Paolo Artale – Conversazioni in giardino – Contatti Edizioni, collana BLU 77, 2022
Pubblico di seguito alcuni testi tratti dall’ultima raccolta di Paolo Artale, uscita nel 2022 per Contatti Edizioni. Un poeta della Natura, sembrerebbe di primo acchito, che quanto meno considera la natura (da qui in avanti con la minuscola, per ragioni che forse vedremo) un rispettabile interlocutore, qualcosa con cui sia possibile, appunto, intavolare una conversazione. Di per sé questa prima (banale) considerazione ci riporterebbe di corsa in un alveo letterariamente antichissimo, a cominciare, almeno alle nostre latitudini, dall’omerico giardino di Alcinoo, se non prima (e poi Lucrezio, Plinio, Virgilio ecc.). Fino (siamo, a tutt’oggi, negli strascichi del Novecento) a nomi impossibili da non ricordare, come Pierluigi Bacchini (poeta della natura filosofica per eccellenza), o Andrea Zanzotto (poeta del paesaggio “latente, inscritto sul rovescio”, metaforico), o anche Mario Luzi, e via tralasciando (ad es. certi poeti francesi/francofoni come Stétié, Jourdan, Jaccottet, Bonnefoy).
Tuttavia Artale di tutte queste eredità un po’ prende un po’ lascia, lavora sul linguaggio, specie nella prima parte del libro, (forse in questo più simile a Zanzotto che agli altri), tiene risolutamente a bada quel che di lirico potrebbe spuntare dal tema, ché giustamente sarebbe postdatato e perciò imperdonabile, spesso ricorrendo allo scopo ad un “indurimento” della parola, all’uso di termini tecnici, ossuti o spigolosi, ad una lingua che tende ad intellettualizzare il discorso. In questo senso la “conversazione”, quanto il titolo, è leggermente fuori fuoco, offset, in quanto la natura (sì, ecco, minuscola) qui pare forse parlare poco e ascoltare con pazienza molto, spesso ridotta a segnacoli, nomi di cose (questo soprattutto nella sezione Ultime foglie sugli alberi, v. un esempio più avanti). Voglio dire, l’uomo (e il poeta) riempie la natura di eloquio (e non solo di logos, come ha notato qualcuno), e in sostanza, biblicamente, se ne appropria, la invade. Tuttavia la natura è nel contempo luogo d’elezione del pensiero, esiste anche un po’ perché il pensiero meditativo la “realizza”, la concretezza delle cose naturali che ospita e che il poeta cita per nome è come un cippo stradale, una testimonianza del reale. Nello stesso modo la natura (sempre minore perché sempre – qui – ancillare all’io, anche quando non liricamente presente) è simbolo di un sistema di segni tradizionalmente leggibili e quindi antagonista di un mondo complicato, quello dell’uomo, che il linguaggio tenta di penetrare. Il linguaggio è l’uomo, il poeta. Il linguaggio avrebbe (e forse è questo il tema nascosto del libro) un percorso rizomatoso da fare, proprio in senso deleuziano, per uscire dalla bolla della complessità del mondo verso un spazio “altro”, vivibile, “democratico”, tornare per assurdo ma senza nostalgie a “il tempo delle piante senza nome / proprio o / dell’acqua collocata altrove”.
C’è una stagione per questo? Non lo so, ma qualcosa cambia, ed è proprio il linguaggio a segnarlo, con la sezione seguente, Suite di primavera. Non è dato sapere se ci sia una cronologia nella stesura di questi testi, e perciò una evoluzione (o involuzione se preferite). Ma intanto qui c’è una estroflessione dello sguardo, la natura è anche una esposizione di piccole mirabilia che lo sguardo coglie in un rapporto per così dire più paritario con le cose, e lo dimostra la dovizia dei nomi, la costruzione di minuscoli paesaggi quasi sereni (questi davvero direi bacchiniani, con un che, perché no?, di petrarchesco). Le Conversazioni in giardino, l’altra sezione principale, con le sue sottosezioni – almeno fino a Acque di riposo. Di composizione – fanno un ulteriore passo sia verso una semplificazione formale, un alleggerimento (talvolta fin quasi all’haiku), anche del linguaggio, sia verso un diverso rispecchiamento dell’inquietudine del poeta nel mondo circostante, come un’intesa, una “empatia”, anzi un “apprendimento”, per usare una parola di Artale. È a mio avviso la parte migliore della raccolta, che abbandona un (falso) bisogno, caro a molti poeti dell’oggi, di “sperimentare” qualcosa, innamorarsi di parole. Qui la linea dell’orizzonte, anche quando l’occhio guarda un “riordino esemplare di minute spore” 0 “tracce di campanule”, è ariosa, dell’aria che attraversa il bianco spazio di testi brevi e diradati. Alla fine con chi conversa il poeta, forse con tutte queste cose, piccole e grandi? Forse sì, forse no. Il giardino non è che un simbolo, fin dai tempi della Bibbia, uno spazio in cui la natura è raggiungibile e domesticata. Molto più, e questo forse è il punto, del poeta che cerchi sé o dell’uomo che con quel giardino conversa, cercando di capirsi e collocarsi (“siamo solo una parte della casa”). Se la natura-simbolo è o ci si illude che sia una “solerte composizione di / proprietà nèssili” (cioè intrecciate, interlacciate) da contemplare, non è detto che essa sia una risposta esauriente alle domande del proprietario, in questa specie di “conversazione platonica”, che ci appare misteriosa come quel dipinto di Casorati che porta lo stesso titolo. È qui, presumo, la ragione ultima della conversazione, una, molte. Nessuna risposta, mai, è esauriente, anche quando “lei” (che sia la natura o una significativa presenza femminile come nella sezione Acque di riposo) “dice” (“seduta fra il vento dei rovi, dice”; “distogliendo lo sguardo da una mano, dice”, ecc.) qualcosa che sembra definitivo come un responso della Pizia. Ma non può esserlo, la conversazione deve continuare. (g.cerrai)
da Suite di primavera
eppure nel tempo delle stelle fredde e
dei cieli non toccati – puntiglio: nel sopportare
l’inclinazione delle piante
purtroppo annodi o allontanarsi di voci a
questo punto fogliare – ma anche ragguagli sulla
capacità di tenuta oculare
inoltre le acque di accorgimento verso barriere di
sale – non ho la stessa capacità delle cose – si
imprimono
senza aspettative
più che altro distanze a rammendo e noi capaci di
altre mansioni e falsità – rapporti dalle stanze non
abitate – alcune suppellettili per non dimenticare
la morte
non presumere questa opposizione di lumi o
la parte verificabile delle rinunce – munirsi di
palpebre – scandire i nomi dei temporali forse
conforto per la mancanza di
dedizione
e comunque: non conoscevo i mutamenti alari
***
argomentazioni tessili privilegi
altri tentativi di sofferenze acqua
sopra il bosco genuflessioni calcolo
non atteso di anapi o anellidi
il vantaggio è ancora questo
vento capovolto: luce di misura per
scoprire il rapporto fra i trifogli e
grumi d’acqua a ormeggio
i corpi come i nostri distano da noi
solamente una quiete nulla altro
al margine dei corpi sopporto ogni
parte non inondata frantume di
qualcosa soliti preparativi di felicità
***
ma anche la luce sui clìpei o forse splendore
ultimi avvii di foglie per le annotazioni ma
anche concedere un perdono – o altro – per
ricondurre al modo della luce – intendi
altre concessioni: conversione di sguardi
considerare le opere del vanto sfolgorio
o incerte luminazioni dicono il nome
generale dei possedimenti comporre
attrattive a lato delle piogge albagie
soprattutto verso la morte
sopra tutto
da Conversazioni in giardino
sublimano more questa luce d’agosto.
il posto – comunque scabiose e
più ìnclito aspetto di nubi.
se fallire è solo su
distanze erbali ogni particolare
piega e le zone ventose
riformano.
questa mèta di orribili uccelli.
***
insinuo: non a caso una
gentile concessione le aperture
quando giugno riflette
il progredire delle stanze
poi la luce adima ma ancora
sulla porta-giardino:
contemplo
solerte composizione di
proprietà nèssili.
da Acque di riposo. Di composizione
osservando gli occhi delle altre, dice
è sbocciato quasi nulla tra le forme
private del caprifoglio.
un posto dove si aprono in un modo diverso.
dimenticano il dominio.
altra cosa è le proprietà del gelo.
la luce riflessa dal dorso degli insetti
il controllo delle posizioni lontane
dove si trovano le cose cadute.
mentendo sulla bellezza feriale
sulla composizione del giardino
e delle terre sigillate.
i suoi orli nella finitura delle lampade
è come ammirare questa residenza
in una-altra estate fredda
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