Christian Sinicco – Alter – Vydia editore, 2019
Nota di Claudia Mirrione
Christian Sinicco nasce a Trieste nel 1975, ha una lunga carriera poetica alle spalle. Attualmente dirige il blog “poesia del nostro tempo – poesiadelnostrotempo.it”, è redattore di “Midnight Magazine” e “Argo” e dirige il festival “Ad alcuni piace la poesia“ (Montereale Valcellina, PN). Quest’anno è stato finalista al Premio Bologna in Lettere per le opere edite.
Del 2019 è quest’ultima plaquette dal titolo Alter la quale, come dice il prefatore Giancarlo Alfano, “è la composizione di due esperienze non del tutto omogenee”: lo stesso autore, nella nota finale, chiarifica come i due processi di scrittura non sono stati analoghi, in quanto la prima parte della raccolta “La città esplosa” è stata scritta in pochi mesi, mentre la seconda parte “Alter“ in diversi anni di lavoro poetico.
Leggendo i testi non si può che essere d’accordo, anche se bisogna sottolineare che i due nuclei sono intimamente legati tra loro e vengono a costituire un unicum unitario in quanto la prima ampia sezione, “La Città esplosa“, è una lunga pars (fere) destruens e la seconda, più breve sezione, “Alter“, è una pars (maxime) construens.
“La città esplosa“ è il racconto poetico di una deflagrazione atomica (anfibolicamente riferentesi sia ad una dissoluzione di infinitesimi minima atomici sia, più storicamente, all’esplosione della bomba H). L’ekpyrosis, cioè la fine di un ciclo del mondo, il passaggio stoico dal fuoco al fuoco nella teoria elementare, viene però descritta come una corsa di generazioni, un’accelerazione di energia e cioè in termini che attingono al futurismo novecentesco. In questa “grande arena”, che è l’universo e che è in continua espansione e non è altro che alternarsi di generazione e corruzione („di materia indissolubile in materia indissolubile“, in Oltre le nevi ghiacciate delle montagne più alte), dominano le “reazioni a catena” (Raggiunta la Città) vibra “il ronzio rotante di motori” (E se la realtà dovesse frantumarsi del tutto) o le loro „corse luminose“ (Quando fra i ruscelli), rumoreggiano le „rotaie che portano indietro di nuovo all’abisso (La rotaia curva degli abissi) ove nuotano „pesci sferraglianti“ (La lunga via).
Di fronte a questo panorama turbato e anzi disturbato, non tutto è perduto. Come dice il prefatore „un soggetto che si proclama ultimo avanza sulla scena per affermare la propria condizione“. È Alter, non Alius, cioè l‘altro tra molti, ma Alter, l’altro fra due poli, come trapela dal suffisso -ter. Alter di certo mostra più somiglianze con l’Übermensch nietzschiano di fronte al nichilismo della morte di Dio, che con il tronfio superuomo dannunziano (cui però sicuramente si riconnettono le immagini vitalistiche di Sinicco che hanno come contrappunto un senso di marcescenza e di decadenza). Come dicevamo, Alter è l’altro fra due. Ma in che senso? È qui che sta uno dei punti di estrema originalità e di riflessione della raccolta e che permette a Sinicco di sfondare la rete del Novecento e di proiettarsi a pieno titolo nel sistema della poesia e del mondo contemporaneo egemonizzato dall’inesorabile avanzata dell’intelligenza artificiale e dei robot umanoidi. Alter urla agli anni Duemila, è l’evoluzione del vecchio uomo del Novecento (l’altro dei due) ormai superato dall’ultra-uomo di Sinicco: „sono l’ultimo della specie / ordinato dal centro di controllo / sarò l’ultimo con bioniche membra / in giunture vertebrali: / l’ultimo che sente i profumi / trasmette pensieri, / chi ordina la mente non progetta / più il corpo“ [ALTER].
Le soluzioni stilistico-formali sono il secondo punto di originalità dell’opera che è concepita, per gran parte, dall’autore come operante in uno stato di trans (di passaggio, di travalicamento da uno stato all’altro), come una creazione nel suo farsi e dispiegarsi e i cui esiti non sono per nulla prevedibili e “dati“. I versi nelle loro varie disposizioni spaziali entro la pagina, nella loro sintassi decisamente franta e nelle loro immagini distoniche e discordanti, talvolta producono anche un senso di straniamento, di alienazione, di esclusione dalla mente del poeta. Il poeta, (neo)dannunzianamente anche in questo aspetto (cfr. Lungo l’affrico vv. 37-38 Tutta la terra pare / argilla offerta all’opera d’amore), agisce come un demiurgo e fa delle parole una creta da modellare attraverso un’azione inesausta e inesauribile. (claudia mirrione)
vidi
un occhio, e saltai l’azzurro
lontano: lo spazio violentava non meno
una città esplosa
di colpo e frenetica
su orizzonti di cielo
con la velocità della bomba
(e in sussulto
in preghiera
calma, il fluido denso
annegare nel caldo violetto di una
radiazione)
l’universo
una città nella stella e
vuoti erodere i motori come vento
tra le rovine di civiltà, al collasso
i vapori salire per ricadere
come pioggia
atomi… fra le ceneri gas di vestiti,
bambini dalle teste dorate rotolanti
nella sabbia, indossare nudi questo bacio
quando la palpebra chiude
forme creare dall’informe
la lunga via
ha petali arsi
di fiori, e la magnolia nana, rarefatta
quasi sboccia
nevi cadenti
sul paesaggio aspro
e sulle alture
che si levano dai mari
danze di carovana ocra
percorrono le insediate mura
ruggine di industria
dissepolta
abbandonate, sterili
maglie di cellulosa – nylon
spezzate da
torbidi veicoli
carcasse al suolo frastagliato di un evo andato
metallico
che affermano luci d’aldilà
come pesci sferraglianti
nella cavità
di un cielo a venire
la lunga via di una nuova umanità
ha danze di carovane ocra
ha petali arsi
di fiori, ha la magnolia
una tomba aperta
di stelle infinite
che sbocciano
cadono nude
[ALTER]
Increspate
Grandi bolle colorate
E fili che giungono al cielo
nel chiarore che avanza sempre più
scompaiono, e dal promontorio
scendo; blu
di sasso
i chip
battono
forti l’immensità
dentro
il corpo:
profuma
a poco a poco il vento di ciliegie scopre l’osso
del mondo
in sinfonia perfetta grilli elettronici
scandiscano valvole di sfogo nel ritmante
battiti perenne, cuore, in andirivieni
sotto la ceramica
del corpo…
sono l’ultimo della specie
ordinato dal centro di controllo,
sarò l’ultimo con bioniche membra in giunture vertebrali:
l’ultimo che sente i profumi
trasmette i pensieri,
chi ordina la mente non progetta
più il corpo
[FUTURO : crescita]
Midollo fertile e orchidea,
aerea sepoltura fiorita,
le indagini profonde ci dissetano,
una sorta di crescita confusa
è l’alterarsi con la fine dell’inverno
dove crescono radici;
possiamo essere scavi
e le vertigini la rappresentazione,
la promiscuità in questi vasi
(uso le vene e la testa,
uso il collo flessuoso,
per dividere le prospettive)
(è fatale parlare in genere,
fermarsi dove si incontrano
solo le rocce e le scelte incise)
immersi di grazia buia; senza distinzione
come il metallo seppellito e limato
la consumazione e le ambiguità
non fermano l’erba;
nella pioggia e nel vento
l’orizzonte è un destino rosso
che biascica nel sole,
richiama nelle fratture
perché anche la neve disseta
e scioglie;
so che le sei accanto,
usa ciò che è fluido per aprirti,
usa le concatenazioni per sfuggire agli effetti:
i silenzi sono stellari,
che il linguaggio sia l’arma della preghiera
l’ho chiesto allo spazio elementare
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