
che si bevono agli abbeveratoi con delle sbuffanti narici di cavallo
che si cacciano in cerchi nei maneggi paesani
che si fumano la pipa vecchia d’aquile
che si sorvegliano pastori dei tetti che fumano la sera
intravisti nei ghiacci presagiti dal cuore di pietre
nel fondo di miniere di petrolio su delle brande di pesanti fanghi
nei granai dove la vita si misura con il grano
schiume chiare guanciali delle acque assise al sole
 *
uomo approssimativo come me come te lettore e come tutti gli altri
ammasso di carni chiassose e di eco di coscienza
completo nel solo boccone di volontà il tuo nome
trasportabile e assimilabile cortese per mezzo delle docili inflessioni femminili
diverso incompreso a seconda della voluttà dei correnti investigatori
uomo approssimativo che ti muovi negli all’incirca del destino
con un cuore come valigia e un valzer al posto della testa
foschia sul freddo ghiaccio tu t’impedisci a te stesso di vederti
grande e insignificante fra i gioielli di ghiaccio del paesaggio
tuttavia gli uomini cantano in cerchio sotto i ponti
dal freddo la bocca blu contratta più lontano che il nulla
uomo approssimativo o magnifico o miserabile
nella nebbia delle caste età
abitazione a buon mercato gli occhi ambasciatori di fuoco
che ognuno interroga e accudisce nella pelliccia di carezze delle sue idee
occhi che ringiovaniscono le violenze degli dèi docili
volteggiando verso le esplosioni delle primavere dentarie della risata
uomo approssimativo come me come te lettore
tu tieni tra le tue mani come per gettare una palla
cifra luminosa la tua testa piena di poesia
*
porta chiusa per sempre della notte il frutto dalle belle gambe
lunga croce così solenne sull’alito della rugiada
ai confini della sera spogliata camicia del giorno
mentre la galleria allunga la fisarmonica dei suoi fianchi
scivola sulla corda del binario lungo arco del convoglio di metrò
e dall’altra parte in mancanza di sole c’è forse la morte
che ti aspetta nel rumore di un scintillante vortice dalle mille braccia esplosive
tese verso te uomo fiore che passa dalle mani della commessa a quelle dell’amante e dell’amata
che passa dalla mano di un avvenimento all’altro senza volontà triste pappagallo
le porte sbattono dei denti e tutto è fatto nell’impazienza di farti uscire al più presto
uomo amabile mercanzia dagli occhi aperti ma ermeticamente bendati
tosse di cascata ritmo pianificato in meridiani e monconi
mappamondo imbrattato di fango di lebbra e di sangue
l’inverno salito sul suo piedistallo di notte povera notte fragile sterile
tira il panneggio di nuvola sul freddo serraglio
e tiene tra le sue mani come per gettare una palla
cifra luminosa la tua testa piena di poesia
*
gesto tondo delle mani che offre all’aria l’immagine
vigile usignolo che chiude il circuito del tuo appagamento
dal bagliore appuntito delle piante tu t’inganni te stesso
il più segreto di tutti sei tu il più lontano
tu ti issi fino ai perfetti accordi sui pennoni astronomici
ti ingozzi di portamenti incestuosi sulle vie dei calvari
la tua gelosia zampilla dall’angusto simulacro
che stringe il tempo nella sacca della tua vita
tu non concepisci la vita che in esempi sperimentati
mentre invecchi senza sapere perché s’arrugginiscano le cerniere della tua testa
si allarghino le tue articolazioni si inzuppi come la foglia sotto la pioggia l’orgoglio
avaro tu serri così forte la porta che le tue unghie entrano nella carne
la tetra gola dove si impilano le nuvole
dove l’orgoglio inappagato non sa più rinfrescarsi
tende già verso i prati della morte in olocausto il suo delirio a perdita di vista
e l’acqua è sempre fresca al crocevia dei tuoi amori
*
le linee delle tue mani callose che alla tua nascita un angelo tracciò
sul suo sentiero il tuo sentiero dotato di tutti i successi terrestri
la foschia della tua falsa vita li cancellò e tu insudici ciò che tocchi
ti sprofondi nell’affanno e nell’oro delle menzogne incandescenti
della vita non resta che la pena d’una evasione mancata
e tuttavia la notte disfa nel suo grembo i nodi delle campanelle le stelle
l’ossatura cadenzata delle musicali cataste gettate alla rinfusa
eppure gli uomini si stringono in cerchio sotto i ponti
e negli album di fotografie sfogliano le sere di calore mediocre
tra tanti amari germogli che il ricordo fece albeggiare tutto attorno alla tovaglia pesante
difendi a morsi il tuo appezzamento di mondo per addormentarti da un sabato all’altro
anonimo e beffato nella secolare alimentazione della tua genia
eppure gli uomini cantano in cerchio sotto i ponti
e strappano il nido delle meningi lo raschiano
per scoprire nascosta nel fondo la fresca arancia del loro cervello
*
dai furori di neve che l’ora faccia la sua eruzione di rimorso e di tortura
che il sangue zampilli in te dalla bocca più nuova l’astronomia
e si sparga in ogni cellula di prigioni anatomiche
che i minuti formicolando nel sacco dei polmoni li inseminino vicino
ai rifugi di vegliardi le terrazze a più file da biliardo
che il crimine infine fiorisca giovane e fresco in pesanti ghirlande lungo le case
ingrassi di sangue le avventure novelle le messi delle future generazioni
le aquile che si dissolvono come lo zucchero nella bocca degli anni
che dissolvono lo zucchero delle giornate passate nella coppa dell’oceano
che volano da un fiore all’altro con dei petali di pelle sulle ali
insetti o microbi che caricano di sofferenza i letti le stagioni
gli acidi sonni che trascinano come delle bestie di pena le nostre carcasse
e noi che spariamo verso quelli impiccati nel sogno che spariamo alla gru del porto celeste
lei dolce di sole putrefazione senza corvi né larve nel biancore invincibile immacolato

 

II
la terre me tient serré dans son poing d’orageuse angoisse
que personne ne bouge! On entend l’heure se frayer le vole de la mouche
et rejoindre la journée en quête d’une fin
serrons entre les mâchoires les minutes qui nous séparent
*
haut les mains! Pour accueillir l ‘ange qui va tomber
s’effeuiller en neige de lucioles sur vos têtes
ciel affaibli par le vent qui a tant soufflé
nous payerons des souffrances les innombrables dettes
*
la gare s’épaissit de jeux de sifflets
tant de volontés nagent dans l’amère densité
que la sonnerie mène le flot rongeur
avec les noires et fétides indignations entrailles spumeuses de la terre
aux surfaces veloutées vers quels buts buveurs d’espoirs
qu ‘on achète au prix de lentes semences
ornés des attributs des corps de métiers
qu ‘on boit dans les abreuvoirs avec de reniflantes narines de cheval
qu ’on chasse en cercles clans les manèges villageois
qu ’on fume la pipe vieille d’aigles
qu ’on garde bergers des toits fuments le soir
entrevus dans les glaces pressentis au coeur des pierres
au fond des mines de pétrole sur des sommiers de lourds limons
dans les granges où la vie se mesure avec le grain
mousses clairs coussins des eaux assises dans le soleil
*
homme approximatif comme moi comme toi lecteur et comme les autres
amas de chairs bruyantes et d’échos de conscience
complet dans le seul morceau de volonté ton nom
transportable et assimilable poli par les dociles inflexions des femmes
divers incompris selon la volupté des courants interrogateurs
homme approximatif te mouvant dans les à-peu- près du destin
avec un coeur comme valise et une valse en guise de tête
buée sur le froide glace tu t’empêches toi-même de te voir
grand et insignifiant parmi les bijoux de verglas du paysage
cependant les hommes chantent en rond sous les ponts
du froid la bouche bleue contractée plus loin que le rien
homme approximatif ou magnifique ou misérable dans le brouillard des chastes âges
habitation à bon marché les veux ambassadeurs de feu
que chacun interroge et soigne dans la fourrure de caresses de ses idées
yeux qui rajeunissent les violences des dieux souples
bondissant aux déclenchements des ressorts dentaires du rire
homme approximatif comme moi comme toi lecteur
tu tiens entre tes mains comme pour jeter une boule
chiffre lumineux ta tête pleine de poésie
*
porte close à jamais de la nuit le fruit des belles jambes
longue croix si solennelle sur l’haleine de la rosée
aux confins du soir déshabillée chemise du jour
pendant que le tunnel allonge l’accordéon de ses côtes
glisse sur la corde du rail long archet du convoi de métro
et de l’autre côte à défaut de soleil il y a peut-être la mort
qui t’attend dans la rumeur d’un éclatant tourbillon aux mille bras explosifs
tendus vers toi homme fleur passant des mains de la
vendeuse à celle de l’amant et de l’aimée
passant de la main d’un événement à l’autre sans volonté triste perroquet
les portes claquent des dents et tout est fait dans
l’impatience de te faire sortir au plus vite
homme aimable marchandise aux yeux ouverts mais hermétiquement bandés
toux de cascade rythme projeté en méridiens et tranches
mappemonde tachée de boue de lèpre et de sang
l’hiver monté sur son piédestal de nuit pauvre nuit débile stérile
tire la draperie de nuage sur la froide ménagerie
et tient entre ses mains comme pour jeter une boule
chiffre lumineux ta tête pleine de poésie
*
geste rond des mains offrant à l ’air l’image
alerte rossignol qui ferme le circuit de ton contentement
à la lueur aiguë des plaintes tu te trompes toi-même
le plus secret de tous c ‘est toi le plus lointain
tu te hisses jusqu ‘aux parfaits accords sur les vergues astronomiques
te gorges d’incestueuses allures sur les marches des calvaires
ta jalousie jaillit de l’étroit simulacre
qui serre le temps dans la bourse de ta vie
tu ne conçois la vie qu ‘en exemples éprouvés
tandis que tu vieillis sans savoir pourquoi se rouillent les charnières de ta tête
s’élargissent tes articulations se mouille comme la feuille sous la pluie la fierté
avare tu serres si fortement la porte que tes ongles entrent dans la chair
le sombre gosier où s’empilent les nuages
où l’orgueil inassouvi ne sait plus se rafraîchir
tend déjà vers les pelouses de la mort en holocauste son délire à perte de vue
et l’eau est toujours fraîche au confluent de tes amours
*
les lignes de tes mains calleuses qu ’à ta naissance un ange traça
sur son parcours le tien doué de toutes les réussites terrestres
l’estompe de ta fausse vie les effaça et tu salis ce que tu touches
tu te vautres dans le râle et l ‘or les mensonges incandescents
de la vie il ne te reste que la détresse d une évasion manquée
et pourtant la nuit défait dans son sein les noeuds des clochettes les étoiles
l’ossature cadencée des musicaux échafaudages jetés en vrac
cependant les hommes se serrent en rond sous les ponts
et dans les albums de photographies feuillettent les soirs de chaleur médiocre
parmi tant d’amers bourgeons que le souvenir fit poindre tout autour de la nappe lourde
défends à coups de dents ton lopin de monde pour t’endormir d’un samedi à l autre
anonyme et bafoué dans la séculaire nourriture de ton engeance
cependant les hommes chantent en rond sous les ponts
et déchirent le nid des méninges grattent
pour découvrir cachée au fond la fraîche orange de leur cerveau
*
aux fureurs de neige que l’heure fasse son éruption de remords et de torture
que le sang jaillisse en toi de la plus neuve bouche l’astronomie
et se répande dans chaque cellule de prisons anatomiques
que les minutes fourmillant dans le sac des poumons ensemencent les prés
des asiles de vieillards les terrasses à plusieurs rangs de billard
que le crime enfin fleurisse jeune et frais en lourdes guirlandes le long des maisons
engraisse de sang les aventures nouvelles les moissons des futures générations
les aigles se dissolvant comme le sucre dans la bouche des ans
dissolvant le sucre des journées passées dans le bol de l’océan
volant d’une fleur à l’autre avec des pétales de peau sur les ailes
insectes ou microbes chargeant de souffrance les lits les saisons
les acides sommeils traînant comme des bêtes de peine nos carcasses
et nous tirant vers eux pendue dans le rêve tirant à la grue du céleste port

douce de soleil putréfaction sans corbeaux ni vers dans la blancheur invincible immaculée

 

Sul Surreaalismo vedi anche: 

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